CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 luglio 2018, n. 19089
Rapporto di lavoro – Procedimenti disciplinari – Rifiuto della prestazione – Sopensione dal servizio e dalla retribuzione – Licenziamenti – Invalidità – Accertamento
Fatti di causa
1. C. M., dipendente della società Trenitalia s.p.a. con mansioni di macchinista e R.S.U., era stato destinatario di sei procedimenti disciplinari, dei quali i primi quattro definiti con la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione (fatti relativi al rifiuto della prestazione, relativi all’abusivo viaggio a Roma su treno della società e ad altri episodi di rifiuto della prestazione) e gli ulteriori procedimenti culminati con due licenziamenti del 5 e del 15 febbraio 2013, dei quali il primo connesso alla contestazione del 10 gennaio 2013 per l’episodio dell’invio di una mail in data 11.12.2012 ed il secondo ad una contestazione del 23 gennaio 2013, per rifiuto della prestazione nei gg. 10-12-18 dicembre 2012.
2. Il Tribunale di Treviso aveva ritenuto che non potesse essere irrogato il primo licenziamento in quanto il fatto contestato integrava una delle ipotesi di responsabilità disciplinare a cui era applicabile una sanzione conservativa e che il secondo fosse inefficace ed invalido in quanto non inerente a fatti sopravvenuti, essendo stata predisposta la relativa contestazione in data precedente alla lettera di invio del primo licenziamento.
3. Con sentenza non definitiva del 29.1.2016, la Corte di appello di Venezia rigettava il reclamo principale proposto da Trenitalia s.p.a. avverso la decisione del Tribunale di Treviso, osservando che era connotata da carattere ingiurioso la sola frase con la quale il lavoratore, in sede di giustificazioni, aveva apostrofato la dirigenza come “sorda e arrogante”, in quanto le ulteriori espressioni triviali erano indice soltanto dello spirito polemico e conflittuale animante l’autore delle stesse e rilevando che difettava il livello di gravità richiesto anche perché la condotta era punita con sanzione conservativa. Quanto all’abusivo impiego e diffusione di indirizzi mail cui la stessa mail era indirizzata ad altri soggetti, estranei alla dirigenza aziendale, non poteva considerarsi violato il vincolo della segretezza, ma doveva ritenersi che la condotta fosse sanzionabile con provvedimento conservativo (art. 61 lett. e del c.c.n.l. di riferimento). Doveva, pertanto, ritenersi che per una parte delle condotte contestate era risultato insussistente il fatto materiale e che per le altre la punibilità era consentita con sanzione conservativa.
4. Sulla reiterazione del licenziamento, anche con riferimento alla previsione della contestualità delle motivazioni, i fatti posti a base del secondo licenziamento risalivano al 10, 11 e 18 dicembre 2013, e quindi a periodo anteriore al primo licenziamento, sicché doveva ritenersi consumato il potere di sanzionarli, posto che il datore era già nella condizione di valutare unitariamente i fatti addebitati e di procedere con un solo atto sanzionatorio. Quanto alla sanzione della reintegra per il secondo licenziamento, il Collegio rinviava alle considerazioni espresse, ritenendo applicabile tale tipo di tutela anche in relazione all’assorbimento dei motivi attinenti al merito del secondo licenziamento.
5. Veniva, poi, respinto il reclamo incidentale del C., rilevandosi come il vizio relativo alla tempestività del secondo licenziamento trovasse sanzione nella previsione dell’art. 18, comma 6, I. 300/70 come novellato, e che le sanzioni conservative erano state valutate ai fini della recidiva, non contestata specificamente dal reclamante incidentale.
7. Infine, veniva disposta la prosecuzione del giudizio per consentire l’esibizione della documentazione utile alla prova dell’aliunde perceptum e percipiendum.
8. Di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l’impugnazione a sei motivi – illustrati con memoria deposita ai sensi dell’art. 378 c.p.c. -, cui resiste, con controricorso, il C., il quale propone ricorso incidentale, basato su cinque motivi.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente, deve disattendersi l’eccezione, sollevata in memoria dalla ricorrente, relativa alla inammissibilità, per tardività, del ricorso incidentale sul rilievo che l’impugnazione sarebbe consentita anche , al ricorrente incidentale nel termine di gg. 60 previsto dall’art. 1 comma 62 e ss., I. 92/2012 a pena di decadenza, mancando una norma che abiliti l’impugnazione tardiva.
