CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 agosto 2020, n. 17326
Tributi – IRPEF – Professionista – Accertamento – Movimenti bancari – Versamenti – Giustificazione – Disinvestimenti di somme da altri conti correnti cointestati con la moglie
Fatti di causa
1. A seguito di contraddittorio pre-processuale, l’Agenzia delle Entrate notificava al dott. N.B., notaio, avviso di accertamento n. R5A010501189 relativo all’anno di imposta 2005, con cui riprendeva a tassazione una maggiore irpef ed irap, sulla base di asseriti movimenti bancari non giustificati e del riconoscimento di un’autonoma organizzazione.
2. Il contribuente contestava davanti alla CTP di Arezzo l’applicazione all’anno 2005 dell’art. 32 d.P.R. 600 del 1973 come modificato dall’art. 1, comma 402, della legge 30.12.2004 n. 311 sulla rilevanza dei prelevamenti bancari ai fini fiscali, e produceva consulenza per la ricostruzione degli stessi, contestando altresì l’esistenza di stabile organizzazione.
La CTP rigettava il ricorso.
Il contribuente appellava la sentenza ribadendo la non applicabilità dell’art. 32 d.P.R. 600 del 1973, come modificato, all’anno 2005 e l’infondatezza dell’accertamento, producendo documentazione per dimostrare la regolarità dei movimenti bancari e l’assenza di redditi occulti.
La CTR della Toscana, in parziale accoglimento dell’appello, riduceva il maggior reddito accertato del 50%, sulla base della cointestazione col coniuge di uno dei conti correnti interessati.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre il contribuente sulla base di nove motivi.
Si costituisce l’Agenzia con controricorso e ricorso incidentale, al quale il contribuente replica con controricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo il contribuente deduce contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.).
La sentenza della CTR è contraddittoria laddove afferma, a riconoscimento di quanto affermato dal contribuente, che i versamenti sul conto corrente C., oggetto di accertamento, derivavano integralmente da disinvestimenti di somme da altri conti correnti, cointestati con la moglie del contribuente, ma poi non annulla sul punto l’accertamento, ma riduce solo il maggior reddito del 50%.
Il motivo è fondato.
La CTR, ripercorrendo i fatti, evidenzia che sono stati ascritti al B. tutti i versamenti per euro 226.000 effettuati sul conto 41000 C. intestato a lui e alla moglie, sul presupposto che non sarebbe dimostrata la provenienza delle somme contestate; poi afferma che è documentalmente provato che la moglie era contitolare di un dossier titoli rilevante presso Banca E. e CR Firenze, accesi in precedenza, che sono stati disinvestiti con versamento del netto ricavo nel conto C. “per cui la presunzione di esclusiva provenienza ed addebitabilità al professionista è da considerare contraria alle risultanze documentali e comunque priva di valide giustificazioni”.
Compiuto questo ragionamento, riduce al 50% il maggior reddito accertato.
Va rilevato che, essendo la sentenza impugnata stata depositata nel marzo 2012, il motivo è stato dedotto ed è valutabile alla luce della versione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. anteriore alla riforma del 2012.
In effetti si riscontra contraddittorietà nella motivazione, perché da una parte la CTR sembra giustificare il versamento del contribuente, che quindi non dovrebbe essere in alcun modo imputato a reddito, ma poi, sulla base di esso, glielo computa come maggior reddito al 50%.
In altri termini, sembra quasi che la CTR, siccome i conti in questione, sia quelli di provenienza (E.) che quelli di deposito (C.), erano cointestati tra il contribuente e la moglie, lasci sempre intendere che il 50% del primo è comunque frutto di redditi in nero, da dovunque provengano, anche quando è provato che i soldi versati nel conto C. venivano da disinvestimenti.
In questo la motivazione della CTR appare eccessivamente rigorosa, perché, seguendo tale ragionamento, non si comprende che prova dovrebbe dare il contribuente per dimostrare che somme in suo possesso non sono reddito in nero, se anche quando ne dimostra la provenienza continuano ad essere considerate tali.
Ritiene, quindi, il collegio che la sentenza impugnata vada cassata su questo punto, atteso che la CTR deve precisare meglio perché se da un lato ritiene che questo versamento non sarebbe imputabile a reddito, essendone dimostrata la provenienza, poi conclude imputando al contribuente il 50% dello stesso come maggior reddito non dichiarato.
