CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 febbraio 2019, n. 4690
Attività edile – Retribuzione virtuale – Obbligo contributivo – Assenza dal lavoro – Aspettativa per motivi personali e familiari – Accordi individuali
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza n. 74 del 2013, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo, ha accolto gli appelli proposti separatamente e poi riuniti, proposti da INPS (anche quale mandatario di S.C.C.I. s.p.a.) ed Inail, dichiarando dovute da parte della società S.C. s.r.l. (in breve S.I. L.E.) le somme pretese, attraverso cartelle esattoriali precedute da verbali ispettivi, per premi e contributi calcolati sulla retribuzione virtuale ex art. 29 d.l. n. 244 del 1995 conv. in l. n. 341 del 1995, oltre sanzioni civili, con riferimento – per quanto ancora di interesse – alle ore di assenza eccedenti le quattro settimane annue, formalmente godute dai dipendenti della S. come aspettativa per motivi personali e familiari, concessi in base ad accordi individuali con i singoli lavoratori.
2. La Corte territoriale ha rilevato, in applicazione di principi affermati da questa Corte di cassazione in materia di obbligazione contributiva dovuta da datori di lavoro esercenti attività edile, che non si determina esclusione dall’obbligo di versamento contributivo nelle ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro frutto dia libere scelte delle parti, trattandosi di ipotesi diverse da quelle previste dalla legge ed alla luce del divieto di applicazioni analogiche od estensive, derivante dalla natura di disposizione eccezionale rivestita dalla previsione di deroghe.
3. Inoltre, ha disatteso la tesi secondo cui l’art. 40 del c.c.n.l. che autorizza la fruizione di un periodo di aspettativa minimo di quattro settimane in un anno, costituisca ipotesi di previsione contrattuale collettiva che autorizzi la sospensione del rapporto rilevante per escludere il pagamento del minimo contributivo anche oltre le quattro settimane per anno, trattandosi solo di disposizione di favore verso il lavoratore non rilevante ai fini del rapporto contributivo.
4. Avverso tale sentenza S. ricorre per cassazione sulla base di un articolato motivo illustrato da memoria.
Inps ed Inail resistono con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 29 d.l. n. 244 del 1995 conv. in I. 8 agosto 1995, n. 341, del d.m. 16 dicembre 1996 del Ministero del lavoro e della Previdenza Sociale e del Ministero del Tesoro e dell’art. 40 del c.c.n.l. edilizia.
In particolare, rileva che l’errore della sentenza impugnata starebbe nell’aver ritenuto esistente, in caso di aspettativa superiore alle quattro settimane, una forma di accordo tra le parti in deroga alle previsioni della legge e del contratto collettivo laddove tale accordo era in realtà insussistente, essendo il datore di lavoro obbligato a concedere l’aspettativa in assenza di valide ragioni ostative; peraltro, se davvero si fosse realizzato, il medesimo accordo avrebbe sorretto anche l’ipotesi di aspettativa inferiore alle quattro settimane per la quale non era messo in discussione che operasse l’esclusione dell’obbligo contributivo; in sostanza, la ricorrente sostiene che l’ipotesi invocata trova valido sostegno nella espressa previsione dell’art. 40 c.c.n.l. che sarebbe fonte legittima di esclusione dell’obbligo contributivo non integrando ipotesi di accordo tra le parti del rapporto di lavoro al fine di sospendere il rapporto stesso.
2.1. Il motivo è infondato in continuità con la consolidata giurisprudenza di questa Corte di cassazione; rispetto alla motivazione adottata dalla sentenza impugnata, tuttavia, va chiarito il rapporto esistente tra le ipotesi di legittima esclusione dell’obbligo contributivo e la possibile derivazione di tale ipotesi di esclusione da fonte contrattuale collettiva.
2.2. L’art. 29 D.L.citato, nel testo applicabile alla fattispecie in esame, vigente ratione temporis, così prevede: “I datori di lavoro esercenti attività edile anche se in economia operanti sul territorio nazionale, individuati dai codici ISTAT 1991, dal 45.1 al 45.45.2, sono tenuti ad assolvere la contribuzione previdenziale ed assistenziale su di una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario di lavoro normale stabilito dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale e dai relativi contratti integrativi territoriali di attuazione, con esclusione delle assenze per malattia, infortuni, scioperi, sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, con intervento della cassa integrazione guadagni, di altri eventi indennizzati e degli eventi per i quali il trattamento economico è assolto mediante accantonamento presso le casse edili. Altri eventi potranno essere individuati con decreto del ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il ministro del tesoro, sentite le organizzazioni sindacali predette. Restano ferme le disposizioni in materia di retribuzione imponibile dettate dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12, e successive modificazioni, in materia di minimali di retribuzione ai fini contributivi e quelle di cui al D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1, comma 1, convenite, con modificazioni, dalla L. 7 dicembre 1989, n. 389. Nella retribuzione imponibile di cui a quest’ultima norma rientrano, secondo le misure previste dal D.L 29 marzo 1991, n. 103, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 1 giugno 1991, n. 166, anche gli accantonamenti e le contribuzioni alle casse edili”.
