CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 ottobre 2018, n. 26248
Iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli – Diritto – Riconoscimento – Beneficio economico della disoccupazione agricola
Fatti di causa
1) Con sentenza n. 797 del 2012, la Corte d’appello di Salerno, rigettando l’appello proposto per la sola liquidazione delle spese di lite da C.P. avverso la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto il diritto della stessa all’iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli per l’anno 2004 e liquidato le spese di lite nella misura di Euro 950,00, ha confermato la liquidazione del primo giudice.
2) La Corte territoriale ha rilevato che il giudice di primo grado, stante l’obbligo di provvedere sulla base degli atti di causa e secondo le tariffe vigenti ratione temporis, aveva fatto corretta applicazione delle tariffe relative al d.m. 127/2004 con scaglione fino a 25.900 euro e non per valore indeterminabile.
3) Avverso tale sentenza, C.P. propone ricorso per cassazione fondato su tre motivi illustrati da memoria con la quale, fra l’altro, chiede l’attribuzione delle spese di tutti i gradi di giudizio all’avvocato T.A., difensore costituito in primo grado ed in appello, con ciò modificando le conclusioni del ricorso per cassazione che chiedevano la distrazione delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’unico procuratore del relativo giudizio, avvocato F.A.
4) Resiste l’Inps con controricorso.
Ragioni della decisione
1) Con il primo motivo la ricorrente, in relazione all’art. 360, primo comma nn. 3 e 4, cod. proc. civ., si duole della violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. per la mancata disamina da parte della Corte d’appello di Salerno del motivo d’impugnazione relativo alla compensazione parziale delle spese di lite.
2) Con il secondo motivo la ricorrente si duole della violazione degli artt. 91 cod. proc.civ., dell’art. 1 I. n. 1051 del 1957, del D.M. n 127 del 2004 sulle tariffe professionali; degli artt. 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17 cod. proc. civ. anche in combinazione con l’art. 6 D.M. n. 127 del 2004. In particolare, si fa riferimento alla natura indeterminabile della controversia in quanto relativa al riconoscimento della sussistenza validità di un rapporto di lavoro contestato dall’Inps con impossibilità di utilizzare uno dei parametri di legge per calcolarne il valore economico.
3) Il terzo motivo di ricorso, prospetta – ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ. – la violazione degli artt. 91, legge prof., del d.m. n. 127 del 2004 con riferimento alla mancata verifica della congruità delle spese liquidate anche considerando lo scaglione fino ad euro 25.900,00, nonché – ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ. – vizio di motivazione quanto alla medesima circostanza.
4) Il primo motivo va rigettato. Questa Corte di cassazione ha avuto modo di precisare (Cass. n. 15367 del 2014) che affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cod. proc. civ., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “errar in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi.
5) La sentenza impugnata non riferisce della parziale compensazione disposta dalla sentenza di primo grado e la motivazione ha per oggetto la sola quantificazione delle spese adottata. La ricorrente ha riportato in ricorso il passo del ricorso in appello relativo al primo motivo che si rivolgeva alla parziale compensazione e, in vista dell’udienza, ha depositato unitamente alla memoria illustrativa le copie fotostatiche del fascicolo del grado d’appello.
6) Dall’accertamento dell’omissione di pronuncia che deriva dall’esame di tali atti, tuttavia, non discende necessariamente l’accoglimento del motivo di ricorso per cassazione in esame in considerazione dei principio secondo cui, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. Ili, secondo comma, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 cod. proc. civ., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo d’appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata ed esaminare il merito del ricorso, allorquando il suddetto motivo sia infondato, essendo in tal caso inutile il ritorno della causa in fase di merito (Cass. SS.UU. n. 9946 del 2009; 13617 del 2012).
