CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 ottobre 2022, n. 30527
Licenziamento – Giusta causa – Violazione del codice etico e dell’obbligo di riservatezza – CCNL Aziende industriali – Interpretazione del regolamento contrattuale
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 35 del 2019, la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’impugnazione proposta da S. B. nei confronti di CO.TRA.L. S.p.A., confermando la sentenza di primo grado, che, nel ritenere la insussistenza della giusta causa del licenziamento intimato dalla società al ricorrente sulla base della violazione del codice etico e dell’obbligo di riservatezza per aver depositato, in precedente giudizio pendente fra le parti ed instaurato dal B. medesimo, copia integrale dei verbali del Consiglio di amministrazione del 9 aprile e del 16 settembre 2014, contenenti informazioni dell’Azienda di carattere riservato, aveva respinto, fra le altre, le domande del ricorrente volte ad ottenere il pagamento di una penale risarcitoria e dell’indennità supplementare nella misura richiesta.
1.1. Segnatamente, la Corte ha condiviso l’iter motivazionale del Tribunale che, nel ritenere l’assenza di giusta causa nel licenziamento comminato, aveva condannato la società al pagamento dell’indennità supplementare prevista dal CCNL Aziende industriali nonché A) dell’indennità sostitutiva del preavviso, respingendo le altre richieste del ricorrente ed integralmente compensando le spese di lite.
2. Per la cassazione della pronuncia propone ricorso assistito da memoria S. B., affidandolo a cinque motivi.
2.1. Resiste, con controricorso, Cotral S.p.A.
3. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di ricorso si censura la decisione impugnata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione degli artt. 1324, 1362 e 1363 cod. civ., per aver ritenuto la sussistenza dell’assenso del ricorrente all’applicazione del CCNL Dirigenti Aziende Industriali in ordine al nuovo contratto proposto dalla società al ricorrente.
1.1. Con il secondo motivo si denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., per aver la Corte ritenuto che nel nuovo contratto di lavoro, pur in assenza di sottoscrizione, avesse trovato integrale applicazione anche il CCNL dirigenti aziende industriali.
1.2. Con il terzo motivo di ricorso si allega, sotto il profilo dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronunzia sulla censura inerente alla sentenza di primo grado nella parte in cui aveva liquidato l’indennità supplementare in misura minima.
1.3. Con il quarto motivo si contesta, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2384 cod. civ., in ordine al mancato riconoscimento della penale risarcitoria di 36 mensilità come stabilito nella lettera del 24 gennaio 2013 a firma del Presidente della CO.TRA.L.
1.4. Con il quinto motivo si censura la decisione impugnata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., allegandosi la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2095 e 1321 cod. civ. per aver la Corte escluso la posizione di “terzietà” del dirigente, in quanto “alter ego” dell’imprenditore, datore di lavoro.
2. I primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico – sistematiche, sono infondati.
2.1. Giova evidenziare, al riguardo, che l’interpretazione del regolamento contrattuale è attività riservata al giudice di merito, pertanto sottratta al sindacato di legittimità salvo che per il caso della violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale, tuttavia, non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (sul punto, ex plurimis, Cass. n. 11254 del 2018).
In particolare, questa Corte ha affermato che nel giudizio di cassazione, la censura svolta dal ricorrente che lamenti la mancata applicazione del criterio di interpretazione letterale, per non risultare inammissibile deve essere specifica, dovendo indicare quale sia l’elemento semantico del contratto che avrebbe precluso l’interpretazione letterale seguita dai giudici di merito e, al contrario, imposto una interpretazione in senso diverso; nel giudizio di legittimità, infatti, le censure relative all’interpretazione del contratto offerta dal giudice di merito possono essere prospettate solo in relazione al profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della radicale inadeguatezza della motivazione, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, mentre la mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta dai giudici di merito non riveste alcuna utilità ai fini dell’annullamento della sentenza impugnata (Cass. n. 995 del 2021; V. altresì, Cass. n. 9461 del 2021).
