CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 aprile 2019, n. 11112
Contratto di lavoro a tempo determinato – Nullità – Ragioni sostitutive per la copertura delle ferie dei dipendenti – Mancanza dei requisiti di specificità e verificabilità
Fatti di causa
La Corte di appello di Milano con la sentenza n. 1019/2013 aveva accolto l’appello di M.C. avverso la decisione con la quale il tribunale locale aveva rigettato la domanda dalla stessa proposta nei confronti di A.C.A.I. spa, diretta all’accertamento della illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti e della esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 1° marzo 2011.
La corte territoriale aveva ritenuto che la causale apposta al contratto a giustificazione dell’assunzione a termine, relativa alle ragioni sostitutive per la copertura delle ferie dei dipendenti del settore A/V per il periodo 12.3.2011-30.6.2011, non soddisfacesse i requisiti di specificità e verificabilità come individuati e chiariti dalla giurisprudenza di legittimità oltre che dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 107/2013. In particolare il giudice d’appello rilevava la mancata indicazione di quelli elementi, quali l’ambito territoriale riferibile alla operatività della sostituzione, necessari a integrare il disposto della clausola, a nulla rilevando in tal senso, la circostanza che le mansioni svolte collegate al trasporto aereo, non consentissero l’individuazione di una unica sede di lavoro e neppure, ai fini della specificazione della clausola, quanto dichiarato dai testi escussi con riguardo alla concentrazione delle ferie nel periodo di marzo, non essendo da ciò desumibile un diretto nesso causale tra tale dato e l’assunzione della C..
La corte milanese non considerava rilevanti le eccezioni relative alla mancata produzione del CCNL ed alla essenzialità del termine ai sensi dell’art. 1419 c.c. così accogliendo la originaria domanda del lavoratore e dichiarando esistente tra lo stesso e la A. – C.A.I. spa un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 1.3.2011.
Avverso detta decisione la società proponeva ricorso affidato a quattro motivi cui resisteva la C. con controricorso. Entrambe le parti depositavano successive memorie.
Ragioni della decisione
1) – Con il primo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 1 del d.lgs n. 368/01, dell’art. 2697 c.c., dell’art. 421 e 115 e 116 c.p.c.(art. 360 co.l n. 3 c.p.c.). Parte ricorrente lamenta le erronee considerazioni della corte milanese in contrasto con i principi in materia enunciati dal Supremo Collegio sulla prova delle esigenze sostitutive. In particolare rileva la mancata valutazione degli elementi integrativi della fattispecie legale come indicati dal Giudice delle leggi (Corte Cost. n. 107/2013) e dal Giudice di legittimità, quali l’ambito territoriale dell’assunzione, il luogo della prestazione lavorativa e le mansioni con diritto alla conservazione del posto dei dipendenti da sostituire.
Il motivo non risulta ammissibile. Si osserva che la sentenza impugnata espressamente rileva la mancata indicazione dell’ambito territoriale (pg 6) e che dunque rispetto alla specifica statuizione sul punto parte ricorrente nel motivo di censura avrebbe dovuto non solo limitarsi a menzionare la contrastante circostanza della presenza di tale indicazione dell’ambito territoriale nel contratto di lavoro, ma inserirne il preciso contenuto.
A riguardo questa Corte ha chiarito che “Il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci l’omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara ‘ indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto” (Cass. n. 14107/2017) L’assenza di siffatte connotazioni rende l’intero motivo, anche in riferimento alle ulteriori doglianze relative alla correttezza della causale inserita nel contratto, privo del carattere di specificità e privo della capacità di rendere immediatamente chiaro e intellegibile il vizio denunciato, non essendo possibile confrontare compiutamente questo con l’effettivo contenuto delle disposizioni contrattuali.
2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. – Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (in riferimento all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.). Rileva la società una distonia tra la valutazione della corte milanese sulla genericità della clausola e la attività istruttoria svolta. Ritiene a riguardo che la corte avrebbe dovuto non procedere nello svolgimento della attività istruttoria una volta ritenuta la originaria genericità della clausola.
Il vizio denunciato risulta inconferente rispetto al contenuto della doglianza in quanto il procedimento seguito dalla Corte d’appello risulta estraneo allo stesso contenuto del principio richiamato in quanto sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., “quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto” (Cass. n. 28308/2017).
