CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 dicembre 2019, n. 33594
Tributi – IVA – Cessione di unità immobiliari a destinazione turistico-ricettiva
Fatti di causa
La ricorrente società era sottoposta a verifica fiscale all’esito della quale l’ufficio notificava avviso di accertamento per IRES, IRAP ed IVA 2005 derivanti dall’errata applicazione di aliquote IVA su cessioni di unità immobiliari a destinazione turistico-ricettiva, non assimilabili a case di civile abitazione, da maggiori ricavi derivanti dalla cessione di terreno edificabile, da ulteriori cessioni di immobili e dal mancato riconoscimento dei requisiti per l’applicazione su operazioni passive relative a lavori edili sulle unità immobiliari della contribuente società.
L.R.C. s.r.l. impugnava l’avviso di accertamento, con il quale l’Ufficio richiedeva le maggiori imposte e irrogava le sanzioni di legge, e la CTP rigettava il ricorso confermando la legittimità dell’atto impugnato.
La sentenza era appellata di fronte alla CTR della Toscana, che respingeva l’impugnazione confermando la pronuncia di prime cure. Ricorre a questa Corte di cassazione la contribuente società con atto affidato a tre motivi; l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
Vanno preliminarmente disattesi il secondo e il terzo motivo con i quali il ricorrente si duole rispettivamente dell’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio riguardante la sottofatturazione di euro 31.925,02 e della contraddittorietà della motivazione circa un altro fatto controverso e decisivo per il giudizio inerente la qualificazione di caparre come acconti per euro 38.365,00. Essi infatti costituiscono in sostanza mere censure motivazionali, come è dato evincere sia dall’intitolazione dei motivi che dal loro contenuto.
E ove sia in esame come qui avviene un provvedimento pubblicato dopo l’il settembre 2012 resta applicabile ratione temporis l’assenza di motivazione quale vizio deducibile in forza del c.d. nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è tutt’ora ancora denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” o di “contraddittorietà” della motivazione (Cass. S.U. 7/04/2014, n. 8053).
Venendo ora all’esame del primo motivo, rileva la Corte come esso si incentri sulla falsa applicazione degli art. 27, 45 e 46 della L. Reg. Toscana n. 42/2000 sulla qualificazione delle case e appartamenti per vacanze (CAV) ai fini dell’applicazione dell’Iva nella misura agevolata del 10% in forza del n. 127 undecies e quaterdecies della parte III tab. A allegata di d.P.R. n. 633 del 1972; la CTR avrebbe ritenuto erroneamente inapplicabile l’iva nella misura agevolata alla fattispecie in esame, costituita da cessione o costruzione di fabbricati in dipendenza di contratti di appalto con caratteristiche abitative A2 e destinate urbanisticamente a case e appartamenti per vacanze.
Il motivo è privo di fondamento.
E’ circostanza assolutamente incontroversa, peraltro ammessa dalla stessa ricorrente, che il contratto di appalto in relazione al quale sono state emesse le fatture con aliquota agevolata, oggetto di ripresa a tassazione da parte dell’ufficio finanziario, aveva ad oggetto la realizzazione di un complesso immobiliare da destinare a residenze turistico-alberghiere consistente in una serie di case di abitazione civile, identificate nel catasto dei fabbricati in categoria A/2 (abitazioni civili), non di lusso.
Lo si evince dalla sentenza di seconde cure come dal ricorso della contribuente società (pag. 3 righe 17-18 della sentenza quanto alla tipologia, pag. 9 riga n. 15 del ricorso).
Ciò posto, deve ricordarsi che secondo un orientamento giurisprudenziale in materia, assolutamente chiaro e condivisibile, (le più risalenti sono Cass. n. 4317 del 1994, Cass. n. 1713 del 1997 e Cass. n. 8129 del 2001), recentemente confermato da questa Corte (Cass. n. 19197 del 2017) «la “casa albergo”, che costituisce una struttura funzionale all’esercizio di una attività di impresa, cioè di prestare ospitalità dietro corrispettivo ad una massa indiscriminata di fruitori» – allo stesso modo di un residence turistico-alberghiero, come nel caso di specie – «non è assimilabile alla “casa di abitazione” (che va intesa come luogo destinato ad ospitare – con tendenziale continuità – nuclei familiari, per lo svolgimento della loro vita privata), ma va piuttosto ricondotta alla diversa categoria del “negozio”, costituita come luogo deputato allo svolgimento di attività d’impresa. Pertanto i detti benefici non spettano agli immobili destinati esclusivamente a “casa albergo” (Cass. n. 1713 del 1997; nei medesimi termini Cass. n. 4317 del 1994)».
E, d’altro canto, il n. 127 quaterdecies della Tabella A, parte terza, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, – che, contenendo una previsione di natura agevolatrice, è di stretta interpretazione, per la quale non è ammessa quindi interpretazione estensiva e men che meno analogica – fa esclusivo riferimento a «prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto relativi alla costruzione di case di abitazione», non di lusso (come previsto dal n. 127 undecies cui il n. 127 quaterdecies rinvia), cosicché l’agevolazione prevista non può essere riconosciuta ai contratti di appalto aventi ad oggetto la costruzione di immobili aventi natura o finalità diverse da quella di casa di abitazione in senso stretto, come i «residence turistico-recettivi» (quali quello oggetto di controversia), restando del tutto indifferente che i singoli immobili del residence abbiano le caratteristiche di case di abitazione – perché catastalmente ricomprese nella categoria A/2 – se però sono destinati all’esercizio di attività imprenditoriale, di tipo turistico-alberghiero, come nella specie espressamente attribuito dalle parti contraenti al complesso edilizio realizzato, anche concretamente mantenuto, non avendo la ricorrente dedotto il contrario.
La necessità di adottare la surrichiamata e qui condivisa interpretazione di tipo restrittivo emerge anche da altra pronuncia più recente, che si è posta nei medesimi esatti termini (Cass. sent. n. 24054 del 2018). Pertanto, si deve concludere che l’agevolazione prevista non può essere riconosciuta ai contratti di appalto aventi ad oggetto la costruzione di immobili aventi natura o finalità diverse da quella di casa di abitazione in senso stretto, come i “residence turistico- ricettivi” (quali quello oggetto di controversia), restando del tutto indifferente che i singoli immobili del residence abbiano le caratteristiche di case di abitazione – perché ricomprese nella categoria catastale A/2 – se però sono destinati all’esercizio di attività imprenditoriale, di tipo turistico – alberghiero (ancora in tema Cass. n. 19197 del 2017 già citata).
La CTR ha fatto buon governo dei principi espressi e pertanto il ricorso va, in conclusione, integralmente rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; liquida le spese in euro 7.300 a spese prenotate debito che pone a carico di parte soccombente.
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