CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 maggio 2022, n. 15999

Pubblica Amministrazione – Trasformazione unilaterale del rapporto di lavoro da part-time a full-time – Rifiuto opposto dal dipendente – Licenziamento – Illegittimità

Fatti di causa

1. Con sentenza del 16 aprile-14 maggio 2020 la Corte di Appello di Bari, giudice del reclamo ex articolo 1, commi 58 e seguenti, legge nr. 92/2012, confermava la sentenza del Tribunale di Foggia, che aveva respinto la impugnazione proposta da L.G., dipendente della UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FOGGIA (in prosieguo: l’UNIVERSITÀ), avverso i due provvedimenti disciplinari della sospensione di un mese dal servizio e dalla retribuzione, del 5 giugno 2017 e del licenziamento con preavviso per assenza ingiustificata dal servizio, del 28 settembre 2017.

2. La Corte territoriale osservava in via pregiudiziale che, trattandosi di azione di impugnazione del licenziamento, sussisteva un grave pregiudizio alle parti in caso di ritardata trattazione, secondo le indicazioni del provvedimento organizzativo sezionale, sicché si era proceduto alla trattazione scritta ai sensi del DL nr. 18/2020, articolo 83, comma sette lettera h); era stato acquisito dal reclamante l’atto di parte previsto dalla norma e si era proceduto alla deliberazione in camera di consiglio mediante videocollegamento da remoto con l’applicativo Microsoft Teams ed alla conseguente decisione della controversia.

3. In fatto, il giudice del reclamo esponeva che I’ assenza dal servizio oggetto delle sanzioni disciplinari derivava dal rifiuto del dipendente di accettare la trasformazione del rapporto di lavoro— disposta dall’UNIVERSITA’ con nota dell’8 marzo 2017 e con decorrenza dall’1 aprile 2017— da part time misto, autorizzato in data 17 dicembre 2009, a full time.

4. La Corte territoriale respingeva la tesi del G., che lamentava la violazione dell’articolo 16 della legge nr. 183/2010 per essere decorso il termine ( 180 giorni dalla entrata in vigore della stessa legge) concesso dalla norma alla pubblica amministrazione per sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di trasformazione del rapporto di lavoro dal tempo pieno al tempo ridotto.

5.Osservava che il suddetto articolo 16 concerneva la posizione dei dipendenti pubblici che avevano ottenuto il passaggio al part time, a domanda, in modo automatico, secondo la disposizione previgente all’articolo 73 DL nr. 112/2008; il termine di 180 giorni per la revisione del part time non si applicava, invece, nelle ipotesi in cui il passaggio al part time era avvenuto secondo il nuovo regime, per autorizzazione della amministrazione e previa verifica delle esigenze organizzative, come nella fattispecie di causa.

6. Il giudice del reclamo rilevava, inoltre, che la contestazione da parte del G. della effettiva esistenza delle esigenze organizzative dedotte dalla amministrazione a fondamento del ripristino dell’orario a tempo pieno era stata effettuata per la prima volta in appello, in violazione dell’articolo 345 cod.proc.civ.

7. Aggiungeva che, comunque, la deduzione era infondata; la censura di assenza di prova della attivazione del servizio ( centro e-learning di ateneo) per il quale era stato disposto l’impiego a tempo pieno era mal posta, atteso che il G. era l’unica unità destinata a coprire il servizio sicché la eventuale mancata attivazione sarebbe stata a lui addebitabile.

8. Inoltre, la contestazione delle esigenze organizzative era generica, non avendo il G. indicato altri lavoratori che avrebbero potuto essere assegnati al medesimo servizio in sua vece.

9. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza L.G., articolato in tre ragioni di censura ed illustrato con memoria, cui l’UNIVERSITA’ ha resistito con controricorso.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato— ai sensi dell’articolo 360 nr.3 cod.proc.civ.— la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 16 L. nr. 183/2010.

2. Si addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente interpretato il suddetto articolo 16 nel senso di legittimare la amministrazione a revocare, unilateralmente ed in qualsiasi tempo, la autorizzazione al part time concessa secondo la disciplina introdotta dal DL nr. 112/2008.

3. Con il secondo mezzo si deduce— ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.— la falsa applicazione dell’articolo 345 cod.proc.civ., in riferimento alla statuizione di novità della contestazione della effettività delle esigenze organizzative poste a sostegno della trasformazione unilaterale del rapporto di lavoro da part time in full time.