2.2. Nella specie, anche con particolare riguardo alla censura inerente al disposto dell’art. 1363 cod. civ., va evidenziato come la Corte territoriale abbia ritenuto, esaminando il complessivo assetto contrattuale, quale risultante dalle clausole negoziali e dall’atteggiamento delle parti (in particolare, l’invio del nuovo contratto di lavoro e la previa sottoscrizione da parte dell’Amministratore delegato nonché la nota del B., ricevuta da CO.TRA.L. in data 27 luglio 2006 in cui si esprimeva consenso incondizionato a tutto quanto ivi previsto) che il ricorrente, oltre ad esserne consapevole, condividesse l’applicazione del CCNL dirigenti imprese industriali essendo stata l’unica riserva apposta al nuovo contratto di lavoro quella concernente l’art. 4, relativo alla decorrenza del rapporto di lavoro.
3. Quanto alla asserita violazione delle disposizioni legislative in tema di presunzioni, occorre rilevare che in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia — di regola — desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. In particolare, questa Corte ha affermato che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. n. 9054 del 2022).
3.1. Orbene, nella specie, la Corte ha conferito rilievo ad alcuni indici presuntivi in ordine all’applicazione del CCNL dirigenti aziende industriali, quali: la corresponsione della retribuzione annuale lorda prevista dal nuovo contratto di lavoro in euro 147.000,00, come atta ad assorbire qualsiasi altra voce retributiva ai sensi dell’art. 8 del mentovato CCNL, la retribuzione incentivante MBO al posto del “benefit” annuale pari al 20% del compenso previsto dall’originario rapporto di lavoro (retribuzione invocata in ricorso dallo stesso B.) nonché il separato giudizio intrapreso dal medesimo ricorrente per il pagamento della retribuzione MBO per l’anno 2013, nelle cui difese veniva richiamato proprio il CCNL dirigenti aziende industriali; ha concluso, quindi, la Corte, per la precisione, univocità e concordanza di indici indiziari e tale valutazione, in assenza di qualsivoglia violazione della normativa in tema di presunzioni, deve ritenersi sottratta al sindacato di legittimità.
4. Il terzo motivo è infondato.
4.1. Va preliminarmente rilevato che, perché possa parlarsi di omessa pronuncia, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cfr., ex plurimis, fra le più recenti, Cass. n. 5730 del 03/03/2020) occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti.
Nella specie, assume parte ricorrente l’omessa pronunzia sulla censura relativa alla sentenza di primo grado, nella parte in cui l’indennità supplementare era stata liquidata in misura minima.
In realtà, la Corte territoriale si è pronunziata sulla relativa domanda, nel ritenere la stessa collegata alla pretesa applicazione dell’art. 29 del CCNL dirigenti di imprese di servizi pubblici locali e nell’affermare che il rigetto dei primi due motivi di appello – collegati proprio alla ritenuta inapplicabilità di quel contratto collettivo, in luogo di quello per i dirigenti delle aziende industriali – comportasse automaticamente anche il rigetto del motivo di impugnazione considerato.
5. Il quarto e il quinto motivo, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di reciproca connessione, sono infondati.
5.1. Si duole, in particolare, il ricorrente del mancato riconoscimento della penale risarcitoria di 36 mensilità, secondo quanto stabilito nella lettera del 24 gennaio 2013 a firma del Presidente della CO.TRA.L., nonché della violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2095 e 1321 cod. civ., per aver la Corte escluso la posizione di “terzietà” del B. in quanto dirigente della società datrice.
Orbene, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, la lettura complessiva dell’art. 2384 cod. civ., rubricato “potere di rappresentanza”, non tiene distinto quest’ultimo dal potere di gestione, avendo la disposizione codicistica la finalità, riguardo ai terzi, di rendere sempre riconducibili alla società gli atti compiuti dagli amministratori, purché rientranti nell’oggetto sociale, a meno che i terzi non abbiano agito intenzionalmente a danno della stessa.
Nondimeno, la Corte ha escluso la posizione di terzietà del B. rispetto alla società, atteso il profilo fiduciario sotteso al rapporto tra datore di lavoro e dirigente, rendendo quest’ultimo un “alter ego” dell’imprenditore, attesa la sua collocazione al vertice dell’organizzazione aziendale e dello svolgimento di mansioni tali da improntare la vita dell’azienda.