2. Va osservato che l’art. 1 l. 92/2012 stabilisce, al comma 62 – con norma speciale rispetto alla disciplina generale del cosiddetto termine breve di impugnazione dettata dagli artt. 325 e 326 cod. proc. civ. – che il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello a definizione del reclamo “deve essere proposto, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa o dalla notificazione se anteriore”. Tale previsione non autorizza a ritenere, tuttavia, che anche il ricorrente incidentale debba rispettare tale termine di decadenza. Al riguardo può, invero, richiamarsi quanto affermato, sebbene con riguardo al reclamo incidentale, da Cass. 29.11.2016 n. 28425, secondo cui “Le esigenze acceleratorie previste dal rito di cui all’art. 1, commi 48 e segg. della I. n. 92 del 2012 riguardano l’impulso processuale e la struttura (bifasica) del procedimento di primo grado, mentre la disciplina processuale in tema di reclamo deve necessariamente integrarsi con quella in tema di appello nel rito del lavoro, sicché, una volta proposto tempestivo reclamo principale, deve ritenersi che il reclamato ben possa proporre (anche ai sensi dell’art. 24 Cost.) reclamo incidentale, nei termini di cui all’art. 436 c.p.c”. In simmetria con la previsione di tale possibilità deve, pertanto, ritenersi che valgano ugualmente, per il ricorso incidentale ex art. 371 c.p.c., le modalità e le previsioni degli artt. 333 e 334 c.p.c., ai fini della proposizione di impugnazione incidentale tardiva avverso la sentenza emessa in sede di reclamo ai sensi dell’art. 1, comma 60, l. 92/2012.
3. Con il primo motivo del ricorso principale, è denunziata violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., dolendosi la società ricorrente della valutazione compiuta dal giudice del gravame in ordine alla esistenza di sanzione conservativa per le condotte poste a fondamento del primo licenziamento, pure in assenza di allegazione al riguardo, avendo pronunciato ultra petita sotto il profilo dell’inserimento di un fatto nuovo a fondamento della pretesa.
4. Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1324, 1362 e ss., 2104, 1175 e 1375 c.c., dell’ art. 56 c.c.n.l. Mobilità/Attività Ferroviarie 20.7.2012 e dell’art. 18, 4° comma, I. 300/70, quanto all’interpretazione delle giustificazioni alla prima contestazione rese nell’e-mail 11 dicembre 2012, sostenendosi che, alla luce dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, doveva ritenersi sussistente l’atteggiamento intimidatorio assunto dal lavoratore (frase: “ci vedremo in Tribunale”) e che doveva essere considerato anche l’atteggiamento ostile e sprezzante assunto nella lettera in questione, sicché non poteva sostenersi che le espressioni utilizzate fossero espressive di un mero intento difensivo.
5. Con il terzo motivo, è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 62 e 64 CCNL, dell’art. 18, 4 0 comma, I. 300/70, per avere la Corte ricondotto la fattispecie alla previsione di cui all’art. 61, lett. e, CCNL in assenza dei suoi elementi costitutivi, in quanto la fattispecie, fatta rientrare dalla Corte nella suddetta ipotesi (inosservanza di leggi o regolamenti o dei doveri di servizio che avrebbe….), rientrava più correttamente in quella di cui alla lett. C dello stesso articolo, che prevede “Violazione dolosa di leggi, di regolamenti o dei doveri che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio all’azienda o a terzi”. Si rileva, poi, come erroneo sia anche il richiamo alla previsione di sanzione conservativa ex art. 62 lett. c) c.c.n.l. (“per minacce o ingiurie gravi verso altri dipendenti dell’azienda o per manifestazioni calunniose o diffamatorie, anche nei confronti dell’azienda”), per non essersi il C. limitato a manifestazione diffamatoria, ma avendo lo stesso violato le disposizioni aziendali nell’utilizzo e diffusione abusivi di indirizzi diposta aziendali. Si sostiene che sia incorso anche nell’illecito di cui all’art. 167 d. lgs. 196/2003 e che la condotta addebitata sia prevista dall’art. 64 lett. c) ccnI – licenziamento senza preavviso – “violazione dolose di leggi regolamenti o dei doveri che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio all’azienda o a terzi”.
