CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 febbraio 2022, n. 5418
Insinuazione al passivo fallimentare – Crediti per contributi e sanzioni – Accertamento – Prescrizione per decorso del termine
Fatti di causa
Con decreto n. 2129 del 16.3.2019, il Tribunale di Catania ha respinto l’opposizione allo stato passivo del fallimento S. s.p.a, proposta dall’INPS per l’insinuazione di crediti per contributi e sanzioni relativi al lavoratore C.R..
Il Tribunale, dopo aver ritenuto giustificato il ritardo con cui era stata presentata la domanda di insinuazione al passivo, in ragione della necessità per l’INPS di attendere il decorso del termine di proposizione dei ricorsi amministrativi avverso l’accertamento del credito contributivo, ha ritenuto prescritti i crediti vantati dall’Istituto, considerando non applicabile il mantenimento del precedente termine decennale di prescrizione di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, lett. a) in quanto non era stata prodotta in causa la denuncia presentata dal lavoratore e non era sufficiente che di tale denuncia vi fosse menzione nel verbale ispettivo. Il Tribunale ha pure osservato che il meccanismo di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, lett. a), ultimo periodo, potesse esplicare effetti unicamente verso l’imprenditore in bonis e non nei confronti della curatela, in quanto soggetto terzo rispetto al rapporto di lavoro e a quello previdenziale.
Ciò posto, il Tribunale ha dichiarato la prescrizione in ragione del decorso del termine quinquennale tra l’epoca delle omissioni contributive accertate nel verbale ispettivo (relative al periodo compreso tra settembre 2010 ed ottobre 2012) e l’istanza di insinuazione al passivo datata 3.4.2017; si è poi precisato che, secondo i dati appena riportati, i contributi relativi al periodo dal 3.4.12 al 31.10.12, pur non essendosi prescritti, non potevano essere quantificati data la mancata produzione degli allegati richiamati nel verbale ispettivo.
La decisione impugnata, infine, ha osservato che l’accoglimento dell’eccezione (preliminare di merito) di prescrizione determinava l’assorbimento del motivo relativo al pericolo di duplicazione del credito, posto che il fatto generatore del medesimo, al netto delle sanzioni, rimaneva identico ed era costituito dalle quote di t.f.r. maturate, mese per mese, dal lavoratore.
Avverso tale decreto l’INPS ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria.
Il Fallimento S. spa non ha svolto difese.
La Sesta sezione di questa Corte di cassazione ha rimesso la causa alla Sezione ordinaria in relazione alla questione della opponibilità del meccanismo di cui all’art. 3, comma 9, lett. a) ultimo periodo della legge n. 335 del 1995, al solo imprenditore in bonis e non alla curatela fallimentare.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma n. 3), la violazione e falsa applicazione della L. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10 e dell’art. 2697 c.c., per non essere stato ritenuto che il verbale ispettivo regolarmente notificato abbia interrotto il decorso del termine di prescrizione.
L ‘INPS ha ribadito l’applicabilità del termine decennale di prescrizione sul rilievo della avvenuta produzione in giudizio (doc. 7 fascicolo di parte INPS) della denuncia presentata dal lavoratore il 26.6.2014, la cui ricezione risulta attestata dal protocollo informatico; ha aggiunto che, ove anche si ritenesse applicabile il termine quinquennale di prescrizione, non potrebbe dirsi prescritta l’intera somma pretesa poiché nel giudizio era stata acquisita la data del primo accesso ispettivo (31.7,15), atto a sospendere il decorso della prescrizione, nonché la data di notifica del primo verbale (12.8.15) valida ai fini della interruzione della prescrizione in relazione a contributi e sanzioni di cui è stata accertata la debenza con riferimento a tutti i lavoratori (fra cui C.R.); prescrizione nuovamente interrotta dal secondo verbale ispettivo riferito alla posizione di quest’ultimo dipendente; di conseguenza, avrebbero dovuto ritenersi non prescritti i contributi relativi al quinquennio antecedente al 31.7.15.
Con il secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma n. 3), la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 5, commi 9 e 10, per avere il Tribunale considerato prescritti anche i contributi relativi al periodo dal 3.4.12 al 31.10.12; difatti, pur individuando il primo atto interruttivo nell’istanza di insinuazione al passivo del 3.4.17, risulterebbero non prescritti i crediti maturati nel quinquennio anteriore al 3.4.17.
