CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 marzo 2019, n. 7589
Contratto a tempo determinato – Nullità del termine – Sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato – Risoluzione del contratto per mutuo consenso
Fatti di causa
La Corte di appello di Roma con la sentenza n. 757/2016 aveva rigettato l’appello di A. spa avverso la decisione con la quale il tribunale locale aveva accolto la domanda di D.A. proposta nei confronti della stessa A., diretta all’accertamento della illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti e della esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 16 giugno 2000.
La corte territoriale aveva preliminarmente ritenuto competente il Giudice ordinario pur in caso di sottoposizione ad amministrazione straordinaria della società datrice di lavoro, trattandosi di domanda diretta alla declaratoria di nullità del termine apposto al contratto ed al riconoscimento della esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Aveva poi ritenuto insussistente la risoluzione del contratto per mutuo consenso e per estinzione del diritto per prolungata inerzia del titolare nel suo esercizio, non risultandone esistenti i presupposti. Altresì infondata l’eccezione relativa alla clausola di contingentamento per carenza probatoria.
Avverso detta decisione la società proponeva ricorso affidato a tre motivi anche illustrati con successiva memoria.
La D. rimaneva intimata.
Ragioni della decisione
1)- Con il primo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 13 D.Igs n. 270/99, e artt. 52 e 24 Legge Fallimentare 8 RD n. 267/1942), in relazione all’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c. Parte ricorrente lamenta le erronee considerazioni della corte romana in ordine alla eccezione di improcedibilità della domanda sollevata con riguardo alla ammissione di A. alla procedura di amministrazione straordinaria ed alla conseguente competenza sulle controversie del giudice fallimentare.
La Corte territoriale aveva ritenuto sussistere la competenza del tribunale ordinario del lavoro trattandosi di domanda inerente l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e della conseguente anzianità maturata.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che “Nel riparto di competenza tra il giudice del lavoro e quello del fallimento il discrimine va individuato nelle rispettive speciali prerogative, spettando al primo, quale giudice del rapporto, le controversie riguardanti lo “status” del lavoratore, in riferimento ai diritti di corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, della sua qualificazione e qualità, volte ad ottenere pronunce di mero accertamento oppure costitutive, come quelle di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro; al fine di garantire la parità tra i creditori, rientrano, viceversa, nella cognizione del giudice del fallimento, le controversie relative all’accertamento ed alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro in funzione della partecipazione al concorso e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, ovvero destinate comunque ad incidere nella procedura concorsuale“. (Cass.n. 7990/2018; Cass. n. 1646/2018).
Nel caso in esame la domanda era diretta all’accertamento della nullità del termine apposto al contratto e della esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con conseguente individuazione dell’anzianità del lavoratore e quindi, in sostanza, allo status del lavoratore. In coerenza e continuità con i principi enunciati, deve quindi ritenersi corretta la statuizione della corte romana e infondato il motivo.
2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.), in ordine alla libertà dei mezzi di prova, nonché dell’art. 421 co. 2 c.p.c., in ordine ai poteri istruttori del giudice del lavoro con riferimento alla dimostrazione dei presupposti legittimanti l’apposizione del termine in questione.
La società ha ritenuto errata la statuizione in cui è stata sanzionata la mancata produzione da parte della società della documentazione attestante il rispetto della percentuale di contingentamento. Richiama a riguardo il principio della libertà dei mezzi di prova non essendo tenuta la società a fornire la prova in questione solo attraverso produzione documentale, ed avendo fatto richiesta , a riguardo, di prova testimoniale.
3) Con il terzo motivo è dedotta la violazione dell’art. 244 c.p.c. in ordine al modo di deduzione della prova, avendo fatto richiesta di ammissione di capitoli di prova direttamente inerenti la percentuale di contingentamento.
I motivi possono essere trattati congiuntamente perché attinenti al medesimo profilo di valutazione dei mezzi istruttori richiesti. Deve preliminarmente ribadirsi che “In tema di clausola di contingentamento dei contratti di lavoro a termine di cui all’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, l’onere della prova dell’osservanza del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine previsto dalla contrattazione collettiva, da verificarsi necessariamente sulla base dell’indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, è a carico del datore di lavoro, sul quale incombe la dimostrazione, in forza dell’art. 3 della legge 18 aprile 1962, n. 230, dell’oggettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro” (Cass. 4764/2015).
Ciò posto, nel caso in esame la corte romana ha rilevato, svolgendo una valutazione di merito, che la circostanza relativa al rispetto della percentuale del 25% fissata per le assunzioni a termine rispetto a quelle a tempo indeterminato degli assistenti di volo, richiedeva l’indicazione del numero dei dipendenti a tempo indeterminato e di quelli a tempo determinato, così da consentire il calcolo percentuale. I dati in questione non erano stati allegati specificamente e dunque la corte ha rilevato la carenza allegatoria, non superabile con la richiesta ctu ed impeditiva di ammissione di altri mezzi di prova , stante la genericità originaria rilevata. Si tratta all’evidenza di una valutazione di merito, non più suscettibile di riesame, in sede di legittimità (peraltro evidenziata nella sua correttezza dalla carenza allegatoria deducibile dai due capitoli inseriti nel motivo di censura). I motivi devono essere rigettati, come anche il ricorso. Le spese a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 4.500,00 per compensi ed E. 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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