2.3. In forza di tale delega, il D.M. 16 dicembre 1996 ha disposto che, oltre alle eccezioni previste dal D.L n. 244 del 1995, art. 29, comma 1, sono da escludere: a) permessi individuali non retribuiti nel limite massimo delle 40 ore; b) eventuali anticipazioni effettuate dal datore di lavoro di somme corrispondenti agli importi della CIG; c) periodi di assenza dal lavoro per ferie collettive; d) periodi di assenza per la frequenza di corsi di formazione professionale.
2.4. Sull’interpretazione del D.L. 23 giugno 1995, n. 244, art. 29, convertito, con modificazioni, in L. 8 agosto 1995, n. 341, sono intervenute numerose pronunce di questa Corte, le quali hanno tutte affermato il carattere tassativo dell’elencazione ivi contenuta (Cass. 11 agosto 2005 n. 16873, relativa ad una fattispecie di lavoratore assente per causale non identificata; Cass. 24 gennaio 2006 n. 1301, relativa ad una fattispecie di sospensione consensuale della prestazione, alla quale ha ritenuto non applicabile la regola sul minimale di cui all’art. 29; Cass., 7 marzo 2007, n. 5233, che ha tuttavia offerto una condivisibile interpretazione di Cass., n. 1301/2006, nel senso che, da tale sentenza, può solo trarsi il principio secondo cui l’obbligo del minimale contributivo non sussiste nelle ipotesi di sospensione debitamente comunicate all’Inps in via preventiva ed oggettivamente accertabile; nonché l’ulteriore principio, secondo cui la regola del minimale e della tassatività delle ipotesi di esclusione, esprime tutto il suo vigore in caso di riduzione dell’attività, nella quale sussiste una retribuzione, seppure parziale). Ne consegue che, ove la sospensione del rapporto derivi da una libera scelta del datore di lavoro e costituisca il risultato di un accordo tra le parti, continua a permanere intatto l’obbligo retributivo, dovendosi escludere, attesa l’assenza di una identità di “ratio” tra le situazioni considerate, la possibilità di una interpretazione estensiva o, comunque, analogica, e ciò tanto più che la disposizione ha natura eccezionale e regola espressamente la possibilità e le modalità di un ampliamento dei casi d’esonero da contribuzione, che può essere effettuato esclusivamente mediante decreti interministeriali” (cfr., in termini, Cass. nr. 9805 del 2011; Cass. nr. 21700 del 2009; Cass. nr. 19662 del 2017; Cass. 10134 del 2018);
2.5. Si è, infatti, osservato che la norma correla l’entità dell’obbligo contributivo alla “retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario di lavoro normale stabilito dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale e dai relativi contratti integrativi territoriali di attuazione”, con ciò perseguendo una finalità chiaramente antielusiva (in tal senso, Cass., 13 ottobre 2009, n. 21700; 16601 del 2010).
2.5. Ripercorrendo questi precedenti, Cass., 23 gennaio 2013, n. 1577, ha osservato che il carattere di stretta interpretazione della elencazione del D.L. n. 244 del 1995, art. 29 e delle fonti normative cui esso rinvia – per l’esonero dal minimale contributivo – costituisce un principio idoneo ad escludere che accordi individuali di sospensione dall’attività, al di fuori delle causali indicate, possano condurre all’esonero dall’obbligo del minimale contributivo.
Ha aggiunto che, in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma in esame, nell’ipotesi in cui è prevista l’esenzione dell’obbligo del minimale contributivo nei casi di sospensione dell’attività aziendale con intervento della cassa integrazione guadagni – implicitamente esclusa per le aziende minori, per le quali non è previsto l’intervento della CIG – va ricompresa anche quella delle sospensioni significativamente ed oggettivamente rilevabili del rapporto di lavoro.
Con tale tesi – fatta propria anche dalla sentenza n. 5233/2007, in relazione ad una fattispecie di sospensione preventivamente comunicata dell’attività aziendale – si è ritenuto di privilegiare la “ratio” del trattamento normativo eguale di situazioni eguali, nonché il criterio di ragionevolezza, non contrastando con il carattere di stretta interpretazione della elencazione (affermato da Cass. 16873/2005) e con l’ammissibilità di un’interpretazione estensiva anche delle norme tassative (Cass. 19 marzo 2003 n. 4036, 18 dicembre 1999 n. 14302, Cass. 15 aprile 1994 n. 3556, Cass. 7 dicembre 1991 n. 13176).
La tesi riafferma così il principio della necessaria subordinazione dell’esenzione dall’obbligazione contributiva alla comunicazione della sospensione, e cioè alla formalizzazione e al controllo, come nell’ipotesi di intervento della CIG (v. in particolare Cass. 19 maggio 2008, n. 12624 ed, in senso conforme, Cass. 21700/2009, cit.; Cass., 15 luglio 2010, n. 16601; Cass., 22 aprile 2011, n. 9298).
