CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 dicembre 2019, n. 34133
Licenziamento – Riorganizzazione dell’area tecnologica e informatica – Soppressione del posto ricoperto – Prova dell’assolvimento dell’obbligo di repêchage
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 5149 del 2016, confermava la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Roma che, in accoglimento dell’opposizione proposta dall’A.O.S.R.”, aveva revocato l’ordinanza di accoglimento della domanda proposta da G.L.M., avente oggetto l’annullamento del licenziamento intimato dalla datrice di lavoro con effetto dal 28 luglio 2014.
2. Secondo quanto riferito dalla Corte di appello, il giudice dell’opposizione aveva accertato che il posto di “Director of Technology & Alumni Coordinator” ricoperto dal M. era stato soppresso a seguito della riorganizzazione dell’area tecnologica e informatica della convenuta e che il ricorrente non aveva contestato la soppressione del posto da lui ricoperto, per essere le relative funzioni state ripartite dalla convenuta mediante affidamento parziale (per la gestione e il monitoraggio delle infrastrutture di rete) a consulenti esterni e per la restante parte ad altre figure già incardinate nella Scuola.
Il ricorrente aveva incentrato la sua difesa sulla inidoneità della scelta datoriale a realizzare una riduzione dei costi aziendali e sulla mancanza di prova dell’assolvimento dell’obbligo di repêchage, poiché egli avrebbe potuto ottenere un ricollocamento in altre mansioni, anche inferiori, comunque confacenti alla lunga esperienza professionale maturata nell’area informatica e nell’attività di insegnamento.
Quanto alle altre mansioni in cui il M., avente qualifica di quadro, aveva chiesto di essere rioccupato, il giudice di primo grado aveva osservato che esse non corrispondevano ad una specifica posizione equivalente a quella prima ricoperta; che le assunzioni effettuate sia prima che dopo il licenziamento non erano per mansioni inerenti alla tecnologia e all’informatica, ma per personale insegnante di materie diverse dall’informatica o per personale amministrativo dei servizi; che inoltre il M. mai ebbe “…a manifestare in prossimità del licenziamento la sua disponibilità ad accettare un patto di demansionamento”.
2.1. La Corte territoriale, nel rigettare le censure mosse dall’appellante a tale ordine di considerazioni, svolgeva – in sintesi – gli argomenti che seguono:
a) è provato che il posto prima ricoperto dal M. fu soppresso nel contesto di una radicale riorganizzazione la Scuola; in sede di procedura di Audit del 2014 furono espresse perplessità sull’utilità della posizione di “Director of Technology” occupata dal ricorrente, tanto da raccomandarne l’eliminazione per razionalizzare i costi; i compiti affidati al M. furono affidati in parte a consulenti esterni e in parte a personale già in servizio presso la scuola: il “coordinamento ex alunni” fu attribuito alla direttrice dott.ssa P. e i residui aspetti educazionali e tecnici alla dott.ssa A., quale “Educational Technology Coordinator”; la contestazione del reclamante in ordine alla razionalità della riorganizzazione trasmoda in una inammissibile richiesta di uno scrutinio sul merito delle scelte aziendali; quanto al rispetto dei canoni di buona fede e correttezza nella scelta del lavoratore da licenziare, i criteri invocati dal ricorrente attengono all’ipotesi del licenziamento collettivo e non all’ipotesi del licenziamento individuale, nella specie per soppressione di una precisa posizione di lavoro;
b) in ordine al repêchage, risulta accertato che al momento del licenziamento non erano disponibili nell’organigramma aziendale posizioni vacanti per mansioni equivalenti; che nessuna assunzione era stata effettuata né prima né dopo il recesso per posti analoghi a quello prima occupato dal M.; che il ricorrente “peraltro non aveva manifestato assenso a un eventuale demansionamento omettendo indicazioni su posizioni inferiori a lui utilmente attribuibili”; che i connotati della posizione occupata dal M., incentrata sulla gestione e manutenzione nonché sullo sviluppo di sistemi informatici, non consentono di ravvisare l’analogia con la posizione di “Educational Technology Coordinator”, che sostanzialmente consiste in una figura di insegnante in possesso di preparazione informatica e dotata di formazione scolastico accademica; che comunque la pubblicazione del posto di “Educational Technology Coordinator” era avvenuta nell’aprile 2015 e dunque dopo ben otto mesi dall’avvio (luglio 2014) della procedura di licenziamento e atteneva ad un posto resosi vacante il 31 marzo 2015 per dimissioni della titolare e dunque successivamente al licenziamento del M.; che tale posto venne poi coperto solo in data 7 ottobre 2015; che del tutto indimostrata è rimasta l’affermazione del M. secondo cui, sin dall’epoca dell’avvio della procedura di licenziamento, la Scuola sarebbe stata al corrente che a fine marzo 2015 vi sarebbero state le dimissioni della dott.ssa A.; che è irrilevante la mancata ammissione della prova orale, in quanto la controversia non richiede tale adempimento istruttorio, potendo essere decisa sulla base della prova documentale.
