CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 7145 depositata il 18 gennaio 2021

Omessa presentazione delle denunce obbligatorie – Reato ex art. 37 L. 24 novembre 1981, n. 689 – Dolo specifico – Finalità di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza – Mero fatto della consapevolezza dell’inadempimento – Specificità del contesto in cui si colloca la condotta

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza emessa in data 25 novembre 2019, la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Ancona, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di F.S. e M.B. per il reato di omessa presentazione delle denunce obbligatorie ex art. 37 legge 24 novembre 1981, n. 689, e succ. modific., dal settembre al novembre 2014, ha assolto i medesimi dall’identico reato per i mesi di dicembre 2015 e gennaio 2015, ed ha rideterminato la pena, per ciascuno, in due mesi e dieci giorni di reclusione.

Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, i due precisati imputati, nella qualità di soci e liquidatori della società “I. s.r.l.”, avrebbero omesso, nei mesi da settembre a novembre 2014, di presentare le denunce obbligatorie per il versamento dei contributi all’I.N.P.S., con conseguente omesso versamento dei medesimi contributi.

2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe F.S. e M.B., con un unico atto a firma dell’avvocato G.O., articolando tre motivi.

2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo alla nullità della sentenza per difetto di contestazione o, comunque, di correlazione con l’accusa.

Si deduce che il reato di cui all’art. 37 della legge 24 novembre 1981, n. 689, richiede il dolo specifico, rilevando la finalità di «non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie», e che, però, tale elemento non è stato indicato in contestazione. Si evidenzia, in particolare, che, nel capo di imputazione, l’omesso versamento dei contributi è stato indicato come conseguenza della condotta e non come finalità.

2.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del dolo specifico.

Si deduce che non è spiegato perché gli imputati, nello svolgimento dell’incarico di liquidatori della società “I. s.r.l.”, abbiano agito al fine di non pagare i contributi, e che non sono state date risposte alle specifiche censure formulate sul punto con l’atto di appello. Si rappresenta, in particolare, che, nell’atto di appello, si era segnalato che, per gli adempimenti relativi all’elaborazione dei prospetti paga e all’inoltro delle comunicazioni all’I.N.P.S., i ricorrenti avevano investito gli organi della procedura di concordato preventivo cui era sottoposta la società, segnatamente l’avvocato B. e la dottoressa C., e che costoro non avevano effettuato nomine o autorizzato gli imputati ad effettuare nomine di consulenti.

2.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla determinazione della pena, alla mancata conversione della pena detentiva in pena pecuniaria e al mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen.

Si deduce che illegittimamente sono stati esclusi un trattamento più mite e l’applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, perché non si è considerato come il mancato pagamento dei contributi all’I.N.P.S. sia stato  causato, nella sostanza, dall’assenza di risorse economiche e non certo dalle violazioni formali dell’omessa denuncia, e perché non sono stati indicati i precedenti ostativi alla operatività dell’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen.

Considerato in diritto

1. I ricorsi sono fondati nei limiti di seguito precisati.

2. Infondate sono le censure formulate nel primo motivo, e che contestano il difetto di contestazione o, comunque, la mancata correlazione tra accusa e sentenza, per la mancata indicazione, nel capo di accusa, del dolo specifico.

2.1. Sembra utile premettere che, nella specie, non si pone un problema di difetto di correlazione tra accusa e sentenza.

Il vizio appena indicato, infatti, presuppone un mutamento del fatto, ossia una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta  nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, tale da configurare  un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, non desumibile dal confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza, e da escludere quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (per questa nozione di difetto di correlazione tra accusa e sentenza, cfr., in special modo, Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010. Carelli, Rv. 248051-01, e Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619-01).

Nella vicenda in esame, però, il ricorrente non deduce alcuna modificazione del fatto, bensì la mancata contestazione di un ulteriore elemento della fattispecie, quello costituito dal dolo specifico.

2.2. Deve essere escluso, poi, che, nella specie, l’asserito difetto di contestazione si sia tradotto nel vizio di mancata enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto contestato, così come richiesto a pena di nullità dall’art. 429, commi 1, lett. c), e 2, cod. proc. pen. Costituisce insegnamento ampiamente consolidato quello secondo cui, in tema di citazione a giudizio, non vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all’imputato di difendersi (così, tra le tante, Sez. 5, n. 16993 del 02/03/2020, Latini, Rv. 279090-01, e Sez. 2, n. 16817 del 27/03/2008, Muro, Rv. 239758-01).

