CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 giugno 2020, n. 12029
Trasferimento del lavoratore – Lamentele del cliente per il servizio e reiterate segnalazioni di non gradimento – Condizione oggettiva riconducibile alle esigenze tecniche, organizzative e produttive – Capitolato annesso al D.P.R. n. 751/1977 – Irrilevante distanza dalla precedente sede e anche dalla residenza del lavoratore – Principio generale di libertà delle forme – Provvedimento di trasferimento non soggetto ad alcun onere di forma – Non necessaria l’indicazione dei motivi
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 56/2015, depositata il 10 aprile 2015, la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale della Spezia, rigettando il ricorso del lavoratore, aveva ritenuto legittimi entrambi i trasferimenti disposti da E.R. S.p.A. nei confronti di S.C., dipendente della società con mansioni di aiuto cuoco: il primo trasferimento, in data 18 giugno 2009, dal Comando Servizi di Base della Marina Militare della Spezia alla Stazione Elicotteri di Luni, a seguito di formale comunicazione di “non gradimento” da parte dell’Amministrazione militare; il secondo, in data 25 settembre 2013, dalla Stazione Elicotteri alla mensa ENEL di via C. a Firenze, trasferimento giustificato dalle lamentele del cliente per il servizio di cucina e da reiterate segnalazioni di non gradimento.
2. La Corte di appello ha osservato, quanto al primo trasferimento, come il lavoratore lo avesse impugnato in via stragiudiziale in data 3 settembre 2009 e avesse poi reagito giudizialmente al provvedimento con il ricorso introduttivo di primo grado depositato solo l’8 novembre 2013, sicché egli era decaduto dal diritto di farne accertare la illegittimità per quanto disposto dall’art. 32, commi 3, lett. c), e 1 bis l. n. 183/2010.
3. Quanto al secondo trasferimento, escluso l’obbligo di contestualità della motivazione ai sensi dell’art. 2 l. n. 604/1966, nel testo risultante dalle modifiche introdotte con l. n. 92/2012, trattandosi di norma speciale stabilita unicamente per il licenziamento, la Corte ha osservato come la clausola di non gradimento fosse stata prevista dall’art. 20 D.P.R. n. 751/1977 per gli appalti con le Amministrazioni militari e come il non gradimento del committente, anche se non espresso in forma scritta (come era accaduto per il secondo trasferimento, a differenza del primo), costituisse una condizione oggettiva riconducibile alle esigenze tecniche, organizzative e produttive previste dall’art. 2103 cod. civ. e non sindacabile, stante la peculiarità del contraente; né – ha rilevato ancora la Corte di merito – poteva ritenersi illegittimo il trasferimento perché disposto presso una sede collocata a rilevante distanza dalla precedente e anche dalla residenza del lavoratore, cosi da incidere negativamente sulla retribuzione, trattandosi di doglianza esterna ai limiti di cui all’art. 2103 cod. civ. e comunque prevedendosi dalla contrattazione collettiva specifiche provvidenze economiche volte ad alleviare i disagi e le spese connesse al trasferimento.
4. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con sei motivi, cui ha resistito la società con controricorso.
Ragioni della decisione
“1. Con il primo motivo, deducendo la falsa applicazione dell’art. 32, comma 3, lett. c) della l. n. 183/2010 e la falsa applicazione dell’art. 252 delle Disposizioni per l’attuazione del Codice civile, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto che il primo trasferimento, sebbene anteriore all’entrata in vigore della l. n. 183/2010, fosse soggetto al regime delle decadenze dalla medesima previsto, con l’efficacia differita (al 31/12/2011) stabilita dall’art. 2, comma 54, l. n. 10/2011.
2. Con il secondo motivo viene dedotta dal ricorrente la violazione dell’art. 2103 cod. civ. per non avere la Corte considerato, in relazione al primo trasferimento, che le clausole di “non gradimento” non sono idonee ad integrare le ragioni (tecniche, organizzative e produttive) che devono presiedere all’adozione del provvedimento datoriale e che una clausola di tale genere, ove priva di motivazione, deve ritenersi non consentita.
3. Con il terzo viene dedotta la violazione dell’art. 2 l. n. 604/1966 per avere la Corte erroneamente escluso la possibilità di applicare in via analogica al trasferimento l’obbligo di contestuale specificazione dei motivi introdotto per il licenziamento dalla I. 28 giugno 2012, n. 92.
