CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 dicembre 2018, n. 32707
Esposizione all’amianto – Riconoscimento dei benefici previdenziali – Consulenze tecniche
Fatti di causa
1) La Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 70 del 2013 pronunciata in sede di rinvio da cassazione, ha accolto l’appello dell’Inps e respinto la domanda, accolta dal Tribunale di Pisa, proposta da M.V. al fine dell’accertamento del proprio diritto al riconoscimento dei benefici previdenziali connessi all’esposizione all’amianto durante l’attività lavorativa svolta dal 10 aprile 1974 al 26 settembre 2002 presso la centrale Enel di Larderello.
2) La Corte territoriale, ricordato che questa Corte di cassazione con sentenza n. 16293 del 2008 aveva accolto il ricorso dell’Inps avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze poiché la stessa non aveva accertato se l’esposizione all’amianto fosse stata caratterizzata dal superamento dei valori soglia indicati agli artt. 24 e 31 del d.lgs. n. 277 del 1991, ha ritenuto inammissibile la produzione delle relazioni di consulenze tecniche offerte dal lavoratore successivamente alla introduzione del giudizio di rinvio, pur essendo le stesse disponibili anche in precedenza, ed ha accertato che dalla c.t.u. espletata non era emersa la prova della esposizione qualificata.
3) Avverso tale sentenza, M.V. ha proposto ricorso per cassazione illustrato da memoria, fondato su 14 motivi.
4) L’Inps ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1) Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione degli artt. 115, 116, 421 e 445 cod. proc. civ. e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art.13, co. 8, l. n. 257 del 1992 e 18, comma 8, l. n. 179 del 2002, in quanto la sentenza non ha rilevato la mancanza di contestazione da parte dell’INPS circa le mansioni svolte dal ricorrente e la loro riconducibilità all’atto di indirizzo ministeriale prot. n. 504/505 – 8 marzo 2001 allegato in atti.
2) Con il secondo motivo si rileva la violazione degli artt. 416, 414, 420 e 421 cod. proc. civ. e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art.13, co. 8, l. n. 257 cit. e 18, comma 8, l. n. 179 del 2002 per non avere la Corte motivato quanto alla mancata considerazione della non contestazione dell’INPS delle mansioni svolte dal ricorrente già dalla memoria di costituzione in primo grado ed a fronte delle specifiche deduzioni svolte in ricorso che dimostravano la concreta possibilità di ammalarsi per effetto dell’esposizione qualificata alle fibre d’amianto.
3) Il terzo motivo deduce violazione degli artt. 416, 414, 420 e 421, 434 e 437 cod. proc. civ. e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in combinato disposto con l’art.13, co.8, L. n.257 cit., e art. 18, comma 8, l. n. 179 del 2002, laddove la sentenza impugnata aveva consentito all’Inps di formulare il gravame in sede di rinvio con nuove contestazioni.
4) Il quarto motivo deduce, ancora una volta, violazione degli artt. 416, 414, 420 e 421, 434 e 437 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 13, co.8, L. n.257 cit. e art. 18, comma 8, l. n. 179 del 2002 per non avere la Corte motivato la valutazione di sufficiente specificità dei motivi d’appello proposti dall’INPS.
5 ) Il quinto motivo denuncia violazione degli artt. 132, 112, 115, 116 c.p.c. in relazione all’art.13, co.8, L. n.257 e art. 18, comma 8, l. n. 179 del 2002 in relazione a quanto affermato per illustrare i motivi sopra enunciati in ragione, anche, della mancata ammissione del teste G. e della mancata utilizzazione dei procedimento presuntivo in presenza di fatti non contestati.
6) Il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 434 cod. proc. civ., richiamando gli argomenti esposti nei punti enunciati in precedenza.
7) Il settimo motivo denuncia la violazione degli artt. 434 e/o 437 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 416 c.p.c. e con l’art. 13, comma 8, l. n. 257 del 1992 e con l’art. 18, comma 8, l. n. 179 del 2002, in relazione alla carenza nell’atto d’appello dell’Inps della esposizione sommaria dei fatti e dei motivi specifici di impugnazione nonché delle indicazioni prescritte dall’art. 414 cod. proc. civ.