3. Per la cassazione di tale sentenza il M. ha proposto ricorso affidato a tre motivi. Ha resistito con controricorso I’ “A.O.S.R.”, che ha altresì depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo denuncia nullità della sentenza e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5 cod. proc. civ. per avere la Corte di appello erroneamente affermato che parte ricorrente non aveva contestato la soppressione della posizione lavorativa.
Si deduce che, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, il ricorrente non aveva sostenuto in giudizio che la sua posizione lavorativa era stata soppressa, ma che era stata ripartita tra altri soggetti, ossia rimodulata e riassegnata in parte a consulenti esterni e in parte ad altre risorse interne della scuola.
2. Il secondo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 15 e 18 legge n. 300 del 1970, come novellata dalla legge n. 92 del 2012, dell’art. 3 legge n. 108 del 1990, dell’art. 1175 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ..
Si assume l’inadeguato accertamento della pretestuosità del motivo economico, poiché a fronte dell’asserita esigenza di riduzione dei costi la Scuola aveva proceduto soltanto al licenziamento del ricorrente, senza fornire alcuna dimostrazione del nesso di causalità fra i presupposti del licenziamento e l’individuazione del lavoratore destinatario del provvedimento.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 legge n. 604/66 e degli artt. 1175, 1375, 2697 e 2729 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per violazione dell’obbligo di repêchage.
Deduce che la Corte d’appello si era limitata a prendere atto delle deduzioni della Scuola e della lettera di licenziamento, in cui la convenuta aveva affermato la mancanza di posti equivalenti, senza valutare l’assenza di proposte circa la possibilità di una ricollocazione in mansioni inferiori rientranti nel bagaglio professionale del ricorrente, alla luce del principio secondo cui il recesso può giustificarsi solo come extrema ratio e che un’offerta occupazionale rientrante nel bagaglio professionale, se finalizzata ad evitare il licenziamento, non costituisce dequalificazione, ma proposta di adeguamento del contratto alla nuova situazione di fatto. Lamenta pure che la Corte territoriale non aveva approfondito i contenuti della nuove assunzioni effettuate dalla Scuola.
4. I primi due motivi sono infondati, mentre merita accoglimento il terzo.
5. Giova premettere, in sintesi, i principi consolidati di questa Corte in materia in tema di oneri probatori in caso di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo:
– nel giudizio di impugnazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo la causa petendi è data dall’inesistenza dei fatti giustificativi del potere spettante al datore di lavoro, gravando su quest’ultimo l’onere di provare la concreta sussistenza delle ragioni inerenti all’attività produttiva e l’impossibilità di utilizzare il lavoratore licenziato in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita, senza che l’indicazione – da parte del lavoratore che si sia fatto parte diligente – di un posto di lavoro alternativo a lui assegnabile, o l’allegazione di circostanze idonee a comprovare l’insussistenza del motivo oggettivo di licenziamento, comporti l’inversione dell’onere della prova (Cass. 4460 del 2015);
– il lavoratore ha l’onere di dimostrare il fatto costitutivo dell’esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato così risolto, nonché di allegare l’illegittimo rifiuto del datore di continuare a farlo lavorare in assenza di un giustificato motivo, mentre incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo, che include anche l’impossibilità del c.d. repêchage, ossia dell’inesistenza di altri posti di lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore (Cass. n. 5592 del 2016, n. 12101 del 2016, n. 160 del 2017);
– in sintesi, l’art. 3 della l. n. 604 del 1966 richiede: a) la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso; b) la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali – insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati – diretti ad incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività; c) l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore. L’onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili (v., da ultimo, in tali termini, Cass. n. 24882 del 2017).
6. Tanto premesso, la censura di cui al primo motivo è priva di decisività, poiché il giudice di appello, al pari del primo giudice, ha argomentato e deciso muovendo da un presupposto coerente con la rappresentazione di fatto prospettata a fondamento della domanda, ossia il disposto frazionamento delle funzioni già facenti capo al ricorrente per l’affidamento in parte a consulenti esterni e in parte ad altro personale della Scuola. La soppressione della postazione lavorativa è stata quindi valutata dai giudici di merito in sé, quale ragione addotta dalla convenuta a sostegno del giustificato motivo oggettivo del licenziamento, e non quale effetto di una presunta ammissione di parte ricorrente.
6.1. Quanto al secondo motivo, va ribadito il principio più volte espresso secondo cui il giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, poiché questa scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost., spettando al giudice il controllo in ordine alla effettiva sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore, mediante un apprezzamento delle prove, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua, logicamente coerente e completa (ex plurimis, sin da Cass. n. 7717 del 2003 e successive conformi). E’ stato più volte affermato da questa Corte che, ai fini della configurabilità della ipotesi di soppressione del posto di lavoro, non è necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, nel senso della loro assoluta, definitiva eliminazione nell’ottica dei profili tecnici e degli scopi propri dell’azienda di appartenenza, atteso che le stesse ben possono essere soltanto diversamente ripartite e attribuite nel quadro del personale già esistente, secondo insindacabili e valide, o necessitate, scelte datoriali relative ad una ridistribuzione o diversa organizzazione imprenditoriale, senza che detta operazione comporti il venir meno della effettività di tale soppressione (Cass. n. 8135 del 2000 e molte altre successive).
