CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 aprile 2019, n. 10869
Contratto di lavoro a tempo determinato – Proroga – Illegittimità – Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e tempo indeterminato ed a tempo pieno – Accertamento
Rilevato che
D.F. conveniva in giudizio la P.G.I. s.p.a. e, premesso di aver lavorato per tale società dal 9.3.1999 al 30.11.2006 attraverso l’utilizzo di varie forme contrattuali di lavoro a termine (lavoro temporaneo ex d.lgs. n.196/1997; contratti a tempo determinato più volte prorogati ex L. n. 230/62 e d.lgs. n. 368/01 e con contratto di lavoro somministrato ex d.lgs. n. 276/03, anch’esso prorogato), e dedotto in merito all’illegittimità di tali contratti e delle relative proroghe, ha concluso chiedendo: dichiarare la nullità e/o inefficacia e/o illegittimità di tali contratti e per l’effetto accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e tempo indeterminato ed a tempo pieno con inquadramento nel livello D3 o in subordine E3 del c.c.n.l. chimica farmaceutica-industria a far data dal 9.3.1999 o dalla diversa data ritenuta di giustizia e tuttora in essere in carenza di qualsiasi atto idoneo ad interromperlo e quindi costituire un rapporto di lavoro alle dipendenze della convenuta con effetto dall’inizio del rapporto o dalla successive ritenute di giustizia; ordinare alla società convenuta l’immediata riassunzione in servizio nel posto di lavoro precedentemente occupato e/o al ripristino del corretto sinallagma contrattuale; condannare la convenuta al pagamento di tutte le retribuzioni anche a titolo di risarcimento del danno sulla base di € 1.505,87 mensili a far data del 1.1.06 o dalla successiva data ritenuta di giustizia, oltre accessori.
Nella resistenza della società il Tribunale di Roma così decideva: dichiara che tra F.D. e P. & G. s.p.a. si è instaurato un rapporto di lavoro subordinato e tempo indeterminato a decorrere dal 9.3.1999, con obbligo della predetta società di ripristinare detto rapporto con riammissione in servizio del ricorrente; condanna la società a corrispondere al ricorrente le retribuzioni maturate dal 26.3.2010, parametrate alla somma mensile di €.1.505,87, sino alla riassunzione, detratto l’aliunde perceptum oltre rivalutazione monetaria ed interessi ed al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale sentenza proponeva appello la società; resisteva il F.
Con sentenza depositata il 17.7.14, la Corte d’appello di Roma accoglieva solo parzialmente il gravame, riducendo il risarcimento a dieci mensilità dell’ultima r.g.f. come sopra indicata in applicazione dell’art. 32 L. n. 183/10 e confermando per il resto la genericità delle causali dei contratti di fornitura di lavoro.
Che per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a quattro motivi, cui resiste il F. con controricorso, poi illustrato con memoria.
Considerato
Che con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1372 c.c., lamentando che la sentenza impugnata escluse erroneamente nella specie la sussistenza della risoluzione del rapporto di lavoro tra le parti per mutuo consenso.
Che il motivo è infondato avendo la Corte di merito ampiamente e correttamente valutato le circostanze invocate a tal fine, pervenendo ad escludere la risoluzione tacita del rapporto. Trattasi di accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità in base al novellato n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c.(Cass. n. 29781/17).
Che con il secondo e terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, e 5 L. n. 196/97; artt. 3, comma 3 e 10 L. n. 196/97 evidenziando che la causale apposta al contratto di fornitura di lavoro temporaneo n. 70027, ritenuto illegittimo, consisteva nell’incremento temporaneo dell’attività produttiva che è conforme alle previsioni normative in materia di lavoro temporaneo a prescindere dalla produzione in giudizio dell’accordo interconfederale ivi citato (‘come da punto 3 dell’accordo interconfederale del 16.4.98’), mancata produzione ritenuta dalla sentenza impugnata decisiva.
Il motivo difetta di pertinenza avendo la corte di merito comunque accertato la genericità della causale anche in base alle invocate previsioni del c.c.n.l. di categoria, evidenziando che le riferita causale (incremento temporaneo dell’attività produttiva) non poteva ritenersi specifica, con conseguente conversione del rapporto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato (Cass. n. 1148/13 e successiva giurisprudenza; cfr. in particolare Cass. ord. n. 10486/17, secondo cui in tema di lavoro interinale, l’art. 1, comma 2, della l. n. 196 del 1997 consente il contratto di fornitura di lavoro temporaneo solo per le corrispondenti esigenze rientranti nelle categorie specificate dalla norma, esigenze che il contratto di fornitura non può, quindi, omettere di indicare, né può rappresentare in maniera generica e non esplicativa, limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa, ne consegue che, ove la clausola sia indicata in termini generici, inidonei ad essere ricondotti ad una delle causali previste dal legislatore, il contratto è illegittimo, e, in applicazione del disposto di cui all’art. 10 della l. n. 196 del 1997, il rapporto si considera a tutti gli effetti instaurato con l’utilizzatore interponente).
La sentenza impugnata ha peraltro accertato, esaminando così in particolare il terzo motivo, che delle specifiche necessità lavorative temporanee dedotte in sede di giudizio (smantellamento delle linee produttive di Pomezia) non vi era traccia nel contratto di fornitura, mentre non era stata comunque fornita alcuna prova anche in ordine al nesso causale tra la singola prestazione richiesta e le dedotte necessità aziendali.
Analizzando più in particolare la terza censura va rimarcato che sia il mero richiamo ai casi previsti dal c.c.n.l. di categoria, sia la mancata specificazione delle mansioni di assunzione (co. 5, lett.b) art. 1 e 3 (lett. d) L. n. 196/97 (da riferirsi causalmente al caso di lavoro interinale richiesto, pena l’insostenibile legittimità di qualunque clausola generica riferibile a qualunque attività lavorativa) conducono alla prevista (art. 10 L. n. 196/97) trasformazione del rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore.
3.- Con quarto motivo la società denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., lamentando che la sentenza impugnata ritenne erroneamente che la società avesse modificato inammissibilmente in corso di causa le ragioni dell’assunzione temporanea del F.
Il motivo è infondato in quanto la violazione della norma invocata può aversi solo ove il giudice abbia posto a carico della parte non tenutavi l’onere della prova. E’ di contro evidente che la sentenza impugnata abbia fatto correttamente gravare sulla società utilizzatrice la prova dei presupposti legittimanti l’assunzione.
In sostanza, in tema di lavoro interinale, la prova della effettività della causale posta a base dell’impiego del lavoratore temporaneo ricade sull’utilizzatore che intende avvalersene, trattandosi di un elemento imprescindibile ai fini della verifica della legittimità del contratto; l’accertamento in fatto delle condizioni che ne giustificavano l’utilizzo appartiene alla competenza esclusiva del giudice del merito, e non è sindacabile in sede di legittimità laddove non emerga un vizio motivazionale concernente un fatto decisivo che se fosse stato diversamente valutato avrebbe condotto, con grado di certezza e non di mera probabilità, ad un opposto esito della lite (Cass. ord. n. 25005 del 23/10/2017).
Per il resto la censura si risolve nel tentativo di una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella ampiamente accertata dal giudice di merito.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, debbono distrarsi in favore del difensore del F., dichiaratosi anticipante.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi, €.4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. M.S. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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