Né appare trattarsi di motivo nuovo, come eccepito dall’ufficio (e proposto in ricorso incidentale), perché dallo stesso controricorso dell’ufficio emerge che nel ricorso del contribuente contro l’avviso 501189 (quello di causa) per irpef irap ed iva, nel capitolo “sul merito” al paragrafo I, il contribuente evidenziava che sui versamenti nel conto 41000 aveva già fornito chiarimenti e poi specifica “aveva infatti spiegato a) che la parte dei versamenti su quel conto provenivano da prelevamenti su altro conto acceso presso Banca E. cointestato con la moglie, come risultava dal dossier 1 a disposizione dell’Agenzia. Detto dossier verrà riprodotto in causa con la costituzione in giudizio”.
Non sussistono, quindi, i requisiti per considerarlo motivo nuovo, e non trova fondamento l’eccezione dell’ufficio secondo cui solo in appello il contribuente avrebbe palesato che i conti erano cointestati.
Con il secondo motivo deduce omessa e comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.).
La CTR ha omesso di spiegare le ragioni in base alle quali ha ritenuto non decisive le prove prodotte dal contribuente a giustificare il proprio operato, mentre in motivazione non si rinviene alcun esame delle prove addotte dal contribuente.
Il motivo è fondato.
Va anche rilevato che il contribuente ha evidenziato, indicando i punti in cui le argomentazioni erano state allegate nelle fasi di merito, di avere dedotto una serie di elementi di prova per giustificare ogni movimento e di tutto ciò in sentenza non vi è traccia.
Non appare, invece, provata l’eccezione di inammissibilità del motivo perché nuovo, atteso che era allora onere dell’ufficio riportare gli atti da cui si evidenziava tale requisito.
Dallo stesso ricorso alla CTP riprodotto dall’ufficio, invece, appare come il contribuente avesse fin da subito dedotto che tutti i movimenti erano giustificati.
Con il terzo motivo deduce omessa e comunque insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.).
La CTR ha omesso ogni valutazione sulla eccezione con cui il contribuente ha dimostrato che la pretesa dell’ufficio è incongruente rispetto all’ammontare dei compensi ricavabili dall’attività professionale concretamente svolta.
Il motivo si può considerare assorbito dall’accoglimento dei precedenti, atteso che la necessità di riesaminare i movimenti alla luce dei principi affermati anche dalla sentenza della Corte Costituzionale assorbe le considerazioni sul quantum del maggior reddito determinato dall’ufficio.
Con il quarto motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 comma 1 n. 2 d.P.R. 600 del 1973 e dell’art. 51 d.P.R. 633 del 1972 (art. 360 n. 3 c.p.c.).
La CTR ha errato laddove ha effettuato un’automatica equiparazione tra versamenti e prelievi da un lato, e compensi evasi dall’altro, rendendo impossibile al contribuente dimostrare il contrario.
Il motivo è assorbito dall’accoglimento del primo, comportando lo stesso l’analisi della fondatezza dell’accertamento.
Con il quinto motivo deduce nullità della sentenza per omessa pronuncia in merito alla difesa del contribuente relativa all’illegittimità del rilievo relativo all’omesso versamento dell’irap a causa della violazione della procedura di cui all’art. 36-bis d.P.R. 600 del 1973 (violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.).
Nella compilazione della dichiarazione il contribuente aveva indicato la spettanza di una agevolazione ai fini irap che aveva determinato la riduzione dell’imponibile, ma aveva dedotto in giudizio che il mancato riconoscimento della agevolazione doveva condurre l’ufficio a procedere con una cartella ai sensi dell’art. 36-bis dpr 600 del 1973, e non lo legittimava ad aprire un accertamento sintetico. La CTR non si è pronunciata sul punto, per quanto il contribuente lo avesse dedotto.
Con il sesto motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36-bis d.P.R. 600 del 1973 in ordine all’omesso versamento dell’irap (art. 360 n. 3 c.p.c.)
La CTR non ha riconosciuto che la negazione dell’agevolazione irap doveva emergere in sede di controllo cartolare ex art. 36 bis e non vi era alcuna necessità di operare in contraddittorio un accertamento sintetico.
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente attesa la comune tematica, sono infondati.
