CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 aprile 2022, n. 12453
Giudizio contro Inps – Riempimento documento absque pactis – Querela di falso – Inammissibilità ex art. 348-bis c.p.c. – Intervento obbligatorio del Pubblico ministero – Error in procedendo
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 17.3.2016, la Corte d’appello di Milano ha dichiarato inammissibile ex art. 348-bis c.p.c. l’appello proposto da C. B. avverso la pronuncia del Tribunale di Sondrio che aveva dichiarato inammissibile la querela di falso da lui proposta in via principale nei confronti di un documento a sua firma prodotto dall’INPS in altro giudizio tra loro pendente e di cui egli aveva sostenuto l’avvenuto riempimento absque pactis.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che le valutazioni in fatto e in diritto svolte dal primo giudice fossero condivisibili e che le argomentazioni spese nel gravame fossero tali da far presumere che l’appello si sarebbe concluso in senso sfavorevole all’appellante.
Avverso tali statuizioni e subordinatamente nei confronti della sentenza di primo grado C. B. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo sei motivi di censura, successivamente illustrati con memoria. L’INPS ha depositato delega in calce al ricorso notificatogli, mentre la società concessionaria dei servizi di riscossione è rimasta intimata.
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 70, 348-bis e 348-ter c.p.c., con riferimento all’art. 111 comma 7° Cost., per avere la Corte di merito pronunciato ordinanza d’inammissibilità del ricorso ex art. 348-bis, cit., nonostante il presente procedimento, concernendo una querela di falso, rientrasse nel novero delle cause in cui, ai sensi degli artt. 70 e 221 c.p.c., è obbligatorio l’intervento del Pubblico ministero.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 111 comma 6° Cost. nonché degli artt. 134 e 348-ter c.p.c., in relazione all’art. 111 comma 7° Cost., per non avere la Corte territoriale in alcun modo motivato rispetto ai due motivi di gravame dedotti in appello e concernenti la violazione e falsa applicazione dell’art. 226 c.p.c. e l’erroneità della pronuncia di prime cure in ordine alla regolamentazione delle spese di lite.
Con il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo, il ricorrente impugna in subordine la sentenza di primo grado, dolendosi di violazione e falsa applicazione degli artt. 221 e ss. c.p.c., dell’art. 132 n. 4 c.p.c., dell’art. 226 c.p.c. e del d.m. n. 55/2014, per avere il giudice di prime cure ritenuto l’inammissibilità della querela di falso ed errato nella liquidazione delle spese di lite.
Ciò posto, il primo motivo è fondato.
Rammentato, sul punto, che il presente procedimento ha ad oggetto la querela di falso proposta dall’odierno ricorrente nei confronti di un documento a sua firma prodotto dall’INPS in altro giudizio tra loro pendente e di cui egli aveva sostenuto l’avvenuto riempimento absque pactis, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che non può essere adottata alcuna pronuncia di inammissibilità dell’appello ai sensi degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. nelle controversie in cui sia proposta una querela di falso, sia in via principale che incidentale, trattandosi di causa in cui è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero (art. 221, comma 3°, c.p.c.) e che rientra pertanto fra quelle di cui all’art. 70, comma 1°, c.p.c., alle quali, per espresso disposto dell’art. 348-bis, comma 2° c.p.c., non si applica la previsione secondo cui l’impugnazione è dichiarata inammissibile “quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta” (così Cass. n. 12920 del 2020).
Sotto questo profilo, non appaiono condivisibili le conclusioni del Procuratore generale, che ha concluso per il rigetto del motivo in ragione del fatto che sarebbe all’uopo sufficiente che l’ufficio del Pubblico ministero sia stato informato del giudizio e posto in condizione di formulare conclusioni, ciò che – nella specie – risulterebbe dalla stessa intestazione dell’ordinanza impugnata, in cui il P.M. presso la Corte d’appello di Milano è indicato come parte appellata: fermo restando che, ai fini della validità del procedimento per querela di falso, non sono necessarie né la presenza alle udienze né la formulazione delle conclusioni da parte di un rappresentante del Pubblico ministero, essendo sufficiente che tale ufficio, mediante l’invio degli atti, sia informato del giudizio e posto in condizione di sviluppare l’attività ritenuta opportuna (cfr. in tal senso da ult. Cass. n. 27402 del 2018), la previsione dell’art. 348-bis, comma 2°, lett. a), c.p.c., non è rivolta a presidio della possibilità d’intervento del Pubblico ministero, ma a garantire che, nelle cause di cui all’art. 70 c.p.c., in ragione della peculiare delicatezza delle materie che ne formano oggetto, l’impugnazione dia luogo ad un giudizio non già meramente prognostico, ma viceversa basato su di un accertamento pieno sia in fatto che in diritto; e la riprova sta nella disposizione di cui alla successiva lett. b), la quale, escludendo dalla possibilità di pronunciare l’ordinanza d’inammissibilità per motivi prognostici anche gli appelli proposti ai sensi dell’art. 702- quater c.p.c., ossia quelli rivolti nei confronti delle ordinanze decisorie di primo grado che abbiano statuito nell’ambito di procedimenti sommari di cognizione, palesa l’intenzione del legislatore di individuare due diverse tipologie di fattispecie per le quali non è opportuno che il grado di appello si risolva in un giudizio sommario, qual è inevitabilmente il giudizio prognostico circa la possibilità che l’impugnazione sia accolta o meno: la prima in ragione della natura indisponibile degli interessi che vi sono sottesi, resa manifesta dall’obbligatorietà dell’intervento del Pubblico ministero, la seconda in ragione della necessità di assicurare ai litiganti almeno un grado di cognizione piena.
È semmai il caso di aggiungere che, sebbene questa Corte abbia precisato che la possibilità di definire l’appello con ordinanza di inammissibilità ex artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. non è preclusa allorché la querela di falso sia stata proposta senza indicazione degli elementi e delle prove della falsità del documento, non sussistendo naturalmente obbligo di intervento del Pubblico ministero allorché la querela sia nulla (così Cass. n. 12920 del 2020, cit.), tanto non può dirsi nel caso di specie, avendo parte ricorrente pienamente ottemperato agli oneri impostile dalla legge ai fini della validità della querela (cfr. specialmente pagg. 4 e 7 ss. del ricorso per cassazione) ed essendo la pronuncia d’inammissibilità del primo giudice derivata dall’aver questi ritenuto che si vedesse in ipotesi di riempimento del foglio non absque pactis, bensì contra pacta, ciò contro cui l’odierno ricorrente aveva speso apposito mezzo di gravame (ibid., pag. 19 ss.), poi reiterato in questa sede di legittimità (ibid., pag. 36 ss.).
Dovendo pertanto ritenersi che la pronuncia dell’ordinanza ex artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. abbia dato luogo, in specie, al denunciato error in procedendo (ciò che la rende impugnabile ex se in questa sede di legittimità: Cass. S.U. n. 1914 del 2016 e succ. conf.), il ricorso va accolto quanto al primo motivo, rimanendo necessariamente assorbiti gli altri, e – cassata l’ordinanza impugnata – la causa va rinviata ex art. 383 comma 4 c.p.c. alla Corte d’appello di Milano, senza vincolo di diversa composizione, trattandosi di rinvio c.d. restitutorio (Cass. n. 6326 del 2019).
Il giudice designato provvederà altresì sulle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.
Cassa l’ordinanza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
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