CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 dicembre 2018, n. 32873
Infortunio sul lavoro – Risarcimento danni – Omessa sorveglianza del lavoratore
Fatti di causa
1. Con sentenza depositata iI 26.2.2015, la Corte di appello di Trento ha confermato la pronuncia del Tribunale di Rovereto n. 48/2013 con la quale era stata respinta la domanda, proposta da M.C. nei confronti della R.C. srl e della GBS sepa, diretta ad ottenere il pagamento della somma di euro 243.356,00 a titolo di risarcimento di tutti i danni subiti nell’infortunio sul lavoro verificatosi in data 6.8.2009.
2. Questa Suprema Corte, con l’ordinanza n. 4970/2017, ha rigettato il ricorso per cassazione, articolato su tre motivi, formulati dal predetto Conti.
3. Per la revocazione di tale provvedimento ha proposto ricorso M.C.
4. Hanno resistito con controricorso la G. spa e la R.C. snc.
Ragioni della decisione
1. A fondamento del ricorso per revocazione, per errore di fatto ex art. 391 bis e 395 n. 4 cpc, M.C. deduce che l’ordinanza impugnata non aveva esaminato il terzo motivo dell’originario ricorso per cassazione che investiva la questione dell’omessa sorveglianza del lavoratore da parte del datore di lavoro o di un suo preposto al cantiere: sorveglianza che, qualora fosse stata attuata, in ossequio a quanto disposto dalle linee guida al punto 8.1 emanate in attuazione sia della Direttiva 2001/45/CE che del D.lgs n. 253/2003, avrebbe impedito l’evento. Il ricorrente chiede, pertanto, che per l’errore revocatorio ictu oculi rilevabile, sia disposta la revocazione del suddetto provvedimento e, in fase rescissoria, la cassazione della sentenza di secondo grado.
2. Va, in via preliminare, rimarcato che questa Corte ha ripetutamente affermato che l’errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4 cpc, idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; l’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi di errore di giudizio; esso presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico o siano frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (cfr. Cass 3.4.2017 n. 8615 e i precedenti richiamati).
3. Inoltre, deve specificarsi, con particolare riferimento al caso concreto, che integra errore revocatorio di fatto, ai sensi dell’art. 395 n. 4 cpc, il mancato esame di uno dei motivi di ricorso nell’erronea supposizione dell’inesistenza del motivo stesso, che non sia frutto di una mera omissione, ma di un errore di percezione di un fatto processuale (cfr. Cass.13.12.2016 n. 25560; Cass. Sez. Un. 11. 4.2018 n. 8984).
4. In applicazione delle premesse in diritto sopra individuate, il ricorso è inammissibile in quanto l’errore in tesi imputato alla sentenza della quale è chiesta la revocazione non è riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 395 n. 4 cpc, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391 bis cpc.
5. Invero il ricorrente, come sopra evidenziato in ordine alle doglianze mosse, si duole che i giudici di legittimità non abbiano valutato il terzo motivo dell’originario ricorso.
6. Ciò, però, non è condivisibile in primo luogo perché nello storico del provvedimento n. 4970/2017 (pag. 4) la doglianza sulla dedotta mancata presenza, durante lo svolgimento delle operazioni di disboscamento in quota, di preposti deputati al controllo della regolarità delle operazioni e alla direzione delle manovre di emergenza, è stata ben riportata tra i motivi di ricorso per cassazione.
7. In secondo luogo, va osservato che tale censura è stata anche esaminata dalla Corte, unitamente al secondo motivo, che ha sottolineato, in punto di diritto, che l’art. 2087 cc non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva e, in punto di fatto, che nel caso di specie i giudici del merito avevano congruamente e correttamente motivato circa la dotazione, fornita al lavoratore, di strumenti idonei e conformi alle prescrizioni di legge nonché circa l’apprestamento di una adeguata istruzione in ordine ai rischi, comprovata dall’attestato di frequenza ad un corso e alla consegna al lavoratore del POS, oltre ad un avvenuto addestramento tecnico-pratico.
8. Ciò, quindi, escludeva ogni comportamento colpevole del datore di lavoro al quale non poteva accollarsi l’obbligo di garantire un ambiente di lavoro a «rischio zero».
9. In conclusione, quindi, non venendo in rilievo errori di percezione, nei termini denunziati dal Conti, circa il mancato esame di uno dei motivi di ricorso alla stregua degli orientamenti di legittimità sopra riportati, la presente domanda di revocazione deve essere dichiarata inammissibile.
10. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, analogamente come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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