4. Con il quarto motivo viene dedotta la violazione dell’art. 2103 cod. civ. per avere la Corte ritenuto la clausola di “non gradimento” condizione oggettiva di per sé riconducibile alle esigenze tecnico-organizzative e produttive senza considerare la prevalenza della norma di legge su quella regolamentare di cui al D.P.R. n. 751/1977.
5. Con il quinto viene dedotto il vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, avendo la Corte ritenuto il trasferimento giustificato sulla base della sola espressione di non gradimento del committente e senza considerare che i testimoni non avevano fornito alcun elemento idoneo a dimostrare che il provvedimento datoriale fosse effettivamente giustificato da comprovate ragioni tecnico-produttive e organizzative.
6. Con il sesto viene infine dedotta la violazione dell’art. 36 Cost. per non avere la Corte valutato che il trasferimento a sede di lavoro molto distante dal luogo di residenza incide negativamente sul diritto riconosciuto dalla norma costituzionale, ponendo il lavoratore nell’alternativa tra un mutamento radicale del proprio ambiente di vita e la necessità di sostenere gravosi oneri economici per i propri spostamenti giornalieri.
7. Il primo motivo è infondato.
7.1. E’ stato infatti affermato che l’art. 32, comma 1 bis, della l. n. 183 del 2010, introdotto dal decreto legge n. 225 del 2010, convertito con modificazioni dalla l. n. 10 del 2011, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato art. 6 della l. n. 604 del 1966, sicché, con riguardo ai contratti a termine non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del c.d. “Collegato Lavoro”) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla ratio legis di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione ex novo del suddetto e ristretto termine di decadenza (Sez. U n. 4913/2016).
7.2. In particolare, è stato precisato, con detta pronuncia, che la ragione del differimento (al 31/12/2011) dell’applicabilità del nuovo regime decadenziale risiede nell’esigenza di evitare che l’immediata decorrenza di un termine di decadenza, prima non previsto, potesse pregiudicare chi, intenzionato a contestare la cessazione del rapporto di lavoro o le altre tipologie di atti datoriali indicati nell’art. 32 l. n. 183 del 2010, si trovasse ad incorrere inconsapevolmente nella decadenza e che, pertanto, non sarebbe giustificata, a fronte del principio di eguaglianza, una differenziazione che limitasse tale differimento alla sola ipotesi dell’impugnativa del licenziamento ed escludesse le altre (tra cui – come nel caso posto all’attenzione della Corte – la contestazione della legittimità del termine di durata del contratto).
7.3. Si richiama, in proposito, anche Cass. n. 2420/2016, la quale, prendendo in esame una fattispecie di somministrazione ma con formulazione di un principio avente portata generale, ha chiarito che la decadenza di cui all’art. 32, comma 4, l. n. 183 del 2010, e la conseguente proroga di cui al comma 1 bis del medesimo articolo, si applicano anche ai contratti a termine in somministrazione scaduti alla data di entrata in vigore della legge stessa (24 novembre 2010), senza la necessità di una specifica previsione di deroga all’art. 11 disp. prel. cod. civ., atteso che la nuova norma non ha modificato la disciplina del fatto generatore del diritto ma solo il suo contenuto di poteri e facoltà, suscettibili di nuova regolamentazione perché ontologicamente e funzionalmente distinti da esso e non ancora consumati, dovendosi pertanto escludere ogni profilo di retroattività (conformi: n. 7788/2017; n. 23619/2018).
8. Il secondo motivo, con cui il ricorrente si duole della omessa valutazione di profili di merito attinenti al primo trasferimento, resta conseguentemente assorbito.
9. Il terzo motivo è inammissibile e comunque infondato.
9.1. E’ inammissibile in quanto, da un lato, non oppone una critica specifica a quella parte della motivazione della sentenza in cui la Corte, nel condividere sul punto le ragioni della pronuncia di primo grado, ha escluso la possibilità di un’applicazione analogica al trasferimento della norma di cui all’art. 2, comma 2, l. n. 604/1966, quale risultante dalle modifiche introdotte con l. n. 92/2012, e cioè dell’obbligo per il datore di indicazione dei motivi del proprio provvedimento contestualmente alla comunicazione dello stesso, non essendo, tra l’altro, neppure richiamati i precedenti che sosterrebbero l’esistenza di una diversa linea interpretativa nella giurisprudenza di questa Corte; dall’altro, introduce un tema di merito (la mancata comunicazione di specifiche e puntuali motivazioni pur dopo> la richiesta del lavoratore) sul quale è intervenuto un esplicito, e non adeguatamente censurato, accertamento di segno contrario da parte del giudice di appello (cfr. sentenza impugnata, p. 6, 4° capoverso).