E’ opportuno premettere che oggetto della domanda di insinuazione al passivo è la somma pari ai versamenti non effettuati dalla S. s,p.a. al Fondo di Tesoreria INPS, relativamente alla posizione del dipendente C.R..
Come è noto, la legge finanziaria per l’anno 2007 (l. n. 296 del 2006, art. 1, comma 755) ha istituito il “Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all’articolo 2120 del codice civile” (Fondo di Tesoreria Inps), il quale è finanziato da un contributo pari alla quota di cui all’art. 2120 c.c. maturata da ciascun lavoratore del settore privato a decorrere dal 10 gennaio 2007 e non destinata alle forme pensionistiche complementari di cui al d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252.
Sono obbligati al versamento del contributo i datori di lavoro del settore privato che abbiano alle proprie dipendenze almeno 50 addetti e, per effetto delle previsioni della norma in esame, l’accantonamento datoriale ai sensi dell’art. 2120 c.c., a titolo di trattamento di fine rapporto, da versare all’Istituto, assume la natura di contribuzione previdenziale, equiparata, ai fini dell’accertamento e della riscossione, a quella obbligatoria dovuta a carico del datore di lavoro.
In ordine all’obbligo contributivo in questione, il D.M. emanato ex art. 1, comma 757, l. n. 296/2006 prevede, tra l’altro che, in caso di manifestazione della volontà del lavoratore di mantenere in tutto o in parte il Tfr di cui all’art. 2120 c.c., il datore di lavoro che abbia alle proprie dipendenze almeno 50 addetti è obbligato al versamento del contributo al Fondo di Tesoreria Inps, dal 10 gennaio 2007 ovvero dalla data di assunzione se successiva ed il versamento del contributo al Fondo di Tesoreria dovrà essere effettuato dai datori di lavoro mensilmente, con le modalità e i termini previsti per il versamento della contribuzione previdenziale obbligatoria, e ai fini dell’accertamento e della riscossione dello stesso troveranno applicazione le disposizioni vigenti in materia di contribuzione previdenziale obbligatoria.
A ciò consegue che le prestazioni erogate soggiacciono al generale principio di automaticità di cui all’art. 2116 c.c. per cui il Fondo deve corrispondere il Tfr al lavoratore anche in assenza del relativo versamento da parte del datore di lavoro, fatta salva la eventuale prescrizione.
La questione posta dalla prima parte del primo motivo ed oggetto dell’ordinanza interlocutoria n. 1364 del 2021, che si interroga sulla opponibilità al curatore della denuncia del lavoratore ai sensi dell’art. 3, comma 9 lett. a), l. n. 335 del 1995, non è tuttavia rilevante ai fini della concreta fattispecie.
Essa, infatti, ha per oggetto crediti asseritamente maturati tra il settembre 2010 e l’ottobre del 2012 e la denuncia del lavoratore non produce alcun effetto rispetto al termine di prescrizione, al di fuori del periodo transitorio rispetto all’entrata in vigore dell’art. 3 l. n.335 del 1995.
Ciò in applicazione del principio affermato dalla successiva sentenza di questa Corte n. 5820 del 2021, cui si intende dare continuità, secondo il quale l’art. 3, commi 9 e 10,lI. 335 del 1995, nell’abbreviare i termini di prescrizione, ha dettato anche una speciale disciplina transitoria, che intende garantire i lavoratori, corrispondendo, nel contempo, anche ad un’esigenza di equilibrio finanziario degli enti previdenziali, e che trova espressione altresì nell’indisponibilità negoziale della materia, sancita dall’art. 2115 c.c., comma 3, la quale vieta al contribuente di rinunciare alla prescrizione ed all’ente di ricevere i contributi prescritti, potendo la prescrizione del credito contributivo essere rilevata dal giudice in ogni stato e grado del processo.
Il disposto normativo dei due commi è stato letto in modo necessariamente congiunto, giacché, entrando in vigore il 17-8-1995, il medesimo ha disposto, per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, che il termine di prescrizione è di dieci anni ed “è ridotto a cinque anni” “a decorrere dal 1 gennaio 1996” “salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti”. Inoltre, i “termini di prescrizione di cui al comma 9” “si applicano anche alle contribuzioni relative a periodi precedenti la data di entrata in vigore della presente legge, fatta eccezione per i casi di atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente”.