6) Con il quarto motivo, la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 7 I. 300/70 e dell’art. 66 c.c.n.l., in relazione alla ritenuta avvenuta consumazione del potere di recesso con riguardo al secondo licenziamento (per essere già note, alla data di intimazione del primo licenziamento del 5 febbraio 2002, le condotte, già contestate, poste a fondamento del secondo licenziamento), sul rilievo che la società aveva posto a fondamento del primo licenziamento i soli fatti addebitati con contestazione disciplinare del 10.1.2013, poiché il secondo procedimento disciplinare, nel rispetto dalla procedura dei cui all’art. 7 n. 300/70 e delle relative previsioni collettive (art. 66) era ancora pendente. Osserva, a sostegno delle indicate affermazioni, che, con lettera del 10 gennaio 2013, consegnata il 17.1.2013, la società aveva elevato contestazione disciplinare relativa all’e-nnail dell’il dicembre 2012, sicché, dovendo il provvedimento disciplinare essere notificato entro 10 gg. Dalla scadenza del termine assegnato al dipendente per le giustificazioni, la società non avrebbe potuto procrastinare il primo licenziamento, ponendosi al più un problema di tempestività della contestazione, la Corte cui violazione non comportava la reintegra, ma la tutela di cui all’art. 18, comma 6, I. 300/70.
7. Il quinto motivo ascrive alla decisione impugnata la violazione dell’art. 112 c.p.c., per l’omessa pronuncia, con riguardo al “rinvio alle superiori considerazioni” in relazione alla disposta reintegra anche per il secondo licenziamento.
8. Il sesto motivo attiene alla denunzia di violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4 0 , I. 300/70, per avere la Corte del merito confermato l’applicazione del regime di tutela reintegratoria in assenza dei relativi presupposti e delle ipotesi previste dalla legge, essendo da ritenere, peraltro, sussistenti i fatti addebitati al ricorrente.
9. Il primo motivo del ricorso principale è da disattendere, sul rilievo che nel controricorso il C. riporta ampi stralci del ricorso ex art 1, comma 51, I. 92/2012, nonché le relative conclusioni, oltre che del ricorso in opposizione, in cui si evidenzia che l’ipotesi contestata non rientra tra quelle per le quali la contrattazione collettiva sancisce il licenziamento per giusta causa e che, in ogni caso, in tutti i casi riconducibili all’ipotesi contestata al ricorrente, la contrattazione collettiva prevede delle sanzioni di tipo conservativo.
10. Il secondo motivo contiene rilievi, con richiamo alla violazione dell’art. 1362 c.c., oltre che ai principi di correttezza e buona fede ed alle norme contrattuali in tema di doveri del dipendente nonché del codice etico, di carattere affatto generico quanto alla censurata interpretazione della e-mail dell’11.12.2012, non contestandosi nello specifico la violazione dei canoni ermeneutici applicabili agli atti unilaterali ai sensi dell’art. 1324 c.c., essendo piuttosto la critica finalizzata ad ottenere una diversa lettura delle frasi richiamate e l’attribuzione alle stesse di una valenza intimidatoria che il giudice del gravame, nell’ambito di un esame allo stesso riservato, ha, invece, escluso. La censura non può, invero, limitarsi a prospettare una pur plausibile interpretazione alternativa delle clausole stesse, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione del contratto è riservata (Cass. 17.7.2007 n. 15890, Cass. 18.4.2007 n. 9245, Cass: 22.6.2017 n. 15471).
La possibilità di censurare tale accertamento in sede di legittimità, a parte l’ipotesi in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione del percorso logico seguito per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, è limitata al caso di violazione delle norme ermeneutiche, violazione da dedursi, peraltro, con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato, poiché, in caso contrario, la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di un’interpretazione diversa, sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue. (cfr. Cass. 23.8.2006 n. 18375). In definitiva, l’interpretazione alternativa fornita dalla ricorrente, sebbene contenga elementi suggestivi che avrebbero potuto integrare il diverso approdo ermeneutico che essa indica e sollecita, non contiene tuttavia elementi tali da far ritenere come erroneo il risultato interpretativo oggetto di impugnazione.