4.Si espone trattarsi della rituale impugnazione di un accertamento compiuto dal Tribunale; si evidenzia, inoltre, che lo stesso giudice del reclamo dava atto della mancanza di prova della attivazione del servizio cui egli avrebbe dovuto essere assegnato a tempo pieno; da ultimo, si denuncia l’errore di ripartizione dell’ onere probatorio commesso dal giudice del reclamo, per avere posto a suo carico l’onere di fornire la prova della insussistenza delle ragioni organizzative.

5. La terza censura è proposta— ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ— sotto il profilo della violazione dell’articolo 83 lett. f) DL 17 marzo 2020 nr. 18, dell’articolo 83 bis disp.att. cod.proc.civ., degli articoli 24 e 111 Cost., dell’articolo 101 cod.proc.civ., in relazione alle modalità di discussione della causa dinanzi al collegio d’appello.

6.Il ricorrente ha esposto che la discussione della controversia era fissata per la udienza del 16 aprile 2020 e che la causa, per il sopravvenire dell’emergenza pandemica, era stata definita secondo il regime della trattazione scritta— introdotto dall’articolo 83 lett. f) DL nr. 18/2020— onerando le parti di depositare note scritte entro il giorno 15 aprile 2020, concernenti le sole istanze e conclusioni.

7. Ha dedotto che la limitazione del contenuto delle note difensive alle «istanze» ed alle «conclusioni» non gli aveva consentito di replicare in modo adeguato alla memoria di costituzione dell’UNIVERSITA’ e che, comunque, per assicurare il diritto al contraddittorio, avrebbero dovuto essere fissati alle parti termini di deposito differenziati, ai sensi dell’articolo 83 disp.att.cod.proc.civ. Si evidenzia, da ultimo, che soltanto in epoca successiva alla trattazione della controversia la legge nr. 77/2020, articolo 221, comma quattro, aveva previsto la facoltà delle parti di presentare istanza motivata di trattazione orale.

8.In via pregiudiziale deve essere esaminato il terzo motivo di ricorso, concernente la interpretazione della disciplina normativa delle udienze civili cadenti nel periodo dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.

9. Nella fattispecie di causa trova applicazione ratione temporis il testo storico dell’articolo 83 DL 17 marzo 2020 nr. 18, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 aprile 2020, n. 27 ( successivamente alla data di decisione della causa).

10. La decretazione d’urgenza prevedeva, al comma uno, per i procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari, il rinvio delle udienze fissate nel periodo dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 a data successiva al 15 aprile 2020; il termine del 15 aprile 2020 veniva poi differito all’11 maggio 2020 dall’articolo 36, comma 1, del D.L. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla Legge 5 giugno 2020, n. 40.

11. Dal rinvio restavano tuttavia esenti, tra gli altri, «tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti», attraverso una dichiarazione di urgenza fatta dal capo dell’ufficio giudiziario e, per le cause già iniziate, dal giudice istruttore o dal presidente del collegio, (articolo 83, comma tre, lettera a, del DL nr. 18/2020); la udienza del 16 aprile 2020, di discussione del reclamo, restava pertanto fissata alla data originaria.

12. Il successivo comma sette dell’articolo 83 demandava ai capi degli uffici giudiziari di disporre specifiche misure dirette a contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 ed a contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria nel periodo compreso tra il 16 aprile e il 30 giugno 2020; tra esse, per quanto rileva in causa, alla lettera h):

«lo svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice».

13. L’udienza di discussione del 16 aprile 2020 veniva celebrata secondo il suddetto regime di trattazione scritta.

14. Il ricorrente si duole del fatto che nel provvedimento reso dalla Corte d’Appello lo scambio ed il deposito di note siano stati limitati «alle sole istanze e conclusioni», assumendo essere stato leso il suo diritto di difesa.

15. Il provvedimento censurato appare, tuttavia, pienamente conforme al dettato normativo sicché la questione potrebbe porsi— piuttosto che sotto il profilo della violazione di legge— sul punto della conformità della norma di cui all’articolo 83, comma sette, lettera h) DL nr. 18/2020 alle disposizioni costituzionali che assicurano il diritto alla difesa ed al contraddittorio.

16. Sotto questo profilo ben può essere, tuttavia, enunciata una interpretazione della stessa norma conforme a Costituzione.

