CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 giugno 2018, n. 16028
Previdenza – Dipendenti Inps – Vincolo di subordinazione – Ripristino del trattamento pensionistico di anzianità – Domanda di costituzione di rendita vitalizia
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 21 ottobre 2016, ha confermato la decisione di primo grado, che aveva rigettato la domanda proposta da A.M.R. per il ripristino del trattamento pensionistico di anzianità in godimento, revocato dall’INPS sul presupposto dell’annullamento dell’accredito di due periodi contributivi, per i quali l’assistita era stata ammessa al riscatto.
2. La Corte di merito, premesso in fatto che la vicenda traeva origine da un’indagine penale nei confronti di alcuni dipendenti INPS della sede di Benevento, conclusasi con sentenza penale di condanna, riteneva, per entrambi i periodi lavorativi controversi (dal 9 maggio 1963 all’8 gennaio 1968 e dal 9 gennaio 1968 al 29 settembre 1988), priva di rilievo la documentazione prodotta, quanto al primo periodo, e non indicativa del vincolo di subordinazione e neanche priva di sospetti di autenticità, quanto al secondo periodo, non potendo dalla stessa desumersi, con certezza e in modo univoco, l’esistenza del dedotto rapporto di lavoro.
3. Riteneva, inoltre, quanto al legittimo affidamento asseritamente ingenerato dall’accoglimento della domanda di costituzione di rendita vitalizia, non ingenerabile alcun legittimo affidamento nel provvedimento di accoglimento dell’istanza da parte di funzionario poi rivelatosi infedele, in considerazione delle qualità professionali dell’assicurata (avvocato) e della consapevolezza dell’insufficienza e inidoneità del corredo documentale della domanda di costituzione della rendita; e, in definitiva, non necessaria la ponderazione dell’interesse privato con quello pubblico, in caso di rimozione di un ingiusto vantaggio conseguito dal privato privo di titolo per reclamare una tutela non spettante.
4. Avverso tale sentenza ricorre A.M.R., con ricorso affidato a tre articolati motivi.
5. O.L. e l’Istituto nazionale scuole e corsi professionali sono rimasti intimati; l’INPS ha conferito delega in calce alla copia notificata del ricorso.
Ragioni della decisione
6. Con il primo motivo, deducendo violazione dell’art. 14 della legge 11 febbraio 2005, n. 15 che ha modificato l’art. 21 legge n. 241 del 1990 e omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, la parte ricorrente si duole che la Corte di merito, ritenendo legittimo l’annullamento d’ufficio dopo otto anni dalla notifica del provvedimento di accoglimento, abbia disatteso le circolari dell’ente e la giurisprudenza amministrativa che reputano illegittimo l’annullamento d’ufficio esercitato in termine non ragionevole (tre anni secondo le circolari Inps dell’epoca; 18 mesi come previsto dalle norme rubricate), pregiudicando situazioni consolidatesi per effetto del provvedimento annullato e non sussistendo ragioni di interesse pubblico; motivazione apodittica, carente e fondata su presupposti non veritieri quanto al punto decisivo della controversia della esistenza dell’affidamento.
7. In particolare, assume la ricorrente che l’affidamento del cittadino inerisce non solo all’acquisizione di un diritto consolidato (la pensione di anzianità) ma anche all’affidamento connesso al decorso del tempo, giacché il lungo tempo trascorso crea un’aspettativa di coerenza dell’amministrazione con il proprio precedente comportamento e all’affidamento corrisponde l’obbligo di comportarsi secondo buona fede cui corrisponde l’interesse del beneficiario alla legittimità del provvedimento; che la convinta certezza della legittimità del provvedimento di accoglimento della domanda di costituzione di rendita vitalizia aveva indotto la ricorrente al pagamento della considerevole somma a titolo di riscatto, pena la decadenza dalla domanda, dal richiedere all’INPDAP la ricongiunzione e alla presentazione della domanda di dimissioni dal servizio, collegata alla richiesta pensione di anzianità; richiama, infine, precedenti della Corte di giustizia sul principio dell’affidamento come principio dell’ordinamento comunitario al quale deve essere improntata l’azione amministrativa.
8. Con il secondo motivo, deducendo violazione della legge 14 gennaio 1994, n.20 e mancata decisione su un punto decisivo della controversia, la parte lamenta la mancata applicazione della predetta disposizione che esclude l’interesse pubblico per poter procedere all’annullamento d’ufficio quando il danno economico, costituito dall’indebito, può essere recuperato direttamente nei confronti del funzionario negligente e non del cittadino interessato, sicché l’annullamento d’ufficio non costituisce l’unica azione esperibile dall’INPS che poteva recuperare il danno economico dai responsabili dell’istituto che avevano contribuito alla definizione del procedimento di accoglimento della domanda di rendita vitalizia o che avevano omesso la sua revoca.
9. Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 11 e 12 delle preleggi e omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, la sentenza è censurata per avere la Corte di merito ipotizzato l’esistenza di un errore di diritto, tuttavia escludendolo perché frutto del comportamento infedele di alcuni funzionari; assume, inoltre, che l’errore di diritto sarebbe consistito in una diversa interpretazione dell’art. 13, quarto e quinto comma, della legge 12 agosto 1962, n. 1338 e, in particolare, sulla prova scritta del rapporto di lavoro, interpretazione svolta dall’INPS dopo otto anni dalla precedente valutazione effettuata in occasione dell’accoglimento della domanda di rendita.
10. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
11. I motivi con i quali si lamenta un asserito vizio della motivazione in punto di fatto e l’omesso esame di un punto decisivo, sono inammissibili per l’assorbente rilievo che, in virtù del combinato disposto del nuovo testo dell’art. 360 cod.proc.civ., e dell’art. 348-ter, commi 4 e 5 cod.proc.civ., (come, rispettivamente, modificato e introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile, ai sensi dello stesso art. 54, comma 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12 settembre 2012 e, quindi, anche alla sentenza della cui impugnazione si discute), il vizio motivazionale non è spendibile – al di fuori dei casi di cui all’art. 348- bis, secondo comma, lett. a) cod.proc.civ. – in ipotesi di doppia pronuncia conforme di merito, come avvenuto nella presente controversia (cfr., fra le tante, Cass.2 luglio 2015, n. 13580).
12. Invero, all’esito di una doppia pronuncia conforme di merito, siccome prevista dal quinto comma dell’art. 348-tercod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità (cfr. fra le tante, Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774), adempimento, nella specie, non assolto.
13. Quanto ai motivi incentrati sulla violazione di legge è sufficiente richiamare consolidati principi di questa Corte, nel senso della natura meramente ricognitiva del procedimento amministrativo preordinato all’accertamento, alla liquidazione e all’adempimento della prestazione pensionistica in favore dell’assicurato, dal che deriva che l’inosservanza, da parte del competente Istituto previdenziale, delle regole proprie di questo procedimento, come, più in generale, delle prescrizioni concernenti il giusto procedimento, dettate dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, o dei precetti di buona fede e correttezza, non dispiega incidenza alcuna sul rapporto obbligatorio avente ad oggetto quella prestazione, rapporto che, nascendo ex lege al verificarsi dei requisiti previsti, è completamente protetto dal giudice dei diritti soggettivi, il quale può non solo interamente sostituirsi all’attività della p.a. (non operando, in proposito, i divieti riconducibili alla previsione dell’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E) allorché da parte di questa vi sia stata inerzia, pregiudizievole per il diritto di credito del privato, nello svolgimento del relativo procedimento, ma anche, in ogni caso, prescindere dallo stesso procedimento nella decisione della controversia a lui devoluta (v., fra le altre, Cass. 24 febbraio 2003, n. 2804).
14. Conseguenza dell’indifferenza del procedimento amministrativo rispetto alla consistenza della situazione creditoria o debitoria è che l’assicurato non può, in difetto dei fatti costitutivi della relativa obbligazione, fondare la pretesa giudiziale di pagamento della prestazione previdenziale rinvenendone la causa in disfunzioni procedimentali addebitabili all’Istituto, salva restando razionabilità da parte sua, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., di una domanda di risarcimento del danno cagionato dal comportamento dell’Istituto medesimo (v., fra le altre, Cass. n.2804 del 2003 cit.).
15. Nella specie, la Corte di merito si è attenuta agli esposti principi e, peraltro, la delibazione di inidoneità probatoria della documentazione prodotta per ritenere sussistenti i controversi rapporti lavorativi, e i correlati periodi contributivi, costituente doppia ratio della motivazione, non è stata neanche fatto segno di censure per infirmare la validità della sentenza impugnata.
16. In conclusione, il ricorso va rigettato.
17. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, in favore dell’INPS che ha conferito delega in calce alla copia notificata del ricorso, seguono la soccombenza; nulla spese per le parti rimaste intimate.
18. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass., Sez. U., 17 ottobre 2014, n. 22035 e alle numerose successive conformi).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese processuali liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 1.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13,comma 1 – quater, d.P.R. 115/2002, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13,comma 1-bis.
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