2.7. In definitiva, si è affermato che il D.L. n. 244 del 1995, art. 29 convertito nella L. n. 341 del 1995 prevede l’esclusione dall’obbligo contributivo di una varietà di assenze, tra di loro accomunate dal fatto che vengono in considerazione situazioni in cui è la legge ad imporre al datore di lavoro di sospendere il rapporto. Ne consegue che, ove la sospensione del rapporto derivi da una libera scelta del datore di lavoro e costituisca il risultato di un accordo tra le parti, continua a permanere intatto l’obbligo contributivo, dovendosi escludere, attesa l’assenza di una identità di “ratio” tra le situazioni considerate, la possibilità di una interpretazione estensiva o, comunque, analogica, e ciò tanto più che la disposizione ha natura eccezionale e regola espressamente la possibilità e le modalità di un ampliamento dei casi d’esonero da contribuzione, che può essere effettuato esclusivamente mediante decreti interministeriali (in termini, Cass., 13 ottobre 2009, n. 21700).
2.9. Si è quindi affermato il seguente principio di diritto (già enunciato da Cass., n. 12624/2008, cit.), secondo cui “Tra le ipotesi di esenzione dall’obbligo del minimale contributivo in edilizia, elencate dal D.L. 23 giugno 1995, n. 244, art. 29 convertito in L. 8 agosto 1995, n. 341 e dal D.M. 16 dicembre 1996, vanno ricomprese anche le sospensioni di attività aziendale senza, intervento della CIG, preventivamente comunicate agli enti previdenziali, in modo da consentirne gli opportuni controlli”. Si tratta, dunque, di ipotesi in cui la sospensione dell’attività aziendale costituisce elemento oggettivo che caratterizza la fattispecie e la diversifica da altre ipotesi di mera sospensione consensuale del rapporto di lavoro.
2.8. Alla luce di questi principi, cui questa Corte intende dare continuità, ne consegue che – premesso che il D.M. 16 dicembre 1996, contempla l’eccezione all’obbligo del minimale contributivo per i permessi non retribuiti non eccedenti il limite massimo di 40 ore annue – i permessi non retribuiti, per qualsiasi ragione concessi, eccedenti il detto limite, non comportano l’esonero dal minimale contributivo che deve essere applicato per le ore eccedenti quel limite.
Unica fonte legittima di esonero è la legge ed il decreto ministeriale dalla stessa richiamato, per cui è irrilevante la questione se il riconoscimento del diritto a periodi di aspettativa superiori a quattro settimane sia o meno da considerare come mero accordo finalizzato a sospendere convenzionalmente il rapporto di lavoro.
Pure non modifica la corretta ricostruzione del quadro normativo, la posizione difensiva assunta dalle parti in ordine alle legittime fonti dell’esclusione dall’obbligo nell’ipotesi di permessi sempre di origine contrattuale collettiva ma non superiori a quattro settimane e ciò anche se tale interpretazione sia stata recepita in atti o circolari dell’istituto previdenziale (vd. circolare INPS n. 269 del 1995 richiamata dal procuratore generale durante la discussione), non vincolanti per il giudice in quanto non integranti il precetto della legge da interpretare (vd. Cass. n. 6155 del 2004; n. 18490 del 2008).
3. Non costituisce precedente contrario a quanto sin qui affermato la recente pronuncia di questa Corte di cassazione n. 11337 del 2018, richiamata dal ricorrente in memoria a proprio vantaggio, che ha ribadito la tassatività delle ipotesi di esclusione dall’obbligo di versamento del minimale contributivo richiamate dalla legge e dal d.m. del 16 dicembre 1996, affermando che la rigidità del richiamato sistema postula che sia il datore di lavoro, che pretenda la deroga, tenuto ad indicare la disposizione contrattuale, evidentemente solo applicativa di una di tali ipotesi, che la prevede nel caso specifico. Anche nel caso di specie la previsione dell’art. 40 del c.c.n.l. del settore edilizia (laddove prevede il diritto del lavoratore ad ottenere permessi non retribuiti da fruire secondo certe modalità, per almeno quattro settimane, in modo da non interferire con le esigenze organizzative imprenditoriali) non può concretizzare alcuna ipotesi ulteriore rispetto a quelle tassative sopra ricordate per legittimare l’esclusione dalla regola del minimale contributivo.
4. Il ricorso va, dunque, rigettato perché la sentenza impugnata, corretta l’affermazione secondo la quale un accordo anche implicito delle parti limitato ad una sospensione fino a quattro settimane dell’esecuzione della prestazione lavorativa legittimerebbe l’esclusione dall’obbligo contributivo, è conforme nel dispositivo ai principi su richiamati, secondo cui l’esonero dai contributi è consentito solo nelle ipotesi tassativamente indicate dal legislatore nei decreti ministeriali e le ipotesi prospettate dalla ricorrente esulano dalle eccezioni previste nelle suddetto decreto.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo in favore di ciascun contro ricorrente.
Ricorrono le condizioni, derivanti dal rigetto del ricorso, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore di ciascun contro ricorrente, in Euro 4.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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