17. La lettera della disposizione appare calibrata sul giudizio civile ordinario, nel quale la attività assertiva ed argomentativa è affidata in via prevalente ad atti scritti ed in udienza le parti rivolgono istanze al giudice o, su suo invito, precisano le conclusioni; anche la discussione della causa che precede la fase decisoria non si svolge in udienza ma in forma scritta, attraverso lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

18. Il riferimento testuale dell’articolo 83, comma sette, lettera h) DL nr. 18/2020 allo scambio ed al deposito di note contenenti «le sole istanze e conclusioni», secondo la «ratio legis», non intende, dunque, porre limiti all’ esercizio dell’attività di difesa ma affidare al contraddittorio cartolare esattamente quelle attività che i difensori delle parti avrebbero altrimenti svolto in udienza dinanzi al giudice.

19. Nelle cause dove maggior rilievo ha la trattazione orale, come nel rito del lavoro, la norma non limita, allora, le attività che le parti avrebbero potuto svolgere in udienza; in particolare, le note di trattazione scritta che tengono luogo della udienza di discussione della causa ben possono estendersi alle attività assertive ed argomentative, in fatto ed in diritto, in modo da garantire che lo scambio ed il deposito delle note assicuri l’effettivo «svolgimento della udienza», come prevede l’incipit della lettera h) dell’articolo 83,comma sette, DL nr. 18/2020.

20. Ne deriva l’infondatezza del motivo, che si basa su una interpretazione della norma che non può essere accolta, perché non conforme a Costituzione.

21. Il motivo è parimenti infondato nella parte in cui assume essere necessaria la fissazione alle parti di termini sfalsati per lo scambio ed il deposito delle note scritte. L’articolo 83 bis disp.att. cod.proc. civ.— introdotto dall’articolo 26 DPR 17 ottobre 1950, n. 857 (che si riferisce al testo dell’articolo 180 cod. proc civ. all’epoca vigente) — prevede, infatti, la fissazione alle parti di termini diversi per il deposito, rispettivamente, della comparsa e della risposta, come mera eventualità, affidata alla discrezionalità del giudice; tale regime non appare in sé incompatibile con il diritto di difesa, trattandosi di difese comunque successive alla rituale instaurazione del contraddittorio.

22. Deve dunque procedersi alla trattazione dei primi due motivi di ricorso.

23. Il primo motivo è fondato.

24. Giova premettere che il regime trasformazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione da full time a part time è stato nel tempo così disciplinato:

– L’articolo 1, comma cinquantotto, della L. 23 dicembre 1996 nr 662, nel testo originario, prevedeva la trasformazione automatica del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni da tempo pieno a tempo parziale decorsi sessanta giorni dalla domanda del dipendente, salvo diniego della amministrazione, nel predetto termine, in caso di conflitto di interessi dell’attività di servizio con la eventuale nuova attività lavorativa in vista della quale era chiesta la trasformazione; nel caso in cui dalla trasformazione derivasse un grave pregiudizio alla funzionalità dell’amministrazione, la riduzione dell’orario di lavoro poteva essere unicamente differita, per un periodo non superiore a sei mesi.

– Il D.Lgs. nr. 61/2000— di attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale— all’articolo 10, nel prevedere (salvo specifiche eccezioni) la applicazione delle disposizioni in esso contenute al lavoro a tempo parziale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni lasciava ferme le disposizioni speciali e, tra esse, l’art. 1 della legge 23 dicembre 1996, nr. 662.

– La disciplina di accesso al part time nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni veniva in seguito ridisegnata dall’articolo 73 del D.L. 25 giugno 2008, n.112 (conv. con mod. dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), che modificava il testo del suddetto articolo 1, comma cinquantotto, L. nr. 662/1996; a seguito della riforma, la trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale non avviene più automaticamente ma per autorizzazione discrezionale della pubblica amministrazione, che può essere concessa entro sessanta giorni dalla domanda ovvero, nello stesso termine, negata in caso di conflitto di interessi tra la eventuale nuova attività lavorativa e l’attività di servizio ovvero nel caso di pregiudizio alla funzionalità dell’amministrazione.

– In epoca successiva, l’articolo 16 della L. 4 novembre 2010 nr. 83 ha concesso alle pubbliche amministrazioni un termine di centottanta giorni, decorrente dalla entrata in vigore della stessa legge, per sottoporre a nuova valutazione, nel rispetto dei princìpi di correttezza e buona fede, in sede di prima applicazione delle disposizioni introdotte dall’articolo 73 DL nr. 112/2008, i provvedimenti di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale adottati anteriormente alla entrata in vigore del predetto articolo 73.