8) Con l’ottavo motivo si reitera la denuncia di violazione dell’art. 437 comma 2 cod. proc. civ. e si denuncia la violazione degli artt. 192 e ss. cod. proc. civ., 414 e 445 cod. proc. civ. e 2697 cod.civ. in combinato disposto con l’art. 13, comma 8, l. n. 257/1992 ed art. 18, comma 8. l. n. 179 del 2002, laddove la corte d’appello ha ritenuto tardiva la produzione in sede di rinvio dato che si trattava di consulenze tecniche la cui produzione era stata resa necessaria dalle conclusioni cui era giunto il c.t.u. nominato dalla stessa Corte d’appello.
9) Il nono motivo denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., art. 445 cod.proc.civ., 24 e 31 d.lgs. n. 277/1991, art. 13, comma 8, l. n. 257 del 1992, dell’art. 18, comma 8, l. n. 179 del 2002 e delle norme di cui all’art. 47, commi 2 e 6, l. n. 326 del 2003, in relazione alla mancata valutazione dell’atto di indirizzo ministeriale ai fini dell’accertamento peritale e della formulazione del giudizio.
10) Con il decimo motivo si denuncia ulteriore violazione degli artt. 115 e 116, 257, 421, 445 e 192 cod.proc.civ. in combinato disposto con le norme di cui agli artt. 47, commi 1 e 6, l. n. 326 del 2003 ed art. 18, comma 8, l. n. 257 del 1992, sempre in ordine alle circostanze prima illustrate da a) ad i) del ricorso.
11) Con l’undicesimo motivo si denuncia la violazione degli artt. 192, 115, 116, 420 e 445 c.p.c. quanto alle erronee affermazioni fatte dal c.t.u. che aveva indotto la Corte territoriale a non ammettere la prova testimoniale.
12) Con il dodicesimo motivo si torna a denunciare la violazione degli artt. 192 e ss. , 115, 116, 420, 445 c.p.c. nonché degli artt. 24 e 11 Cost., 6 CEDU, sempre in ragione delle modalità di espletamento della c.t.u. e della mancata considerazione delle circostanze fatte valere dal c.t. di parte ed emerse dalla documentazione in atti.
13) Il tredicesimo motivo denuncia ancora la violazione degli artt. 192, 115 e 116, 420, e falsa applicazione degli artt. 445 c.p.c., 24 e 111 Cost. in combinato disposto con l’art. 13, comma 8, l. n. 257 del 1992 e dell’art. 18, comma 8 l. n. 179 del 2002, sempre in ragione di quanto prima dedotto.
14) Il quattordicesimo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 8, l. n. 257 del 1992 e dell’art. 18, comma 8, l. n. 179 del 2002 e di tutte le norme richiamate nei motivi precedenti.
15. I plurimi motivi possono essere sostanzialmente ricondotti alle ragioni di critica che si espongono nei termini che seguono.
In primo luogo, vanno considerati i motivi che fanno riferimento alla violazione dell’art. 434 cod.proc.civ. e che, dunque, si fondano sulla circostanza che la Corte d’appello di Bologna avrebbe violato la legge processuale non rilevando l’inammissibilità dell’atto d’appello per la novità delle ragioni addotte e genericità dei profili d’impugnazione spiegati nei riguardi della sentenza del Tribunale di Pisa che aveva accolto la domanda.
Tali motivi sono infondati e vanno disattesi.
16. Deve, infatti, rilevarsi che la sentenza qui impugnata è stata resa in sede di rinvio disposto da questa Corte di cassazione con sentenza n. 16293 del 2008. Tale pronuncia ha accolto i motivi di ricorso proposti dall’INPS consistenti in vizi di motivazione ( per il trattamento unitario, rispetto alla singole posizioni dei lavoratori, delle certificazioni Inail sulla durata dell’esposizione) e relativi alle violazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, e del D.Lgs. n. 277 del 1991, artt.24 e 31, e del D.L. n. 269 del 2003, artt. 47, (conv. L. n. 326 del 2003) e L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132; della L. n. 179 del 2002, art. 18, e dell’art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per cui la validità dell’atto d’appello a suo tempo proposto dall’Istituto è ormai fatto definitivamente acquisito al processo e sul quale è sceso il giudicato implicito interno.
