CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 dicembre 2018, n. 32880

Inquadramento come dirigente – Contratto privo di firma – Espletamento di mansioni congruenti con il livello rivendicato – Prova di aver svolto mansioni implicanti l’esercizio di poteri decisionali e direttivi – Comparazione tra il livello di appartenenza ed il livello rivendicato, dimostrando l’inadeguatezza del primo in relazione all’attività svolta

Fatti di causa

1. Il Tribunale di Velletri aveva respinto la domanda proposta da R.B., intesa ad ottenere, previo riconoscimento del diritto ad essere inquadrato come dirigente dal 1.10.1998 alla data delle dimissioni, la condanna della K.I. s.r.l. al pagamento della somma di euro 221.191,16, a titolo di differenze retributive, ed al versamento all’INPS ed ai fondi di previdenza ed assistenza dei dirigenti del settore commercio dei contributi previdenziali ed assistenziali, nonché la condanna della stessa società al risarcimento del danno biologico, morale ed alla vita di relazione e della somma di euro 23210,90 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, in considerazione della dedotta giusta causa delle rassegnate dimissioni.

2. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 21.1.2016, accertava il diritto di R.B. ad essere formalmente inquadrato come dirigente dall’1.10.1998 alla data delle dimissioni, rigettava la conseguente domanda di pagamento delle differenze retributive (in quanto il percepito era superiore a quanto dovuto in qualità di dirigente) e condannava la società a corrispondere all’INPS ed ai fondi di previdenza ed assistenza dei dirigenti del settore commercio i contributi previdenziali ed assistenziali dovuti a titolo di previdenza ordinaria ed integrativa ed a titolo di assistenza sanitaria integrativa.

3. Rilevava la Corte, per quel che interessa nella presente sede, che il contratto del 15.9.1998, che prevedeva la nomina del B. quale dirigente a far data dal 1.10.1998, non rivestiva alcun valore in quanto privo di firma e che, con successiva nota del 9.12.1998, la società aveva nominato il predetto R.M. e F.D., funzione incontestatamente rivestita in precedenza da altri dipendenti con qualifica dirigenziale. Osservava che gli organigrammi in atti attestavano che la figura di R.M. ricoperta dal B. faceva capo direttamente al M.D. e che la stessa era sovraordinata rispetto alle divisioni (agricola, industriale e amministrativa) esistenti presso la K. I. s.r.l. e che lo stesso era l’esecutore delle decisioni della casa madre, tenuto a rapportarsi direttamente con il M.D., come evincibile dall’organigramma in atti. Inoltre, le attività svolte denotavano autonomia e discrezionalità proprie della figura dirigenziale, così come previsto dal c.c.n.I. Dirigenti di aziende del terziario. Con la procura speciale del 1.7.2005, la società aveva conferito al B. il potere rappresentativo della società nei confronti di enti ed uffici, di assumere e licenziare dipendenti, di acquistare e vendere, di stipulare contratti e di transigere sino ad un massimo di euro 50.000,00 e, con altre procure, gli aveva conferito la nomina di procuratore speciale della società in varie vertenze di lavoro, il potere di effettuare, versamenti bancari, prelevamenti o altre disposizioni, oltre che il potere di gestione autonoma del personale della società e delle giacenze del magazzini. Anche i testi ne avevano confermato il ruolo di preposto della società e di referente della casa madre danese, sicché era congruo rispetto alla declaratoria contrattuale del CCNL l’inquadramento quale dirigente a far data dal 1.10.1998 alla data delle dimissioni, nonché la conseguente condanna alla corresponsione, in favore all’INPS ed ai fondi di previdenza ed assistenza dirigenti, dei relativi contributi.

4. Di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l’impugnazione a quattro motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste, con controricorso, il B..

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo, la società denunzia l’illegittimità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, 36 e 41 della Costituzione, 2103 c.c. e 1 del CCNL dei Dirigenti Aziende commerciali, per avere riconosciuto al dott. B. la qualifica di dirigente, in quanto la funzione dallo stesso ricoperta a far data dal 9 dicembre era stata precedentemente ricoperta da un altro dirigente con qualifica dirigenziale. Assume che non abbia rilievo la circostanza che compiti identici siano stati svolti da altri dipendenti con qualifica dirigenziale, sia ai fini del richiesto inquadramento, sia in relazione al profilo della disparità di trattamento.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2095 e 2103 c.c. e dell’art. 104 CCNL Dipendenti da Aziende del terziario della Distribuzione e dei Servizi e dell’art. 1 CCNL dei dirigenti delle aziende commerciali, per avere la sentenza riconosciuto il ruolo dirigenziale al B. per il solo fatto di avere ricoperto una funzione di vertice sovraordinata alle altre divisioni e riportante direttamente all’Amministratore delegato, sul rilievo che era mancata nella sentenza della Corte territoriale l’indicazione delle concrete attività e mansioni dalle quali potesse desumersene l’inquadramento. Evidenzia che la declaratoria, art. 104 (ora 107) del c.c.n.I. per i Dipendenti aziende del Terziario, ricomprende nella Categoria dei Quadri coloro che svolgono con carattere continuativo funzioni direttive di rilevante importanza per lo svolgimento ed attuazione degli obiettivi dell’impresa nell’ambito di strategie e programmi aziendali definiti, in organizzazioni di adeguata dimensione e struttura anche decentrata, con poteri di discrezionalità e responsabilità gestionali anche nella conduzione e coordinamento di risorse e persone. Non sarebbe stata rilevata dal giudice del gravame la diversità dell’autonomia operativa di cui godeva il B. rispetto a quella propria di un quadro.