7) Nel caso di specie il motivo d’appello contiene l’errata affermazione che la compensazione parziale abbia determinato la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., giacché la regolamentazione del potere di compensare le spese, in tutto o in parte, è contenuta nell’art. 92 cod. proc. civ. Inoltre, il motivo d’appello è privo di sufficiente specificità poiché si limita a riportare gli astratti contenuti della citata disposizione ed a formulare considerazioni di mero dissenso rispetto alla decisione impugnata, attraverso generici richiami a contenuti concreti dell’iter amministrativo e giudiziale, senza tuttavia mettere in evidenza reali contraddizioni essenziali e decisive al fine di far ritenere solo apparente la sussistenza delle eccezionali ragioni di compensazione ravvisate, congruamente, dalla sentenza di primo grado nelle peculiarità del procedimento di accertamento concretamente posto in essere dal servizio ispettivo dell’Inps. Risulta, quindi, rispettato il principio più volte espresso da questa Corte di legittimità, secondo cui in tema di spese giudiziali, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., nella formulazione vigente “ratione temporis”, le “gravi ed eccezionali ragioni”, da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che ne legittimano la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e non possono essere espresse con una formula generica (nella specie, la particolarità della fattispecie), inidonea a consentire il necessario controllo (in tal senso tra le tante Cass. nn. 14411 del 2016; 22310 del 2017).
8) Il secondo motivo è infondato. In particolare, quanto al valore della controversia, deve rilevarsi che la Corte d’appello di Salerno ha interpretato la domanda ritenendo che la controversia fosse passibile di essere determinata nel suo valore economico massimo in considerazione degli importi delle prestazioni previdenziali che la parte avrebbe potuto ottenere a seguito del riconoscimento del diritto all’iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli ed al connesso beneficio economico rappresentato dalla disoccupazione agricola quantificata attraverso il numero di giornate agricole per cui la prestazione è richiesta ed a tal fine ha indicato lo scaglione all’epoca vigente.
9) Dunque, la sentenza impugnata ha sostanzialmente recepito l’insegnamento di questa Corte di cassazione sintetizzato dalla massima secondo cui il valore indeterminabile, ai fini dell’applicazione delle relative tariffe per la liquidazione dell’onorario spettante all’avvocato, si deve intendere in senso obiettivo, ovvero quale conseguenza di un’intrinseca inidoneità della pretesa ad essere tradotta in termini pecuniari e può ravvisarsi laddove gli elementi di valutazione della pretesa difettino di concreti ed attendibili elementi per la stima, precostituiti e disponibili fin dall’introduzione del giudizio (Cass. n. 5901 del 2004; 14586 del 2005; 6414 del 2007).
10) A fronte della esplicita indicazione della sentenza impugnata sopra riferita, che corrisponde a contenuti concretamente apprezzabili dal punto di vista economico alla luce delle specifiche tutele previdenziali tipicamente previste in favore dei lavoratori agricoli a tempo determinato, la ricorrente non ha efficacemente criticato le valutazioni formulate dalla sentenza impugnata in ordine ai contenuti del ricorso e si è limitata a prospettare una sorta di automatica connotazione di indeterminabilità della propria domanda in quanto tesa ad ottenere il riconoscimento del diritto all’iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli per l’anno 2004 per 102 giornate.
11) Il terzo motivo di ricorso è inammissibile perché lamenta la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e dei contenuti della tariffa professionale vigenti ratione temporis nonché, contestualmente, vizio di motivazione, derivanti dall’assenza di verifica della correttezza della liquidazione secondo i parametri di valore della controversia ritenuti dalla Corte territoriale, pur essendo pacifico che la Corte d’appello ha deciso sul secondo motivo d’appello che (come emerge dagli atti) era relativo esclusivamente alla affermata indeterminabilità del valore della controversia. In altri termini, non risulta che alla Corte d’appello fossero stati devoluti anche motivi d’appello aventi ad oggetto questioni diverse dalla riconducibilità delle attività svolte a controversie di valore indeterminabili e, segnatamente, a violazioni delle tariffe per cause di valore compreso entro euro 25900,00, per cui il motivo risulta del tutto estraneo al tema processuale devoluto in appello.
12) In definitiva, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. Sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 600,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15 per cento e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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