11. In ordine al terzo motivo, deve richiamarsi quanto già reiteratamente affermato da questa Corte secondo cui la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., come modificato dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006 n.40, è parifìcata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché, anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. cod. civ.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (cfr. Cass. 6335 del 19.3.2014, Cass. 18946/2014, Cass. 21888/2016, Cass. 17244/2015). Ciò posto, va rilevato che l’esame del giudice del gravame è stato compiuto con specifico riguardo alle norme della contrattazione collettiva richiamate, ritenendosi la piena sussumibilità di una parte delle condotte avente contenuto ingiurioso e diffamatorio, (là dove si apostrofa la dirigenza come “sorda e arrogante”) nella previsione dell’art. 62 c.c.n.l., che prevede la sanzione edittale conservativa, e riconducendosi le ulteriori espressioni triviali – prive di intento offensivo e non rivelatrici di atteggiamento ostile ed intimidatorio (con riguardo ai doveri sanciti dall’art. 56 ccnI e previsti dal codice etico), se non per i toni eccessivi – nell’ambito dell’esercizio del diritto di difesa in relazione ai numerosi addebiti disciplinari susseguitisi in un ridotto contesto temporale.
Rispetto a tale sussunzione, che trova ragione nella valutazione del comportamento del lavoratore e non nell’erronea interpretazione delle norme contrattuali di riferimento, le critiche risultano non pertinenti.
Altrettanto è a dirsi con riguardo alla sussunzione della diffusione degli indirizzi mail nella diversa fattispecie indicata dalla ricorrente, ossia quella dell’art. 64 lett c) c.c.n.l., dovendo considerarsi che la violazione vagliata dalla Corte territoriale è stata ridimensionata in relazione all’esclusione del vincolo di segretezza che ne avrebbe comportato una più grave connotazione ai fini della sussunzione nella diversa previsione contrattuale, in luogo di quella individuata dall’art.61 lett. e) del ccnl per la quale è prevista la comminatoria della sospensione, cui è stata ricondotta la violazione nella meno rilevante configurazione ritenuta.
12. Nel quarto motivo, si contesta quanto affermato in sentenza in ordine alla consumazione del potere di irrogare il secondo licenziamento, in relazione alla possibilità di comprendere le condotte poste a fondamento dello stesso nella prima contestazione. La questione, per come prospettata, evidenzia come, in virtù della norma contrattuale richiamata (art. 66 c.c.n.l.) non era consentito alla società procrastinare oltre il decimo giorno l’adozione del provvedimento disciplinare rispetto alla scadenza del termine assegnato al dipendente per le sue giustificazioni in relazione alla contestazione del 10 gennaio e che, al più, si sarebbe potuto porre un problema di tempestività della contestazione del 28 gennaio 2013, con applicazione di regime sanzionatorio solo indennitario (art. 18, comma 6, I. 300/70. Al riguardo, deve osservarsi, in linea con quanto affermato da questa Corte, che, in tema di licenziamento in regime di tutela reale, ove il datore di lavoro abbia intimato al lavoratore un licenziamento individuale, è ammissibile una successiva comunicazione di recesso dal rapporto da parte del datore medesimo, purché il nuovo licenziamento si fondi su una ragione o motivo diverso e sopravvenuto (nel senso di non noto in precedenza al datore di lavoro) e la sua efficacia resti condizionata all’eventuale declaratoria di illegittimità del primo (Cass. 4.1.2013 n. 106). In ogni caso, alla difficoltà procedurale segnalata dalla ricorrente, che avrebbe impedito di intimare il primo licenziamento anche per i fatti già contestati posti poi a fondamento del secondo licenziamento, avrebbe potuto ovviarsi con la possibilità, prevista dalla stessa norma contrattuale richiamata da T., di procedere alla prima contestazione oltre il termine previsto dal comma 2 dell’art. 66 ccnl (“di norma entro 30 giorni”) o di sospendere il primo procedimento, per pervenire all’irrogazione di una sanzione unica.
