CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 giugno 2019, n. 16497
Impresa familiare – Liquidazione della quota di partecipazione – Attività lavorativa prestata in maniera continuativa a favore dell’impresa familiare – Onere di prova – Prove testimoniali
Fatti di causa
1. – Con sentenza del 19 luglio 2011 la Corte d’appello di Catania, provvedendo in riforma della decisione adottata dal giudice di primo grado, ha accolto la domanda proposta da B.L., D.B.N. e D.B.A., nei confronti di V.G., avente ad oggetto l’accertamento della partecipazione continuativa della B. e del suo defunto coniuge, D.B.V., all’impresa familiare concernente la gestione di una tabaccheria, con conseguente diritto della stessa B. alla liquidazione delle quote proprie e del coniuge, ivi compresi gli incrementi anche in ordine all’avviamento.
Ha in particolare ritenuto la Corte territoriale, per quanto ancora rileva:
-) che era pacifica la validità di una scrittura privata del 28 dicembre 1993 nella quale era attestato che il D.B. e la B. partecipavano in modo continuativo all’attività di esercizio di una tabaccheria e valori bollati della quale era titolare la madre del D.B.V., V.G.;
-) che quest’ultima aveva ammesso che suo figlio aveva prestato la propria attività lavorativa in maniera continuativa a favore dell’impresa familiare, sicché allo stesso doveva essere riconosciuto il diritto alla liquidazione della quota di partecipazione, maturato al momento del decesso;
-) che la partecipazione della B. all’impresa familiare poteva invece essere desunta dalle dichiarazioni testimoniali, dalle quali emergeva la regolare presenza della stessa nella tabaccheria, dovendosi conseguentemente riconoscere alla stessa il medesimo diritto alla liquidazione della quota;
-) che la richiesta formulata dalla B. al giudice, relativa all’ordine di esibizione della documentazione contabile e fiscale rivolta nei confronti della V. era indispensabile ai fini della quantificazione del credito dell’originaria attrice e, pertanto, non poteva considerarsi generica.
2. – Per la cassazione della sentenza V.G. ha proposto ricorso per due mezzi.
B.L. ha resistito con controricorso.
3. – Il giudice relatore ha formulato, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c. nel testo allora vigente, proposta di rigetto de! ricorso, che è stato deciso con ordinanza del 23 febbraio 2015, n. 3559, la quale ha invece dichiarato inammissibile il ricorso e regolato le spese di lite, ponendo a fondamento della decisione considerazioni concernenti un diverso ricorso, riguardante altre persone ed avente ad oggetto modificazione delle condizioni di una separazione coniugale.
4. – B.L. ha quindi proposto, nei confronti di V.G., ai sensi dell’articolo 391 bis c.p.c., ricorso per correzione degli errori materiali contenuti nell’ordinanza menzionata.
5. – Con ordinanza interlocutoria dell’11 agosto 2017 la Corte ha rinviato alla pubblica udienza la causa avviata alla trattazione in udienza camerale.
6. – Con successiva ordinanza interlocutoria del 2 ottobre 2018, infine, la Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo mandando alla cancelleria per l’avviso a V. e B. e disponendo che il ricorso per correzione di errore materiale fosse notificato a tutte le parti dell’originario procedimento.
7. – La V. non ha spiegato difese.
Ragioni della decisione
1. – Per una evidente materiale svista la Corte, nell’ordinanza n. 3559 del 2015, ha unito all’intestazione del provvedimento, riferita al ricorso proposto dalla V. nei confronti della B. un’espositiva, una parte motiva e un dispositivo concernenti un diverso ricorso in materia di modificazione delle condizioni di separazione tra i coniugi.
2. – Non si tratta, tuttavia, di una svista alla quale possa rimediarsi attraverso il procedimento di correzione dell’errore materiale: quest’ultimo, infatti, non impedisce di ricostruire il decisum e la ratio decidendi, sicché la rispondenza dell’uno all’altra ben può essere individuato attraverso tale procedimento. Nel caso di correzione dell’errore materiale, cioè, non si opera ricostruendo la ratio deciderteli posta a sostegno del provvedimento da correggere, ma si conforma quest’ultimo a detta ratio, che il provvedimento stesso manifesta nonostante l’errore.