Dal tenore della sentenza si desume che la stessa ha implicitamente ritenuto corretto che l’ufficio abbia proceduto con avviso di accertamento, anche perché è principio costante quello per cui, se è vero che l’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 consente all’Amministrazione finanziaria di procedere direttamente all’iscrizione a ruolo, senza previa emissione dell’avviso di accertamento, quando la maggiore imposta risulti dovuta sulla base dei meri dati numerici esposti nella dichiarazione del contribuente, dovendo in caso contrario l’ufficio procedere con avviso di accertamento (sez. V n. 7291 del 2017), è anche vero che la stessa giurisprudenza afferma che il contribuente non ha interesse a dolersi del ricorso, in luogo della liquidazione automatizzata, a tale ultima procedura, che costituisce una maggiore garanzia.
Tra l’altro l’accertamento in questione era unitario, e, come è emerso dalla trattazione dei motivi precedenti, complesso, per cui il fatto che anche la rettifica ai fini irap sia stata inclusa in esso non pare avere leso i diritti del contribuente.
Quanto alla tipologia di accertamento utilizzata, è principio affermato da questa Corte, a proposito del tema sollevato nei motivi, (sez. V n. 2872 del 2017) che:
In tema di accertamento tributario, rientra nel potere dell’Amministrazione finanziaria, nell’ambito della previsione di legge, la scelta del corrispondente metodo da utilizzare, di cui il contribuente può dolersi solo se gliene derivi un pregiudizio sostanziale.
Con il settimo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione degli art. 8 d.P.R. 546 del 1992, 6 comma 2 d. Igs. 472 del 1997 e 10 comma 3 legge 212 del 2000, in relazione all’applicazione della sanzione di cui all’art. 1, comma 1, d. Igs. 472 del 1997 (art. 360 n. 3 c.p.c.)
La CTR ha errato nell’applicazione delle sanzioni in tema di irap, attesa l’obiettiva incertezza sul concetto di autonoma organizzazione e sulla stessa legittimità del tributo.
Il motivo è assorbito dall’accoglimento del primo, atteso che l’esame di qualunque questione afferente alle sanzioni presuppone, necessariamente, l’accertamento di un debito tributario afferente al merito, cioè di un maggior reddito.
Con l’ottavo motivo deduce nullità della sentenza per omessa pronuncia in merito all’eccezione del contribuente relativa alla riduzione della sanzione ad un terzo a causa della mancata applicazione della procedura di cui all’art. 36-bis d.P.R. 600 del 1973 in ordine all’omesso versamento dell’irap (Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.).
La sentenza della CTR, non pronunciandosi sull’applicazione del procedimento ex art. 36-bis d.P.R. 600 del 1973, non si è neppure pronunciata sul diritto del contribuente alla riduzione ad un terzo della sanzione contestatagli per infedele dichiarazione irap.
Con il nono motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36-bis d.P.R. 600 del 1973 e 2, comma 3, d. Igs 462 del 1997 in ordine all’omesso versamento irap (art. 360 n. 3 c.p.c.).
La CTR non ha rilevato il mancato rispetto della procedura di liquidazione automatica con invio del previo avviso bonario.
I motivi sono infondati, anche alla luce del rigetto del sesto motivo in cui si è affermato che l’ufficio non era tenuto a procedere ai sensi dell’art. 36-bis d.P.R. 600 del 1973.
Con il motivo di ricorso incidentale l’ufficio deduce nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. (omessa pronuncia) in relazione alla denunciata violazione dell’art. 57 comma 2 d. Igs 546 del 1992, ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
La CTR non si è pronunciata sull’eccezione formulata dall’ufficio, secondo la quale la provenienza delle somme versate sul conto C. da disinvestimenti operati dalla moglie del contribuente su altri conti correnti era stata dedotta da quest’ultimo solo in appello, ed era pertanto da considerarsi tardiva.
Il motivo è infondato.
La circostanza, infatti, non emerge dagli atti, atteso che nello stesso ricorso in primo grado del contribuente – riprodotto dall’ufficio nel controricorso in cassazione – si legge che in merito al conto 41000 C. il contribuente aveva già spiegato in contraddittorio precontenzioso che parte dei versamenti su quel conto provenivano da prelevamenti su altro conto della Banca E. acceso con la moglie, e tale giustificazione è riproposta anche nel ricorso davanti alla CTP.
P.Q.M.
Accoglie il primo e secondo motivo, assorbiti il terzo, il quarto ed il settimo; rigetta i restanti motivi del ricorso principale ed il motivo del ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla CTR della Toscana, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a) d.p.c.m. 8 marzo 2020.
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