CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 febbraio 2019, n. 4804
Licenziamento per giusta causa – Contestazione – Tutela reintegratoria – Indicazione dei fatti materiali che si imputano al lavoratore
Fatto
Rilevato che:
1. con sentenza nr. 456 del 14.9.2016, la Corte d’Appello di Venezia rigettava il gravame proposto da T. S.p.A. avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza (nr. 311 del 2014) che, pronunciando in merito all’impugnativa di licenziamento per giusta causa intimato a P.G., il 12/14.10.2010, lo dichiarava illegittimo, con ogni conseguenza reintegratoria e risarcitoria ex art. 18 della legge nr. 300 del 1970, ratione temporis applicabile;
2. ha proposto ricorso per cassazione T. Spa affidato a quattro motivi;
3. ha resistito con controricorso P.G.;
4. il PG ha depositato requisitoria scritta e concluso per l’accoglimento del primo motivo, assorbiti gli altri;
5. in prossimità dell’Adunanza Camerale, entrambe le parti hanno depositato memoria;
Diritto
Considerato che:
1. con il primo motivo, è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod.civ.; si imputa alla Corte territoriale di aver omesso qualsiasi valutazione dei fatti – reato posti a base del provvedimento espulsivo e di non aver considerato che la contestazione (ed il successivo provvedimento espulsivo), ai fini della astratta sussunzione della condotta contestata al concetto di giusta causa, deve indicare esclusivamente i fatti materiali che si imputano al lavoratore e che possono essere, come nella specie, quelli stessi posti a base del procedimento penale;
2. il motivo è fondato;
2.1. si legge nella sentenza impugnata che T., con lettera del 24.9.2010, contestava al lavoratore quanto segue:«il GIP del Tribunale […] ha emesso decreto […] (di) giudizio immediato […]. Nel decreto che dispone il giudizio immediato nei Suoi confronti, Ella risulta imputato in ordine ai fatti – reato decritti in narrativa: A) illecita detenzione ad evidente fine di spaccio di un’elevata quantità di sostanze stupefacenti; B) reato continuato di acquisto, con cadenza regolare, e detenzione con evidente fine di spaccio delle medesime sostanze. E’ stata evidenziata l’acquisizione dei seguenti mezzi di prova: verbale di arresto in flagranza, analisi stupefacente, verbale di perquisizione […]. Nel richiamare la Sua attenzione sulla particolare gravità dei fatti a lei contestati, Le comunichiamo che Lei ha a disposizione […] per produrre giustificazioni scritte […] stante la gravità dei fatti sopra riportati [….] è dispensato dal rendere la sua prestazione […]»;
2.2. secondo la Corte di appello la società avrebbe contestato «unicamente il dato processuale del rinvio a giudizio in sede penale, come appreso da pubblicazioni giornalistiche, senza effettuare alcuna indagine interna e senza enunciare profili soggettivi ed oggettivi tali da giustificare la massima sanzione espulsiva;
2.3. tale statuizione non solo non coglie esattamente il contenuto della contestazione ma attribuisce alla stessa una funzione diversa da quella sua propria;
2.4. la contestazione dell’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa; la contestazione, quindi, deve contenere le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati;
2.5. questa Corte, ripetutamente, ha ritenuto ammissibile, in quanto non lesiva del diritto di difesa, la contestazione formulata per relationem, mediante il richiamo agli atti del procedimento penale, del quale il lavoratore sia già stato portato a conoscenza, posto che il rinvio è idoneo a garantire il rispetto del contraddittorio e del principio di correttezza (Cass. nr. 10662 del 2014; Cass. nr. 23269 del 2017; Cass. nr. 25485 del 2017; Cass. nr. 6894 del 2018);
2.6. nella fattispecie, la società non ha semplicemente contestato il fatto storico della pendenza del procedimento penale ma, piuttosto, i fatti materiali che di quel procedimento ne costituivano l’oggetto, rappresentati dalla detenzione e spaccio di elevata quantità di sostanza stupefacente;
2.7. l’addebito di «detenzione e spaccio, con cadenza regolare, dal 2006, di elevata quantità di sostanze stupefacenti» costituisce, almeno in via astratta, giusta causa di licenziamento: trattasi di condotta che, oltre ad avere rilievo penale, è contraria alle norme dell’etica e del vivere civile comuni e che, dunque, ha un riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto di lavoro (cfr. Cass. nr. 24023 del 2016);
2.8. diverso – e successivo – è il piano dell’accertamento della condotta contestata e dell’apprezzamento, in concreto, della gravità dell’addebito, rilevando, a tale ultimo fine, secondo il costante insegnamento di questa Corte, tutti i connotati oggetti e soggettivi del fatto;
2.9. è peraltro il caso di osservare che «il giudice civile, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale [..] e ciò anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento […] potendo la parte, del resto, contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale» (Cass. nr. 2168 del 2013; cfr. anche Cass. nr. 1593 del 2017 e Cass. nr. 5317 del 2017);
2.10. la decisione della Corte di appello non si è attenuta a tali insegnamenti, arrestando, a monte, la sua indagine, sulla base di una erronea individuazione della condotta da sussumere nell’ambito della nozione legale di giusta causa;
3. i successivi motivi (secondo, terzo e quarto, relativi alla violazione delle norme del codice disciplinare) restano assorbiti;
4. la sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, che, nel procedere a nuovo esame della fattispecie concreta, terrà conto della contestazione di una condotta di «detenzione e spaccio di elevata quantità di sostanze stupefacenti, con cadenza regolare (circa una volta ogni tre/quattro mesi) dal 2006 (quantitativi pari, di volta in volta, a 200/300 gr. di hashish e, nel giugno 2010, anche di gr. 20 di marijuana)» e del fatto che una tale condotta è sussumibile, in astratto, nell’ambito della nozione legale di giusta causa ai sensi dell’art. 2119 cod.civ., avendo un riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto di lavoro;
5. al giudice di rinvio è rimessa la regolazione delle spese, anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla corte di appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in merito alle spese del giudizio di legittimità.
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