13. Quanto al vizio di omessa pronuncia dedotto con il quinto motivo, va rilevato che in realtà la Corte d’appello si è espressa sul punto laddove ha richiamato le argomentazioni spese “circa il trattamento sanzionatorio riservato alla fattispecie concreta, con applicazione dell’art. 18, comma 4, della I. 300 del 1970 novellato”, sicché la pronunzia deve essere intesa come consequenziale alla rilevata consumazione del potere di irrogare il secondo licenziamento, e tanto è sufficiente per disattendere la censura, a prescindere dalla correttezza o meno della soluzione adottata.
14. Il sesto motivo evidenzia l’erroneità della decisione laddove ha applicato il 4 co. dell’art. 18 I. 300/70 senza avere accertato la ricorrenza di alcuna delle ipotesi che determinano l’applicazione del relativo regime sanzionatorio, assumendosi che i fatti erano sussistenti. Al riguardo è sufficiente osservare l’irrilevanza della sussistenza dei fatti di cui al secondo licenziamento a fronte della ritenuta consumazione del potere di recesso in relazione a fatti già conosciuti all’epoca del primo licenziamento (ed in parte anche antecedentemente alla prima contestazione), sicché, in coerenza con una tale ricostruzione, che prevede l’inesistenza del potere sanzionatorio, non era ipotizzabile una tutela di rango inferiore a quella riconosciuta.
15. Il Ricorso incidentale prospetta, nei cinque motivi in cui si articola, la violazione e falsa applicazione delle norme di seguito riportate:
15.1. degli artt. 66 c.c.n.l., 7 l. 300/70, art. 2966 c.c. e 1373 c.c., assumendosi che l’avvenuta decadenza, per effetto della norma dell’art. 66, 2° co, c.c.n.l. (contestazione dell’ addebito in 30 gg.) dalla facoltà di contestare l’addebito, causi la nullità del successivo licenziamento intimato sul presupposto di tale contestazione;
15.2. degli artt. 112, 125, 434 e 414 c.p.c., 58-60 l. 92/12, d. lgs. 196/2003 art. 4 comma 1 lett. b) e lett. m), sostenendosi che la società aveva eccepito solo che nella sentenza resa in sede di opposizione era stato ritenuto erroneamente che gli indirizzi e-mail non fossero coperti da “vincolo di segretezza” e che la sentenza impugnata aveva, invece, ritenuto abusivo impiego e diffusione degli indirizzi, con violazione dell’ art. 4, comma 1, lett. b) e lett. m), del d.lgs. 196/2003, in difetto di uno specifico motivo di reclamo sul punto;
15. 3. del d. lgs. 196/03 art. 4 lett. l) e lett. m), degli artt. 112, 116 c.p.c. e 1362 c.c., sostenendosi che illegittimamente la Corte di Venezia ha ritenuto ravvisabile la fattispecie “diffusione” e non quella di “comunicazione” previste partitamente da tali disposizioni;
15. 4. dell’art. 5 l. 604/66, artt. 112 e 116 c.p.c. e 1362 c.c., per avere la sentenza ritenuto che nella e-mail 11.12.2012 fossero indicati degli indirizzi e-mail, viceversa non contenuti nella stessa;
15. 5. degli artt. 1324, 1325, n. 2 e 3, 1418, 2118 e 2119 c.c., artt. 2 e 3 l. 604/66 e 7 l. 300/70, sul rilievo che la sentenza di annullamento del licenziamento emessa ex art. 18 I. 300/70 va qualificata costitutiva, anteriormente alla pronuncia della quale il rapporto di lavoro va ritenuto cessato per effetto del licenziamento annullato e che pertanto un successivo licenziamento intimato anteriormente a detta sentenza, deve ritenersi privo di effetto ed invalido per carenza di causa e mancanza di oggetto.