In questo caso, invece, la Corte non ha deciso, se non apparentemente, sul ricorso così come proposto, munendo l’intestazione dell’ordinanza, riferita alla controversia V.-B., di una parte motiva ed un dispositivo che riguardano tutt’altro.
In analogo frangente è stato affermato che un provvedimento giurisdizionale avente contenuto decisorio emesso nei confronti delle parti del giudizio, ma, come accaduto nella fattispecie, con motivazione e dispositivo relativi a diversa causa concernente altri soggetti, comporta l’inesistenza giuridica, o nullità radicale del provvedimento per l’incompiuto esercizio della giurisdizione (Cass. 17 marzo 2014, n. 6162; Cass. 29 dicembre 2011, n. 30067). È stato parimenti stabilito che la sentenza emessa nei confronti delle parti del giudizio ma con motivazione e dispositivo relativi a causa diversa, concernente altri soggetti, è priva degli elementi necessari per la formazione del giudicato sul rapporto controverso ed è, quindi, affetta da nullità insanabile, che, nel corso del processo può essere rilevata d’ufficio dal giudice dell’impugnazione, determinando in sede di legittimità, la cassazione con rinvio affinché si possa procedere alla sua rinnovazione (Cass. 17 luglio 2015, n. 15002).
Viceversa, nel caso in esame, in cui l’errore proviene dalla stessa Corte, sicché non è pensabile la cassazione con rinvio, occorre necessariamente procedere alla rinnovazione del giudizio, cui del resto indubitabilmente tende il ricorso, pur qualificato come volto alla correzione di errore materiale.
3. – L’originario ricorso per cassazione contiene due motivi.
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., 230 bis c.p.c. e 87 disp. att. c.p.c., in relazione all’articolo 360, numero 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente disposto la consulenza tecnica d’ufficio richiesta dalla B., di carattere esplorativo e in quanto tale inammissibile, fondando poi la propria decisione sulle risultanze della medesima.
Il secondo motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360, numero 5, c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente valutato l’an e il quantum della partecipazione della B. all’impresa familiare.
4. – Il ricorso è inammissibile.
4.1. – È inammissibile il primo motivo.
Dopo aver premesso che esso, quantunque svolto in riferimento al numero 3 dell’articolo 360 c.p.c., denuncia evidentemente un asserito error in procedendo, riconducibile al numero 4 della medesima disposizione, per essere stata disposta una consulenza tecnica d’ufficio sebbene meramente esplorativa, occorre soggiungere che il potere spettante alla Corte di cassazione di esame diretto degli atti, a fronte della deduzione di detto asserito errore, non esime la parte interessata dall’onere di riportare, nei loro esatti termini, gli stralci degli atti dei precedenti gradi di giudizio dai quali si ritiene emerga il vizio, in ottemperanza del principio di specificità del ricorso per cassazione (Cass. 10 novembre 2011, n. 23420; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410; Cass. 8 giugno 2016, n. 11738).
Orbene, il ricorso manca delle compiute allegazioni necessarie a comprendere perché la dedotta consulenza tecnica sarebbe esplorativa.
4.2. – Il secondo motivo è inammissibile.
Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, nei limiti in cui detto sindacato è consentito dal numero 5 dell’articolo 360 c.p.c., nel testo di volta in volta applicabile, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 agosto 2017, n. 19547; Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011, n. 27197; Cass. 6 aprile 2011, n. 7921; Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; Cass. 4 aprile 2006, n. 7846; Cass. 9 settembre 2004, n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004, n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 17 luglio 2001, n. 9662). Oltretutto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (ex plurimis: Cass. 24 ottobre 2013, n. 24092; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 21 aprile 2006, n. 9368).
Nel caso in esame, il motivo in questione, pur prospettando formalmente una censura di vizio motivazionale, si traduce in effetti in una censura di merito, volta a rimettere in discussione l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale.
5. – In definitiva, dichiarata la nullità dell’ordinanza di questa Corte del 23 febbraio 2015, numero 3559, pronunciando sull’originario ricorso, esso va dichiarato inammissibile.
6. – Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara la nullità dell’ordinanza di questa Corte del 23 febbraio 2015, numero 3559, ed inammissibile il ricorso proposto da V.G. nei confronti di B.L. contro sentenza del 19 luglio 2011 della Corte d’appello di Catania, condannando la V. al rimborso, in favore della B. delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 4.200,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
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