3. Con il terzo motivo, la società si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 2103, 2203 e 2204 c.c. e dell’art. 1 c.c.n.I. Dirigenti aziende Commerciali, per avere la Corte territoriale qualificato il B. quale institore della K. e per avergli riconosciuto la qualifica dirigenziale in assenza dei requisiti necessari, non potendo lo stesso determinare i termini e contenuti delle transazioni effettuate, non avendo alcun potere autonomo e discrezionale ed essendo le operazioni anche bancarie che svolgeva in autonomia di carattere affatto routinario. Richiama giurisprudenza di legittimità secondo cui il conferimento della sola procura institoria non è di per sé sola circostanza sufficiente ai fini del riconoscimento della qualifica dirigenziale, indipendentemente dalle mansioni svolte dal dipendente. Assume che, in relazione al conferimento della procura institoria avvenuta il 1 luglio 2005, il riconoscimento della qualifica dirigenziale avrebbe dovuto riconoscersi solo a far data dallo stesso conferimento.

4. Con il quarto motivo, è ascritta alla decisione violazione dell’art. 2909 c.c., dell’art. 24 Cost. e dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali del 4 novembre 1950, per avere condannato la società al pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali nei confronti dell’INPS e dei Fondi di Previdenza senza che gli stessi fossero parti nel giudizio.

5. Quanto al primo motivo, è pacifica l’inesistenza nell’ ordinamento di un principio che imponga al datore di lavoro, nell’ambito dei rapporti privatistici, di garantire parità di retribuzione e/o di inquadramento a tutti i lavoratori svolgenti le medesime mansioni, atteso che l’art. 36 Cost. si limita a stabilire il principio di sufficienza ed adeguatezza della retribuzione prescindendo da ogni comparazione intersoggettiva e che l’art. 3 Cost. impone l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e non anche nei rapporti interprivati, sicché la mera circostanza (priva di ulteriori specificazioni) che determinate mansioni siano state in precedenza affidate a dipendenti cui il datore di lavoro riconosceva una qualifica superiore è del tutto irrilevante per il dipendente al quale, con diversa e inferiore qualifica, siano state affidate le stesse mansioni (cfr., tra le altre, Cass. 12.12.2014 n. 26236, Cass. 16015 del 19.7.2007, Cass. 17.5.2003 n. 77529). Tuttavia, la decisione impugnata non si fonda sull’applicazione del principio negato dal suddetto orientamento giurisprudenziale di legittimità, in quanto la circostanza che la funzione attribuita al B. fosse in precedenza ricoperta da altro dipendente con qualifica dirigenziale è stata evidenziata nell’ambito dello sviluppo argomentativo seguito dalla Corte solo per confermare la validità di ulteriori riscontri delle funzioni sovraordinate rispetto ad altri dipendenti dei diversi settori svolte dal B. e gli elementi desunti dall’esame degli organigrammi aziendali che ne escludevano la parificazione con altri lavoratori in ragione del ruolo di R.M. attribuito al predetto. Coerentemente con tale accertamento è stata ritenuta raggiunta la prova dell’espletamento di mansioni congruenti con il livello rivendicato, ed il procedimento seguito è conforme ai principi affermati da questa Corte, secondo cui, ai fini del riconoscimento della qualifica di dirigente, il lavoratore deve non solo provare di aver svolto mansioni implicanti l’esercizio di poteri decisionali e direttivi propri di essa, ma anche effettuare una comparazione tra il livello di appartenenza ed il livello rivendicato e dimostrare l’inadeguatezza del primo in relazione all’attività svolta (cfr. Cass. 25/08/2015 n. 17123).

6. La verifica effettuata risulta rispettosa anche dei principi affermati in ordine alla necessità che nel procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato vengano rispettate le tre fasi successive dell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, della individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e del raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda (cfr., tra le tante, Cass. 28.4.2015 n. 8589, Cass. 27.9.2010 n. 20272, Cass. 20.2.2004 n. 3446). Ed invero, nel giudizio relativo all’attribuzione di una qualifica superiore, l’osservanza del cd. criterio “trifasico”, da cui non si può prescindere nel procedimento logicogiuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore, non richiede che il giudice si attenga pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, ove risulti che ciascuno dei momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione abbia trovato concreto ingresso nel ragionamento decisorio, concorrendo a stabilirne le conclusioni (cfr. Cass. 27.9.2016 n. 18943).