– La disciplina del part time è stata da ultimo codificata dal D.L.gs. 15 giugno 2015 nr. 81 (che all’articolo 55, comma uno, lettera a ha abrogato il D.Lgs. nr. 61/2000) capo II, sezione I, articoli da 4 a 12; l’articolo 12 stabilisce che le relative previsioni si applicano, ove non diversamente disposto, ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (con specifiche eccezioni), ferme restando le disposizioni speciali in materia.

25. Tanto premesso, la Corte osserva che, come correttamente ha affermato il giudice dell’appello, l’articolo 16 della legge nr. 183/2010 ha dettato una disciplina transitoria, applicabile, nel termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della stessa legge, ai soli rapporti di lavoro trasformati in part time secondo la disciplina automatica previgente al DL nr. 112/2008.

26. La norma ha consentito alla pubblica amministrazione di sottoporre tali rapporti alla verifica di compatibilità dell’orario ridotto con le esigenze organizzative della amministrazione prevista dal DL del 2008, per la prima volta, come condizione di accoglimento della domanda di part time.

27. Tale definizione dell’ambito oggettivo della norma non autorizza, tuttavia, la conclusione, posta a base della sentenza impugnata, secondo cui la pubblica amministrazione avrebbe la potestà di revocare la autorizzazione al part time, una volta concessa— e di ripristinare il regime a tempo pieno del rapporto di lavoro dei propri dipendenti — senza soggiacere ad alcun limite temporale.

28. Occorre, piuttosto, verificare se detta potestà della pubblica amministrazione— che per i rapporti di lavoro trasformati in part time anteriormente al DL nr. 112/2008 trova una base normativa nell’articolo 16 L. nr. 183/2010 — possa trovare sostegno in una specifica disposizione o in un principio generale.

29. Il D.Lgs. nr. 81/2015, capo II, sezione I, applicabile in causa ratione temporis, disciplina la trasformazione del rapporto di lavoro all’articolo 8.

30. Il comma uno del predetto articolo 8 dispone che «il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento». La norma— sostanzialmente sovrapponibile a quella in precedenza contenuta nell’articolo 5, comma uno, D.Lgs. nr. 61/2000— attua nell’ordinamento interno la clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla direttiva 97/81/CE, secondo la quale «il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non dovrebbe, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento, senza pregiudizio per la possibilità di procedere, conformemente alle leggi, ai contratti collettivi e alle passi nazionali, a licenziamenti per altre ragioni, come quelle che possono risultare da necessità di funzionamento dello stabilimento considerato».

31. La clausola è stata interpretata dalla Corte di Giustizia (sentenza 15 ottobre 2014, in causa C-221/13, MASCELLANI)— su rinvio pregiudiziale del giudice nazionale, che dubitava della conformità dell’articolo 16 della L. nr. 183/2010 alle sue previsioni— nel senso che essa non osta ad una disposizione nazionale che consente al datore di lavoro di trasformare un contratto di lavoro a tempo parziale in un contratto a tempo pieno contro la volontà del lavoratore, in quanto è volta unicamente ad escludere che l’opposizione di un lavoratore a simile trasformazione del proprio contratto di lavoro possa costituire l’unico motivo del suo licenziamento, in assenza di altre ragioni obiettive (punto 23 della sentenza citata).

32. Poiché l’articolo 8, comma uno, D.Lgs. nr. 81/2015 costituisce la esatta trasposizione nel diritto interno della clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro non si può dunque, trarre dallo stesso articolo un divieto di revocare, per disposizione unilaterale, la autorizzazione al part time, una volta concessa dalla pubblica amministrazione.

33. Tuttavia la norma è chiara nel senso che la opposizione del lavoratore ad una simile trasformazione non può costituire in sé stessa ragione del suo licenziamento, salva la esistenza di altre ragioni obiettive.

34. Detto divieto vale tanto per il licenziamento per giusta causa che per il licenziamento per giustificato motivo, in quanto il testuale riferimento della norma al «giustificato motivo di licenziamento» deve interpretarsi nel senso di «valido motivo», in conformità alla clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro.

35. Ciò consente immediatamente di escludere che il datore di lavoro pubblica amministrazione possa adottare la sanzione del licenziamento disciplinare (come nella fattispecie disposta dall’Università), per effetto del rifiuto del lavoratore ad ottemperare ad una disposizione unilaterale di modifica del regime dell’orario di lavoro da part time a tempo pieno, pur a voler solo ipotizzare la esistenza di una norma che attribuisca all’amministrazione una simile potestà.