9.2. Il motivo è da ritenersi, in ogni caso, infondato alla stregua di Cass. n. 109/2004, per la quale la comunicazione del trasferimento del lavoratore, come pure la richiesta dei motivi e la relativa risposta, in difetto di una diversa previsione, sono assoggettate al principio generale di libertà delle forme (conforme n. 19425/2013); nonché alla stregua di Cass. n. 11984/2010, che ha ribadito come il provvedimento di trasferimento non sia soggetto ad alcun onere di forma e non debba necessariamente contenere l’indicazione dei motivi, né il datore di lavoro abbia l’obbligo di rispondere al lavoratore che li richieda (salvo che sia contestata la legittimità del trasferimento, avendo in tal caso il datore di lavoro l’onere di allegare e provare in giudizio le fondate ragioni che lo hanno determinato e non potendo limitarsi a negare la sussistenza dei motivi di illegittimità oggetto di allegazione e richiesta probatoria della controparte): conforme n. 807/2017.
10. Il quarto motivo è infondato.
10.1. Al riguardo si osserva che l’art. 20 del Capitolato annesso al D.P.R. n. 751/1977, in tema di appalto dei servizi di manovalanza presso gli enti della Difesa, prevede che “gli operai devono risultare di pieno gradimento dell’Amministrazione Militare” e che “qualora le autorità militari richiedessero, a loro insindacabile giudizio, la sostituzione di uno o più dipendenti dell’impresa appaltatrice, questa dovrà immediatamente aderire alla richiesta, senza sollevare alcuna obiezione o pretendere alcun indennizzo”.
10.2. Ne consegue che il venir meno del gradimento delle autorità militari competenti, quale verificatosi nella specie, si traduce in una obiettiva ragione di tipo organizzativo, e di conseguenza in un presupposto di legittimità ex art. 2103 cod. civ. del provvedimento di trasferimento, non potendo l’impresa appaltatrice ulteriormente avvalersi, nella stessa unità produttiva, della prestazione del dipendente non più gradito e, tuttavia, rimanendo contrattualmente obbligata ad assicurare i livelli di servizio già in precedenza concordati con il committente.
10.3. La disposizione dell’art. 20 cit. è, d’altra parte, chiara, nel trasparente riflesso della particolare qualità dell’Amministrazione committente e dei suoi compiti istituzionali, nel ricondurre la richiesta di sostituzione, da parte delle autorità militari, all’ambito di una valutazione che è espressamente definita “insindacabile” e alla quale l’appaltatore non ha facoltà di opporre alcuna obiezione o pretesa, essendo al contrario tenuto ad attuare un comportamento pienamente adesivo e cooperativo.
11. Il quinto motivo è inammissibile.
11.1. Con esso infatti viene proposta una critica di ordine motivazionale, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come tale oggetto di preclusione per quanto disposto dall’art. 348 ter, ultimo comma, cod. proc. civ. (c.d. “doppia conforme”); né il ricorrente, al fine di evitare la inammissibilità del motivo, ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2014 e successive numerose conformi).
12. Il sesto motivo è infondato.
12.1. Non è configurabile la dedotta violazione dell’art. 36 della Costituzione, posto che la particolare garanzia prevista da tale norma si riferisce alla retribuzione che nell’ordinario sinallagma contrattuale è destinata a compensare la prestazione lavorativa eseguita nella normalità delle situazioni (Cass. n. 12054/2003), rimanendo, pertanto, estranea al suo stesso fondamento, come alla sua portata applicativa, la situazione di un trasferimento suscettibile di comportare conseguenze economiche per il dipendente.
12.2. D’altra parte, la Corte territoriale, con accertamento non censurato, e peraltro aderente alle previsioni di cui alle disposizioni di fonte collettiva in materia, riportate nello stesso ricorso, ha ritenuto la possibilità di fruizione di varie provvidenze atte ad agevolare anche lo spostamento di eventuali familiari del lavoratore trasferito; né il ricorrente ha dedotto di avere posto nel giudizio di secondo grado la questione di particolari disagi, conseguenti ad un eventuale spostamento nella nuova sede di lavoro, non compensabili attraverso l’erogazione delle anzidette provvidenze.
13. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
14. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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