16. Quanto al primo motivo, che si fonda sulla mancanza di tempestività della contestazione disciplinare, con richiamo al comma 2° dell’art. 66 c.c.n.l., si osserva che la violazione dell’obbligo relativo da parte del datore di lavoro non può condurre alle conseguenze volute dal C., giusta quanto affermato da ultimo nella sentenza a s. u. di questa Corte 27.12.2017 n. 30985. In relazione al profilo in questione (tardività della contestazione disciplinare) è stato sancito che, “sussistendo l’inadempimento posto a base del licenziamento, ma non essendo tale provvedimento preceduto da una tempestiva contestazione disciplinare a causa dell’accertata contrarietà del comportamento del datore di lavoro ai canoni di correttezza e buona fede, la conclusione non può essere che l’applicazione del quinto comma dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Diversamente, qualora le norme di contratto collettivo o la stessa legge dovessero prevedere dei termini per la contestazione dell’addebito disciplinare, la relativa violazione verrebbe attratta, in quanto caratterizzata da contrarietà a norma di natura procedimentale, nell’alveo di applicazione del sesto comma del citato art. 18 che, nella sua nuova formulazione, è collegato alla violazione delle procedure di cui all’art. 7 della legge n. 300 del 1970 e dell’articolo 7 della legge n. 604 del 1966”. In definitiva, il principio di diritto affermato, cui va dato seguito nel caso di specie, è il seguente: “La dichiarazione giudiziale di risoluzione del licenziamento disciplinare conseguente all’accertamento di un ritardo notevole e non giustificato della contestazione dell’addebito posto a base dello stesso provvedimento di recesso, ricadente “ratione temporis” nella disciplina dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, così come modificato dal comma 42 dell’art. 1 della legge n. 92 del 28.6.2012, comporta l’applicazione della sanzione dell’indennità come prevista dal quinto comma dello stesso art. 18 della legge n. 300/1970.”
17. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo vanno ritenuti inammissibili, al di là della valutazione di ulteriori profili di seguito precisati, perché non sussiste l’interesse alla relativa proposizione, dal momento che il relativo accoglimento non potrebbe condurre in ogni caso a conseguenze diverse da quelle di cui alla sentenza impugnata, che ha confermato la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4 0 I. 300/70 già prevista nella decisione assunta all’esito del giudizio di opposizione, ai sensi dell’art. 1 comma 57 I. 92/2012, dal Tribunale di Treviso in riforma dell’ordinanza della fase sommaria.
Ed invero, quand’anche si accertasse che alcuni dei fatti inerenti alle condotte oggetto della prima contestazione non potessero essere valutati o fossero da ritenersi insussistenti alla stregua dei rilievi svolti, in ogni caso, il regime di tutela non sarebbe stato diverso da quello riconosciuto, essendo il medesimo (tutela reintegratoria con regime indennitario attenuato) sia per l’ipotesi di insussistenza del fatto contestato, sia per quella relativa alla non riconducibilità dello stesso tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili. Quindi i motivi vanno intesi come proposti a titolo di ricorso incidentale condizionato e come tali assorbiti per effetto del rigetto del ricorso principale.
18. In ogni caso, quanto al secondo motivo, sarebbe stato necessario anche trascrivere il contenuto della sentenza conclusiva del giudizio di opposizione per la parte di interesse al fine di valutare, in termini di completezza, la reale sussistenza della dedotta ultrapetizione prospettata con riguardo ai motivi di reclamo e, quanto al quarto motivo, un ulteriore profilo di sua inammissibilità va ravvisato nel mancato richiamo ad analoghi rilievi circa la diversità degli indirizzi della contestazione rispetto a quelli contenuti nella mali in sede di giustificazioni fornite nel corso del procedimento disciplinare, a prescindere dalla mancata evidenziazione della decisività della dedotta diversità.
19. Anche il quinto motivo è infondato, posto che lo stesso si fonda su orientamento giurisprudenziale (Cass. 5.4.2001 n. 5092, cui è conforme Cass. 11.1. 2011 n. 459) superato dal successivo – cui va dato seguito per condivisione da parte del Collegio dei relativi principi – espresso da Cass. 20.1.2011 n. 1244 e Cass. 6.3.2008 n. 6055, secondo cui il secondo licenziamento è validamente intimabile, sebbene produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente.
20. Per tutte le considerazioni svolte, deve pervenirsi al rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
21. La reciproca soccombenza giustifica la integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.
22. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002 per entrambe le parti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale a norma dell’art.13, comma1bis, del citato D.P.R.
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