Ora, con riferimento al reato di omessa presentazione delle denunce obbligatorie di cui all’art. 37 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e succ. modific., la mancata espressa indicazione del dolo specifico nell’imputazione non determina alcuna incertezza sui fatti nella stessa descritti. Invero, il dolo specifico attiene ad un fatto psicologico, che, non dovendo tradursi o manifestarsi in predeterminati accadimenti ulteriori, può essere evocato, senza incertezze e rischi di equivoci o confusione, anche solo attraverso il richiamo alla disposizione incriminatrice, come appunto avvenuto nella vicenda in esame. Del resto, con riguardo ad un problema analogo, in tema di premeditazione, la giurisprudenza afferma costantemente, che, ai fini della rituale contestazione di tale circostanza, siccome la stessa è relativa alla particolare intensità del dolo, non occorre che nel capo d’imputazione siano descritti gli elementi di fatto dai quali sarebbe desumibile la sua sussistenza, essendo sufficiente e necessario che ne sia indicato il solo nomen juris (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 41124 del 10/04/2018, Petrianni, Rv. 274356-01).

3. Fondate, invece, sono le censure dedotte nel secondo motivo, e che contestano l’assenza di una valida motivazione circa la sussistenza del dolo specifico.

In linea con quanto si evince dalla lettera dell’art. 37, comma 1, legge 24 novembre 1981, n. 689, e succ. modific., la giurisprudenza ha precisato che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 37 della legge 24 novembre 1981 n. 689, è necessario che le condotte siano poste in essere con il dolo specifico di non versare in tutto o in parte i contributi previdenziali o assistenziali, e che, a tal fine, non sono sufficienti né il dolo generico, né il dolo eventuale (così Sez. 3, n. 48526 del 18/11/2004, Beleggia, Rv. 230487-01, anche in motivazione). Nella specie, la sentenza impugnata ha affermato la sussistenza, in capo agli imputati, della finalità specifica di non provvedere ai pagamenti dei contributi all’I.N.P.S., desumendola dalla totale omissione delle denunce per i mesi da settembre a novembre 2014, e dalle conseguenze di ulteriore aggravio economico a carico della società in caso di adempimento dell’obbligo.

Le circostanze fattuali evidenziate sono però inidonee a dimostrare la finalità richiesta dalla legge, perché la inferiscono dal mero fatto della consapevolezza dell’inadempimento, senza confrontarsi con le specificità del contesto in cui si colloca la condotta. Ed infatti, pur volendo ritenere accertata la consapevolezza dell’omissione, prima di concludere che tale condotta avesse la finalità specifica di evasione contributiva, occorreva dare conto dell’irrilevanza di quelle circostanze fattuali potenzialmente contrastanti con questa ricostruzione, presenti nella specie, e costituite dalla concomitante sottoposizione della società ad una procedura di concordato preventivo, con conseguente immediata rilevabilità delle violazioni degli obblighi di versamento, nonché dalla brevità della protrazione dell’inadempimento, pari a tre mesi, e dalla immediata prossimità di tale fatto alla dichiarazione di fallimento.

Deve quindi ritenersi che la sentenza impugnata è affetta da vizio di motivazione in ordine all’accertamento del dolo specifico richiesto dalla disposizione incriminatrice.

4. Al vizio rilevato segue l’annullamento della sentenza impugnata per la necessità di un nuovo giudizio diretto ad accertare, in modo logicamente e giuridicamente corretto, se il fatto sia stato commesso «al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie».

Nel compiere l’indicato accertamento, il giudice del rinvio procederà ad un nuovo apprezzamento degli elementi della fattispecie, eventualmente anche all’esito di ulteriori acquisizioni istruttorie, se ritenute necessarie, evitando di incorrere nei vizi precedentemente segnalati. Il vizio riscontrato assorbe, allo stato, le questioni poste nel terzo motivo, e concernenti l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., la determinazione della pena e la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria. Si tratta, infatti, di profili che presuppongono come già avvenuto l’accertamento circa la sussistenza del reato e, quindi, anche del dolo specifico.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Perugia.