36. I commi dell’articolo 8 D.Lgs. nr. 81/2015 successivi al primo si interessano prevalentemente del passaggio dal full time al part time (e non del passaggio inverso): il comma due disciplina le modalità di tale trasformazione, su accordo delle parti, modalità che nel lavoro pubblico privatizzato sono tuttavia oggetto della normativa speciale sopra esaminata; i commi da tre a cinque ed il comma sette riguardano specifiche tutele accordate ad alcune categorie di lavoratori per il passaggio dal full time al part time in funzione di protezione di situazioni determinate, legate alla loro salute o alle esigenze familiari; il comma otto prescrive al datore di lavoro alcuni adempimenti in caso di assunzioni part time, finalizzati a consentire il passaggio allo stesso regime dei dipendenti in servizio a tempo pieno interessati.

37. Il legislatore, in applicazione della direttiva 97/81/CE (clausola 1 lettera b e clausola 5 dell’accordo quadro), ha, in definitiva, promosso il passaggio dal lavoro a tempo pieno al lavoro a tempo parziale come forma di conciliazione del tempo di lavoro con altri interessi meritevoli di tutela inerenti alla persona del lavoratore, realizzando un bilanciamento dei bisogni del datore di lavoro e dei lavoratori.

38. Dopo la trasformazione del rapporto a tempo parziale, il passaggio al lavoro full time è previsto dall’articolo 8: al comma sei— secondo cui il lavoratore il cui rapporto di lavoro sia stato in precedenza trasformato da full time a part time ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo pieno per le stesse mansioni o per mansioni di pari livello e categoria— ed al precedente comma tre, che , nelle situazioni disciplinate dallo stesso comma, prevede il ritorno dell’orario di lavoro a tempo pieno su richiesta del lavoratore.

39. Pertanto, la unilateralità del rientro dal part time al full time è prevista soltanto nell’interesse del lavoratore.

40. Questa Corte nell’arresto del 26 aprile 2018 nr. 10142— relativo alla disciplina del D.L.gs. nr. 61/2000, articolo 5, che parimenti regolava la sola trasformazione consensuale del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale— ha già evidenziato che anche nell’ipotesi inversa la variazione in aumento del monte ore pattuito non può avvenire a seguito di determinazione unilaterale del datore di lavoro ma necessita del consenso scritto del lavoratore.

41. Il principio di consensualità deve essere confermato anche in vigenza del nuovo regime, che sul punto non appare innovativo.

42. Nel lavoro pubblico privatizzato trova applicazione, ai sensi dell’articolo 12 D.L.gs. nr. 81/2015, la disciplina della trasformazione dell’orario di lavoro dettata per il lavoro privato dall’articolo 8 dello stesso D.Lgs., salve le disposizioni speciali.

43. La amministrazione fonda la sua tesi non su una specifica disposizione ma su un generale principio di revocabilità della autorizzazione al part time, una volta accordata, per esigenze sopravvenute.

44. Tuttavia la autorizzazione al part time non costituisce esercizio di un potere di natura amministrativa ma di una discrezionalità di diritto privato, in quanto attiene alla gestione del rapporto di lavoro; non può dunque essere invocato quel generale potere di revoca delle autorizzazioni per esigenze pubbliche sopravvenute che concerne il provvedimento amministrativo.

45. Invero, anche la revisione da parte della pubblica amministrazione- datrice di lavoro dell’orario part time già autorizzato in via automatica, secondo la previgente normativa, è avvenuta sulla base di una specifica disposizione di legge, che ha fissato i tempi ed i termini di esercizio di tale potere.

46. Per il part time autorizzato secondo le modalità introdotte dal DL nr. 112/2008 manca, invece, una norma che attribuisca alla pubblica amministrazione la potestà di incidere in aumento sull’orario di lavoro; ne deriva che anche nel lavoro pubblico privatizzato il rapporto di lavoro trasformato in part time può essere ricondotto dalla amministrazione datrice di lavoro all’orario pieno solo con il consenso del lavoratore.

47. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata in accoglimento del primo motivo di ricorso, restando assorbito il secondo.

48. La causa va rinviata alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione affinché si adegui nella decisione al principio di diritto esposto.

49. Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla disciplina delle spese di questo grado.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso; rigetta il terzo, assorbito il secondo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia — anche per le spese— alla Corte di Appello di Bari in diversa composizione.