17. Sempre riferite ad aspetti processuali sono le reiterate denunce di violazione delle regole del codice di rito (art. 345 cod.proc.civ.) che sovraintendono alla fissazione del principio del divieto del novum in appello e, quindi, nel giudizio di rinvio. Il ricorrente, infatti, ritiene che la Corte d’appello le abbia violate dal momento che ha dato spazio alle deduzioni svolte dall’INPS sia in sede di appello che di rinvio tendenti ad evidenziare l’infondatezza della domanda proposta dal Vangelisti, non tanto perché si ponevano in dubbio le mansioni svolte dallo stesso o i suoi compiti o le condizioni di lavoro relative ad una generica esposizione all’amianto, ma in quanto ne veniva contestata la natura qualificata ( ai sensi di quanto inteso dalla sentenza di questa Corte di cassazione che aveva disposto il rinvio).
18. Anche tale gruppo di censure è infondato. In parte perché, per quanto si è detto, la sentenza di questa Corte che dispose il rinvio contiene l’implicita ma necessaria valutazione positiva circa l’identificazione della materia effettivamente e validamente devoluta al grado d’appello ed inoltre in quanto è di palmare evidenza che la tesi difensiva dell’Istituto, pienamente accolta da questa Corte con la sentenza rescindente, lungi dall’introdurre nuovi temi di giudizio attraverso una nuova contestazione in fatto, era solo rivolta ad ottenere la corretta interpretazione della nozione di esposizione all’amianto utile ai fini normativi che, proprio per la particolare conformazione della norma istitutiva del beneficio previdenziale, non poteva confondersi con la mera nozione materiale dell’esposizione, ma richiedeva l’ulteriore accertamento di specifiche modalità ed intensità di esposizione imposte dalla legge. Ciò non vuol dire introdurre nuovi elementi ma chiederne la corretta interpretazione.
19. A ciò deve aggiungersi, con ciò esaminandosi il profilo di censura che tocca la affermata violazione del divieto per il giudice di invadere con il proprio apprezzamento l’area dei fatti non contestati, che l’onere di contestazione per la parte attiene alle circostanze di fatto e non anche alla loro componente valutativa, che è sottratta al principio di non contestazione (Cassazione n. 30744 del 21 dicembre 2017); inoltre, questa Corte di legittimità ha già chiarito che in tema di benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8, della l. n. 257 del 1992, l’allegazione del fatto costitutivo, relativo all’esposizione lavorativa ultradecennale ad amianto per un livello superiore a 100 fibre litro in rapporto ad un periodo lavorativo di otto ore, per il suo contenuto fortemente valutativo, deve ritenersi sottratto all’ambito di operatività del principio di non contestazione e con ciò restituito interamente al “thema probandum” come disciplinato dall’art. 2697 cod.civ. (Cass. n. 19181 del 28 settembre 2016).
20. Altro gruppo di censure, inoltre, si incentra sulla violazione delle regole d’esercizio dei poteri giudiziali di apprezzamento delle prove e sulla regola del riparto del relativo onere. In sostanza, si denuncia che la sentenza impugnata abbia violato gli artt. 112, 115, 116, 257, 416, 421, 437 e 445 cod.proc.civ. nonché l’art. 2697 cod.civ. in quanto i giudici del rinvio hanno ritenuto di aderire alle conclusioni della c.t.u. disposta in quella sede di giudizio, senza tenere conto dei contenuti dell’atto di indirizzo ministeriale dell’8 marzo 2001, che pure era stato citato, senza applicare l’algoritmo Berufsgenossenchaften e la Banca dati di A., ma utilizzando la banca dati E.. Peraltro, ciò senza ammettere il teste indicato dal ricorrente e non considerando la mancanza di contestazione relativa ai contenuti delle mansioni svolte dal medesimo.