Questa corte ha poi ulteriormente chiarito che “Il principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 cod. proc. civ., implica unicamente il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa – alla stregua delle risultanze istruttorie – autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante“(Cass. n. 16809/2008; conf. Cass. n. 2209/2016).
I principi enunciati evidenziano l’estraneità della doglianza rispetto al vizio ed al principio in esso sussunto ove , peraltro, lo svolgimento di attività istruttoria rientra nei poteri accertativi del Giudice comunque finalizzati alla giustezza della decisione. Il motivo è infondato.
3) Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 434 c.p.c. (in riferimento all’ art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.) nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (in riferimento all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.), per aver, la corte milanese, omesso di statuire in ordine alla violazione dell’art. 434 c.p.c. in presenza di carenze nel ricorso della lavoratrice.
Motivo oltre che inammissibile risulta anche infondato.
Premesso che la violazione denunciata ha riguardo all’errata valutazione da parte del Giudice di un atto di causa ed attiene quindi ad un error in procedendo valutabile secondo i canoni di cui all’art. 360, 1 co, n. 4 c.p.c., deve richiamarsi quanto già enunciato da questa Corte secondo cui l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’ atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità” (Cass. n. 22880/2017). Nel caso in esame alcuna indicazione specifica è contenuta nel ricorso, ove non risultano inseriti e riportati l’atto di appello e la sentenza gravata così da rendere possibile la valutazione concreta delle doglianze avanzate.
Peraltro deve ritenersi infondata la censura relativa all’omesso esame della eccezione a riguardo sollevata in quanto la sentenza qui impugnata contiene espressa statuizione sulla ammissibilità della impugnazione ritenuta “sintetica ma sufficiente” (pg 3 sentenza).
4) Con il quarto motivo è dedotta la violazione dell’art. 32 comma 5 e 6 l. n. 183/2010 (in riferimento all’ art. 360 n. 3 c.p.c.), la violazione dell’accordo sindacale 4.3.2011, della contrattazione collettiva e degli accordi sindacali vigenti ( con riguardo all’art. 360 co.l n. 3 c.p.c.); violazione e falsa applicazione art. 8 l. n. 604/66 (ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.); l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.).
La società lamenta l’errato riconoscimento alla lavoratrice dell’importo risarcitorio pari a 12 mensilità, non essendo stato applicato il comma 6 dell’art. 32 richiamato, dispositivo della riduzione a metà degli importi previsti dal comma 5 dell’art. 32. in caso di presenza di contratti o accordi collettivi che prevedono l’assunzione anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie. La società rilevava che pur a seguito del deposito dell’accordo sindacale del 4.3.2011, la corte milanese aveva omesso ogni statuizione a riguardo, anche liquidando l’errato importo risarcitorio.
Con riguardo alla applicazione della riduzione degli importi risarcitori di cui al comma 6 del richiamato art. 32 l. n. 183/2010, questa Corte ha avuto modo di chiarire che “In materia di contratto a tempo determinato, la possibilità della riduzione alla metà del limite massimo dell’indennità prevista dall’art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183, in dipendenza della applicabilità al lavoratore di accordi di stabilizzazione, ai sensi dell’art. 32, comma 6 della legge 183 cit., deve essere verificata con riferimento alla data della cessazione del rapporto ed è subordinata all’effettiva e concreta possibilità per il lavoratore di aderire, in tale momento, ad un accordo di stabilizzazione e non, invece, alla semplice stipula, in assoluto, da parte del datore di lavoro, di accordi di stabilizzazione“(Cass. 3027/2014).
Nel caso di specie non è stata allegata ed indicata nel motivo di censura la circostanza dell’inserimento della lavoratrice nelle dette graduatorie, dandosi atto della sola esistenza di accordi che prevedevano le graduatorie in questione. Il motivo è dunque privo del carattere di specificità rispetto agli elementi necessari a configurare la violazione desunta ed è quindi inammissibile.
Il ricorso è infondato. Le spese, in ragione del criterio della soccombenza, sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 4.500,00 per compensi ed E. 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma.del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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