CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 aprile 2019, n. 11054
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Dichiarazione dei redditi – Rettifica – Cessione d’azienda – Plusvalenza
Fatti di causa
Con sentenza n. 58/38/2012, depositata 13 febbraio 2012, non notificata, la CTR del Lazio accolse parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del sig. A.A. avverso la sentenza della CTP di Roma, che aveva invece integralmente accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso avviso di accertamento per IRPEF ed addizionali regionale e comunale per l’anno 2002, col quale l’Amministrazione finanziaria aveva rettificato il reddito dichiarato per la suddetta annualità in base a plusvalenza non dichiarata, derivante da cessione d’azienda, quantificata nel maggior importo di Euro 296.375,00, rispetto al valore dichiarato della cessione di Euro 232.406,00, esposto erroneamente dal contribuente sotto la voce “sopravvenienze attive” in luogo di quella corretta di “ricavi di esercizio”.
La CTR, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ritenne che l’annullamento in toto dell’atto impositivo fosse illegittimo, non avendo il contribuente contestato con il ricorso di primo grado l’ulteriore recupero a tassazione dell’importo di Euro 166.056,00 in relazione a contestazione dell’estraneità a conto sopravvenienze passive di talune voci ivi indicate; nel resto ridusse l’importo della plusvalenza ad Euro 277.180,00, quantificandolo in detta misura in base al valore del compendio aziendale come determinato in detto importo in sede di accertamento con adesione ai fini dell’imposta di registro.
Avverso detta sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, ulteriormente illustrato da memoria.
L’Agenzia delle Entrate ha dichiarato di costituirsi al solo fine della partecipazione all’udienza di discussione.
Quest’ultima è stata fissata a seguito di ordinanza interlocutoria resa dalla sesta sezione civile della Corte.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 57, comma 1, del d. lgs. n. 546/1992 e 345, commi 1 e 2, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., nonché omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata non ha rilevato il carattere di novità dell’allegazione, per la prima volta con il ricorso in appello, da parte dell’Amministrazione, riferita all’accertamento con adesione riguardo al valore dell’azienda oggetto di cessione determinato in Euro 277.180,00 in sede di accertamento con adesione ai fini dell’imposta di registro, circostanza fattuale assolutamente estranea al contenuto delle controdeduzioni depositate in appello dall’Amministrazione finanziaria.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 58, comma 1, dell’art. 546/1992 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. e omessa motivazione circa un fatto controverso per il giudizio, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nella parte in cui la decisione impugnata ha fondato la decisione sul documento riferito al succitato accertamento con adesione consistente in stampa meccanizzata, tratta dall’Anagrafe tributaria, non sottoscritta e prodotta per la prima volta in grado d’appello.
3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 115, comma 1, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 360, comma 1, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., 2697, comma 1, cod. civ., 3, comma 1 della l. n. 241/1990, 7, comma 1, della l. n. 212/2000 e 24 Cost., nonché omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc., lamentando che la pronuncia impugnata, senza alcuna motivazione al riguardo, avrebbe determinato il valore della plusvalenza in base ad atto privo di alcuna valenza probatoria, addossando ad esso contribuente l’onere della prova di non aver percepito come corrispettivo della cessione d’azienda un prezzo maggiore di quello dichiarato nell’atto traslativo, in violazione del criterio generale di riparto dell’onere della prova e del principio di disponibilità delle prove.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 115, comma 1, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. ed omessa motivazione in ordine a fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per omessa pronuncia e/o motivazione in ordine alla questione, riproposta in grado d’appello, attinente alla perdita di esercizio per l’anno in contestazione pari ad € 69.320,97 che, ove esaminata, avrebbe dovuto portare il giudice tributario d’appello a ritenere comunque illegittima la rettifica del reddito dichiarato dal contribuente, stante la compensazione di detto importo con quello di Euro 63.969,00, corrispondente alla differenza tra la plusvalenza accertata (pari ad Euro 296.375,00) e quella dichiarata dal ricorrente (pari ad € 232.406,00).
5. Infine, con il quinto motivo, il ricorrente lamenta ancora omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., relativamente alla quantificazione della plusvalenza unicamente in ragione della presunzione di corrispondenza tra prezzo incassato dalla cessione e valore di mercato dell’azienda, quale determinato in sede di accertamento con adesione ai fini dell’imposta di registro.
6. Il primo motivo è inammissibile, prima ancora che infondato.
La censura investe l’omesso rilievo da parte della sentenza d’appello della pretesa inammissibilità, quale domanda nuova, della deduzione, esplicitata dall’Amministrazione per la prima volta solo con il ricorso in appello, dell’esito dell’accertamento con adesione riferito al valore di mercato attribuito all’azienda, ai fini dell’imposta di registro, in Euro 277.180,00.