21. Tali motivi sono pure infondati. La sentenza impugnata ha fondato la propria decisione sui seguenti punti:
a) il principio di diritto affermato dalla sentenza di legittimità imponeva la ricerca della prova che l’esposizione all’amianto avesse superato il valore di 0,1 fibre per centimetro cubo (art. 24, comma 3, l. n. 277 del 1991 poi abrogato dal d.lgs. n. 257 del 2006, art. 5.);
b) il Vangelisti aveva l’onere di fornire prova di tale esposizione per oltre dieci anni durante l’attività lavorativa svolta nella centrale Enel di Larderello;
c) non poteva dirsi raggiunta la prova dell’esposizione qualificata in base alle risultanze della c.t.u. espletata appositamente in ragione del fatto che il consulente aveva effettuato una accurata ricostruzione delle mansioni svolte dal Vangelisti e delle condizioni ambientali di tale prestazione di lavoro, con analitica descrizione della centrale di Larderello e del processo produttivo ivi svolto con specifico riferimento alla presenza di amianto all’interno di tale centrale; inoltre, era stata utilizzata sia la documentazione presente in atti, contenente i dati di campionamento ambientale riprodotti in relazione, sia le misure di esposizione relative alle singole operazioni su materiali contenenti amianto desunte dalle banche dati indicate specificamente in atti ed anche di dati presenti nella letteratura scientifica e richiamando le indagini di monitoraggio ambientale e le relazioni del Servizio F.I.S.S.L. dell’U.S.L. 15 di Volterra;
d) il c.t.u. aveva efficacemente contrastato le critiche del consulente di parte del ricorrente con le osservazioni indicate alla pagina 20 della relazione scritta.
22. In primo luogo, la sentenza non ha violato alcuna norma relativa all’efficacia probatoria degli atti di indirizzo ministeriale. Questa Corte ha più volte affermato che gli atti di indirizzo emanati dal Ministero del Lavoro – come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 20164 del 2010 – non hanno autonoma valenza in ordine al riconoscimento delle condizioni per la fruizione dei benefici, ma sono atti propedeutici o rivolti all’INAIL (e non all’impresa) con carattere non autoritativo ma orientativo, essendo finalizzati ad individuare i parametri che l’ente previdenziale deve applicare per accertare in concreto la misura e la durata dell’esposizione all’amianto, senza che l’atto di certificazione assuma valore presuntivo assoluto, restando suscettibile di contestazione e accertamento autonomo in sede giudiziale.
22. È stato, infatti, osservato dalle S.U. che tale atto amministrativo – diretto all’istituto previdenziale – è finalizzato ad individuare dei parametri che quest’ultimo è chiamato ad utilizzare in relazione all’attività di certificazione di sua competenza. Tale atto, la cui natura non autoritativa era stata già affermata da Cass. 27 aprile 2007 n. 10037, ha natura di atto propedeutico rispetto al riconoscimento al lavoratore esposto all’amianto del beneficio previdenziale (costituito, ai sensi della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 dall’applicazione del coefficiente di 1,5 per i periodi di lavoro soggetti all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto).
23. Inoltre, non vi è alcuna norma che imponga al giudice di accertare l’esposizione qualificata all’amianto esclusivamente mediante una determinata metodica, essendo invece necessario, come è avvenuto nel caso di specie, rispettare il canone della attendibilità e razionalità del metodo scientifico prescelto al fine di non incrinare il processo motivazionale adottato. Il ricorrente, peraltro, non ha neanche adombrato il vizio di motivazione.
24. Anche in relazione alla violazione dell’art.115 c.p.c. va rilevato che la denuncia della mancata ammissione di una prova (Cass. sentenza n. 4178 del 22/02/2007), comporta l’onere di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove. Nel caso in esame tale nesso, sia quanto alla prova per testi sollecitata che per le relazioni tecniche di cui si è chiesta l’acquisizione dopo il deposito di quella d’ufficio, deve essere escluso in quanto il fatto addotto a prova era stato in realtà sconfessato in giudizio, avendo i giudici di merito accertato che il c.t.u. aveva acquisito e verificato precedenti indagini ambientali con esito negativo per cui non vi era necessità di acquisire fonti di prova tardivamente richieste.
25. Nessuna violazione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c. può essere infine addebitata alla sentenza impugnata, in quanto tale violazione presuppone che la decisione si avvenuta a prescindere dall’apprezzamento del materiale istruttorio, ipotesi non verificatasi nel caso di specie. In tema di ricorso per cassazione, infatti, la violazione dell’art. 2697 cod.civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (da ultimo Cass. 26769 del 2018).
26. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. L’esito del ricorso determina la sussistenza dei presupposti per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato art. 1, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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