6.2. Pertanto, il primo motivo è inammissibile perché sostanzialmente verte su questione irrilevante, atteso che la Corte di appello non ha deciso sulla base di una ricostruzione diversa, ma proprio sulla base di quella prospettata, ossia della scelta aziendale di risparmiare sui costi mediante ripartizione delle funzioni e la soppressione della postazione di Direttore tecnologico informatico, quadro. Quindi il tema rifluisce nel secondo motivo, che è infondato, in quanto verte sulla legittimità della scelta datoriale di sopprimere il posto di lavoro per risparmio costi. Si tratta di scelte rimesse alla valutazione datoriale ex art. 41 Cost.. Né è possibile sindacare l’avvenuto risparmio o meno dei costi, indagine di merito sulle scelte e sulla convenienza economica.
7. Venendo all’esame del terzo motivo, innanzitutto va ribadito che l’ambito del sindacato giurisdizionale con riferimento all’obbligo del repêchage non può estendersi alla valutazione delle scelte gestionali ed organizzative dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. e che pertanto detto obbligo non può ritenersi violato quando l’ipotetica possibilità di ricollocazione del lavoratore nella compagine aziendale non sia compatibile con il concreto assetto organizzativo stabilito dalla parte datoriale (cfr. Cass. n. 21715 del 2018).
7.1. Ciò nondimeno grava sul datore di lavoro l’obbligo di provare – in base a circostanze oggettivamente riscontrabili – che il lavoratore non abbia la capacità professionale richiesta per occupare la diversa posizione libera in azienda, altrimenti il rispetto dell’obbligo di repêchage risulterebbe sostanzialmente affidato ad una mera valutazione discrezionale dell’imprenditore (Cass. n. 23340 del 2018).
8. Tale linea interpretativa trova fondamento in risalenti pronunce (Cass. n. 21579 del 2008), secondo cui le ragioni poste a fondamento della pronuncia delle Sezioni Unite n. 7755/1998, emessa in tema di sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore, conservano piena validità anche nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo relativo alla soppressione del posto di lavoro in conseguenza di una riorganizzazione aziendale, ipotesi in cui è ravvisabile una nuova situazione di fatto legittimante il consequenziale adeguamento del contratto. Al contempo analoghi devono ritenersi i limiti alla rilevanza della utilizzabilità del lavoratore in mansioni inferiori, da individuarsi nel rispetto dell’assetto organizzativo dell’impresa insindacabilmente stabilito dall’imprenditore e nel consenso del lavoratore all’adibizione a tali mansioni.
9. L’orientamento favorevole alla validità del c.d. “patto di dequalificazione”, è stato autorevolmente avallato dalla menzionata decisione delle Sezioni Unite, quale unico mezzo per conservare il rapporto di lavoro. A questo riguardo le Sezioni Unite hanno osservato che l’adibizione del lavoratore, con il suo necessario consenso, a mansioni inferiori, neppure configurerebbe una vera dequalificazione, ma solo un adeguamento del contratto alla nuova situazione di fatto, dovendo ritenersi le esigenze di tutela del diritto alla conservazione del posto di lavoro (artt. 4 e 36 Cost.) prevalenti su quelle di salvaguardia della professionalità del lavoratore (art. 2103 cod. civ., ed anche art. 35 Cost., comma 2).
9.1. Il ricordato orientamento interpretativo delle Sezioni Unite è stato poi seguito da altre pronunce rese in tema di licenziamento disposto per sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore (cfr, ex plurimis, Cass., n. 10339 del 2000) e nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo conseguente a soppressione del posto di lavoro in conseguenza di riorganizzazione aziendale (Cass. n. 4509 del 2016; v. pure Cass. n. 21579 del 2008).
10. Va poi ribadito in questa sede che intanto il consenso del lavoratore potrà essere espresso in quanto il datore di lavoro abbia prospettato, ove compatibile con il nuovo assetto aziendale, la possibilità di un’utilizzazione mansioni inferiori al fine di evitare il licenziamento.
11. Tutto ciò posto, la sentenza impugnata contiene due affermazioni, su cui si fonda il decisum, che non risultano conformi a diritto: la prima è quella secondo cui parte datoriale aveva ottemperato ogni onere gravante a suo carico riscontrando al tempo del licenziamento l’insussistenza di posizioni di lavoro per mansioni equivalenti, senza valutare se, ed eventualmente in quale modo, parte datoriale avesse allegato e provato l’assolvimento del più ampio onere probatorio circa l’assenza nell’organizzazione aziendali di altre posizioni vacanti idonee a consentire l’utilizzazione proficua del M. in posizioni organizzative eventualmente anche di livello inferiore; la seconda è quella secondo cui sussisterebbe in capo al lavoratore l’onere di rappresentare preventivamente al datore la propria non contrarietà ad un patto di demansionamento.
12. In conclusione, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, per un nuovo esame del merito alla luce dei principi di diritto sopra enunciati. Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
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