7. Risulta sufficientemente evidenziato il possesso, da parte del B., che rispondeva direttamente all’imprenditore o ad altro dirigente a ciò espressamente delegato (nella specie al M.D.), dell’ampia autonomia e discrezionalità e iniziativa, col potere di imprimere direttive a tutta l’impresa o ad una sua parte autonoma, dotato anche di stabile mandato “ad negotia” (art 1 ccnl Dirigenti aziende commerciali), caratteri differenti da quelli di cui alla declaratoria Quadri, art. 4, prevedente funzioni direttive, ma nell’ambito di strategie e programmi aziendali definiti. Anche il secondo motivo si rivela pertanto, infondato.

8. Quanto al terzo motivo, è principio reiteratamente affermato da questa Corte quello secondo cui “il ricorrente deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., la cui portata è generale, o il vizio di motivazione – attualmente nei termini in cui è consentito dalla nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. – sulla loro applicazione, indicando altresì nel ricorso, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici ed il testo dell’atto oggetto di erronea interpretazione” (Cfr. Cass. 2.8.2016 n. 16057 e, fra le altre, Cass. n. 6226/2014; Cass. n. 11343/2013); peraltro, al di là della più corretta censura diretta della norma contrattuale collettiva, pure formulata dalla ricorrente, la stessa si limita comunque nella sostanza a contestare inammissibilmente il merito, avendo la Corte compiuto una analitica disamina anche delle mansioni svolte (deposizione del teste G.), non fermandosi al dato formale della procura institoria conferita al B.. E ciò in coerenza con il principio affermato da questa Corte secondo cui “La qualifica di dirigente non spetta al solo prestatore di lavoro che, come “alter ego” dell’imprenditore, ricopra un ruolo di vertice nell’organizzazione o, comunque, occupi una posizione tale da poter influenzare l’andamento aziendale, essendo invece sufficiente che il dipendente, per l’indubbia qualificazione professionale, nonché per l’ampia responsabilità in tale ambito demandata, operi con un corrispondente grado di autonomia e responsabilità, dovendosi, a tal fine, far riferimento, in considerazione della complessità della struttura dell’azienda, alla molteplicità delle dinamiche interne, nonché alle diversità delle forme di estrinsecazione della funzione dirigenziale (non sempre riassumibili a priori in termini compiuti) ed alla contrattazione collettiva di settore, idonea ad esprimere la volontà delle associazioni stipulanti in relazione alla specifica esperienza nell’ambito del singolo settore produttivo” (cfr., in tali termini, da ultimo, Cass. 4.8.2017 n. 19579). Ciò rende anche ragione della data dell’inquadramento nella qualifica dirigenziale, a prescindere dal conferimento della procura institoria.

9. In ordine al quarto motivo, va rilevato che la decisione, nel disporre la condanna del datore di lavoro al pagamento all’INPS ed agli altri enti indicati dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti, si pone in contrasto con i principi affermati da questa Corte (Cass. 15.9.2014 n. 19398), secondo cui “l’interesse del lavoratore al versamento dei contributi previdenziali di cui sia stato omesso il pagamento integra un diritto soggettivo alla posizione assicurativa, che non si identifica con il diritto spettante all’Istituto previdenziale di riscuotere il proprio credito, ma è tutelabile mediante la regolarizzazione della propria posizione. Ne consegue che il lavoratore ha la facoltà di chiedere in giudizio l’accertamento dell’obbligo contributivo del datore di lavoro e sentirlo condannare al versamento dei contributi (che sia ancora possibile giuridicamente versare) nei confronti dell’ente previdenziale, purché entrambi siano stati convenuti in giudizio, atteso il carattere eccezionale della condanna a favore di terzo, che postula una espressa previsione, restando altrimenti preclusa la possibilità della condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali a favore dell’ente previdenziale che non sia stato chiamato in causa”.

A ciò consegue, in accoglimento del quanto motivo, la cassazione della decisione per la parte riguardante la condanna in tali sensi disposta.

10. Gli altri motivi sono, per quanto argomentato, rigettati.

11. L’accoglimento in misura parziale del ricorso induce alla conferma delle statuizioni sulle spese dei gradi di merito (già compensate per 1/2).

12. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono in ragione di 2/3 la prevalente soccombenza della società e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo, laddove il residuo 1/3 va compensato tra le parti.

13. Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002, stante il parziale accoglimento del ricorso.

P.Q.M.

Accoglie il quarto motivo, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata nella parte concernente la condanna al pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Conferma le statuizioni sulle spese dei gradi di merito. Condanna la società ricorrente al pagamento dei 2/3 delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,000 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%. Compensa tra le parti il residuo 1/3.