6.1. Sennonché, presupponendo il motivo il riferimento all’ambito della delimitazione del thema decidendum in ragione della contestazione espressa dall’Amministrazione con l’atto impositivo, il ricorrente avrebbe dovuto in primo luogo allegare al ricorso l’avviso di accertamento o trascriverne il contenuto al fine di consentire alla Corte di esprimere il sindacato richiesto.
6.2. In ogni caso il motivo è palesemente infondato, in quanto la causa petendi della ripresa a tassazione della pretesa plusvalenza non dichiarata è, come ammesso dallo stesso contribuente, riferita alla pretesa discordanza tra prezzo di mercato assunto ai fini dell’imposta di registro e prezzo effettivamente incassato come corrispettivo della cessione di azienda, sicché, ove anche il riferimento all’accertamento con adesione sia stato contenuto nel solo ricorso in appello ai fini della determinazione del quantum della plusvalenza, esso avrebbe comportato la sola emendatio della pretesa impositiva dell’Amministrazione finanziaria in senso riduttivo rispetto a quanto indicato con l’avviso di accertamento.
7. Il secondo motivo, nella parte riferita alla violazione o falsa applicazione della legge processuale (art. 58 del d.lgs. n. 546/1992) è inammissibile, in relazione all’art. 360 bis, cod. proc. civ. (cfr. Cass. SU 21 marzo 2017, n. 7155), prospettando un divieto di produzione di nuovi documenti in appello che si pone, senza aggiungere alcun / elemento di novità, in palese contrasto con la giurisprudenza di questa Corte in materia (cfr., tra le molte, Cass. sez. 6-5, ord. 4 maggio 2018, n. 10781; Cass. sez. 5, ord. 7 marzo 2018, n. 5429; Cass. sez. 5, 22 novembre 2017, n. 27774; Cass. 30 dicembre 2016, n. 27474; Cass. sez. 5, 16 settembre 2011, n. 18907), che viceversa, proprio nei limiti in cui la produzione di nuovi documenti non comporti una modifica non consentita dell’originario thema decidendum, afferma la legittimità della relativa produzione, ponendosi l’art. 58, comma 2, che fa «salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti», come norma speciale rispetto all’art. 345, comma 3, cod. proc. civ.; avendo altresì la Corte costituzionale, con sentenza 4 luglio 2017, n. 199, ribadito la legittimità costituzionale della norma così come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte in materia.
8. La censura riferita alla carenza motivazionale riguardo alla determinazione del quantum della pretesa plusvalenza sulla base del dato, ricavato da documento a stampa meccanizzata, riguardo alla definizione a mezzo di accertamento con adesione ai fini dell’imposta di registro, va esaminata invece, per connessione, congiuntamente con il terzo motivo, anch’esso riferito a più ordini di censure, suscettibili peraltro di essere agevolmente oggetto di esame separato (cfr. Cass. SU 6 maggio 2015, n. 9100).
8.1. Esse sono fondate.
Invero deve tenersi conto, in materia, dello ius superveniens alla decisione in questa sede impugnata, segnatamente dell’art. 5, comma 3, del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147, che ha stabilito che «Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5 bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347».
8.2. Come già osservato da questa Corte (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 7 settembre 2018, n. 21768; Cass. sez. 5, ord. 18 aprile 2018, n. 9513; Cass. sez. 6-5, ord. 7 dicembre 2016, n. 25241; Cass. sez. 6-5, ord. 29 novembre 2016, n. 24367; Cass. sez. 6-5, ord. 18 luglio 2016, n. 14664; Cass. sez. 5, 30 marzo 2016, n. 6135), detta norma, avendo natura di norma d’interpretazione autentica, ex art. 1, comma 2, della legge n. 212/2000, è applicabile retroattivamente ai giudizi pendenti.
8.3. Ciò fa sì che l’accertamento della plusvalenza ai fini IRPEF non possa legittimamente presumersi in forza del solo valore accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, come invece accaduto con l’impugnata pronuncia.
9. Ugualmente è fondato il quarto motivo, sotto il profilo della violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, assorbente gli altri del pari ivi dedotti, non essendovi traccia nella decisione impugnata dell’esame, da parte della CTR, e della conseguente decisione, della questione relativa alla perdita di esercizio pari ad Euro 69.320,97, sebbene indicata nell’avviso di accertamento, non contestata, idonea a compensare la differenza tra la plusvalenza accertata e quella dichiarata dal contribuente, che il contribuente ha prospettato con l’originario ricorso, facendone oggetto di riproposizione in sede di controdeduzioni depositate al ricorso in appello proposto dall’Amministrazione finanziaria.
10. Resta assorbito, alla stregua delle considerazioni che precedono, il quinto ed ultimo motivo.
11. In conclusione il ricorso va dunque accolto nei termini di cui in motivazione, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvio per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata nei termini di cui in motivazione e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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