Proprio in considerazione della qualifica rivestita dal B. e del connesso peculiare obbligo di lealtà e fedeltà nei confronti del datore di lavoro, ha valorizzato la Corte la corretta applicazione delle regole interne alla vita sociale, fra le quali quella che attribuisce al Consiglio di Amministrazione, su proposta dell’Amministratore Delegato, il potere di deliberare in merito ad assunzioni, licenziamenti, attribuzioni e compensi dei dirigenti.
Ha escluso, quindi, la possibilità di considerare il B. nella posizione di “terzo” rispetto alla società e, pertanto, l’applicabilità nei suoi confronti della disposizione di cui all’art. 2384 cod. civ., che prevede l’inopponibilità nei confronti dei terzi delle limitazioni dei poteri degli amministratori.
Nell’invocare la liquidazione del trattamento previsto dalla lettera del 24.01.2013 a firma del Presidente di CO.TRA.L. S.p.A., il ricorrente ha poi asserito che la previsione di tale trattamento non rientrerebbe nei poteri del Consiglio di amministrazione quali previsti dallo statuto sociale.
Secondo quanto correttamente osservato dal giudice di secondo grado, invece, la previsione dell’art. 26 dello Statuto, che attribuisce al Consiglio di amministrazione, su proposta dell’Amministratore delegato, il potere di deliberare in merito ad assunzioni, licenziamenti, attribuzioni e compensi dei dirigenti, conferisce all’organo gestorio collegiale la competenza per tutto ciò che riguarda il rapporto di lavoro con i dirigenti medesimi, come risulta anche dall’approvazione da parte dello stesso Consiglio, nelle sedute del 16 febbraio, 27 aprile e 13 luglio 2006, del nuovo contratto di lavoro, con ciò avendo la Corte desunto, con tranquillante certezza, la competenza del Consiglio per tutto quanto attiene al rapporto di lavoro con i dirigenti.
Può aggiungersi, ad ulteriore conferma della valutazione complessivamente effettuata dalla Corte circa la posizione di “intraneus” rivestita dal B. nell’ambito della compagine aziendale, quanto osservato nel controricorso circa l’intervenuto rinvio a giudizio del B. e del Presidente di CO.TRA.L., P., perché, in concorso fra loro (ovviamente con diversi apporti) imputati di aver commesso il delitto di abuso d’ufficio consistente proprio nella redazione da parte del Presidente della lettera datata 24 gennaio 2016 (stesso giorno delle dimissioni dalla carica) a favore del B., con cui, in violazione dell’art. 26 dello Statuto della società – che attribuisce al solo Consiglio di Amministrazione il potere di riconoscere e deliberare in merito a compensi ai dirigenti – era àstato conferito intenzionalmente al B. un vantaggio economico patrimoniale consistito nel riconoscere allo stesso la somma di euro 587.781,57 a titolo di “trattamento aggiuntivo delle indennità spettanti … in caso di risoluzione del rapporto di lavoro”, compenso non dovuto in quanto non deliberato dal CDA competente; irrilevante, in ordine alla valutazione di fatto, ex ante, effettuata dalla Corte d’appello, la circostanza, indicata nella memoria del B., dell’intervenuta assoluzione in primo grado in ordine al delitto ascritto.
Inoltre, nella lettera dell’Amministratore Delegato di CO.TRA.L. in data 10 agosto 2006, risultava che il contratto di lavoro era stato redatto in conformità con le decisioni assunte dall’apposito Comitato per la Remunerazione aziendale, organismo del Consiglio di Amministrazione.
5.2. Deve, quindi, ritenersi non implausibile la valutazione effettuata dalla Corte territoriale circa la compiuta conoscenza e partecipazione del B. alle dinamiche aziendali, che ne escludeva la configurabilità quale terzo estraneo alla compagine aziendale, valutazione che, in assenza di elementi di segno contrario, deve ritenersi sottratta al sindacato di legittimità.
6. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.
7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
7.1. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 —bis dello stesso articolo 13, se dovuto
P.Q.M.
respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in favore della parte controricorrente, che liquida in euro 8000,00 per compensi ed curo 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 —bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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