Che la denuncia del lavoratore (o dei suoi superstiti) abbia rilievo specifico in tema di prescrizione dell’obbligo contributivo solo all’interno del meccanismo regolatorio stabilito in via di disciplina transitoria dai commi in commento, lo si ricava anche e soprattutto dalla considerazione, di tipo sistematico, che muove dal rapporto di netta autonomia che esiste tra il rapporto contributivo (che lega il datore di lavoro e l’Istituto previdenziale) ed il rapporto previdenziale (che lega il lavoratore al medesimo Istituto), così come autonomo rispetto a tali rapporti è il rapporto di lavoro che lega il lavoratore al datore di lavoro.
Da ciò si ricava, dunque, che l’ipotesi contenuta nel comma 9 del citato art. 3 l. n. 335 del 1995 non esprime una fattispecie < speciale> di prescrizione dei contributi con termine decennale, ma una fattispecie di diritto transitorio funzionale al mantenimento temporaneo del previgente termine decennale, che non risulta come tate applicabile alla fattispecie in esame.
E’ invece fondato il secondo profilo del motivo in esame.
La seconda parte del primo motivo riguarda la doglianza che, ove anche si ritenesse applicabile il termine quinquennale di prescrizione, non potrebbe dirsi prescritta l’intera somma pretesa, posto che la data di notifica del primo verbale, datato 31 luglio 2015, era avvenuta il 12.8.15 e deve ritenersi valida ai fini della interruzione della prescrizione in relazione a contributi e sanzioni di cui è stata accertata la debenza con riferimento a tutti i lavoratori fra cui il R.; inoltre la prescrizione sarebbe stata nuovamente interrotta dal secondo verbale ispettivo riferito alla posizione di quest’ultimo dipendente, notificato il 25 ottobre 2016, e di conseguenza, avrebbero dovuto ritenersi non prescritti i contributi relativi al quinquennio antecedente a tale data.
In effetti, sul punto il decreto impugnato ha affermato che il periodo contributivo oggetto di domanda di insinuazione al passivo andava dal settembre 2010 al dicembre 2012 e, quale atto potenzialmente interruttivo della prescrizione, ha considerato la sola domanda di insinuazione al passivo del 3 aprile 2017, senza minimamente considerare l’eventuale effetto interruttivo del verbale ispettivo del 26 ottobre 2016, svolto nei confronti della curatela e della cui esistenza e contenuto lo stesso decreto dà atto alla pagina 1 ed alla pagina 4 ( rilevando l’assenza degli allegati e da ciò ricavando l’impossibilità di effettuare consulenza contabile sul quantum della pretesa), né tantomeno dei verbale del 31 luglio 2015, notificato il 12 agosto 2015 a mezzo raccomandata alla S. spa in persona del curatore fallimentare avvocato A., che l’INPS ha allegato al ricorso per cassazione, dopo aver debitamente specificato il luogo e l’epoca della sua produzione in giudizio.
Ciò integra il vizio di violazione di legge denunciato giacché costituisce costante affermazione di questa Corte di cassazione quella che ribadisce la idoneità della notifica del verbale ispettivo dell’INPS ad interrompere la prescrizione (vd, tra le altre Cass. 19649 del 2012; Cass. 23882 del 2018).
Il decreto impugnato va, dunque, cassato dovendo il Tribunale di Catania, in diversa composizione e quale giudice del rinvio, procedere a verificare l’eventuale prescrizione, anche in ipotesi parziale, del credito preteso dall’INPS alla luce degli atti sopra indicati.
E’, infine, inammissibile il secondo motivo, con il quale si deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, per avere il Tribunale considerato prescritti anche i contributi relativi al periodo dal 3.4.12 al 31.10.12.
Va rilevato che il motivo non si confronta con il decreto impugnato, che non ha negato l’effetto potenzialmente interruttivo della domanda di insinuazione al passivo, ma ha rilevato che l’omessa produzione degli allegati richiamati dal verbale ispettivo non rendeva possibile la quantificazione dei contributi da ammettere al passivo e che non era ammissibile procedere all’accertamento mediante una consulenza tecnica ritenuta meramente esplorativa.
Tale ratio decidendi non è stata attinta dal motivo in esame e, quindi, indipendentemente dalla correttezza della decisione, nessun giudizio può essere formulato da questa Corte di legittimità.
In definitiva, accolto in parte qua il primo motivo e dichiarato inammissibile il secondo, il decreto impugnato va cassato per quanto di ragione e la causa va rinviata al Tribunale di Catania in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità, affinché proceda all’esame dell’opposizione allo stato passivo alla luce delle superiori statuizioni.
P.Q.M.
accoglie in parte qua il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo, cassa il decreto impugnato per quanto di ragione e rinvia al Tribunale di Catania in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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