CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 marzo 2019, n. 7660
Licenziamento disciplinare – Violazione delle disposizioni del regolamento interno in tema di trasferte – Utilizzo della carta di credito aziendale
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 4998/2016, ha respinto il reclamo proposto ex art. 1, comma 58, legge n. 92 del 2012 dalla società Elettronica p.a. nei confronti di D.P.A., confermando l’annullamento del licenziamento disciplinare del 19 giugno 2014 e riconoscendo in favore del D.P. la tutela di cui al quarto comma dell’art. 18 Stat. lav., come modificato dalla citata legge n. 92 del 2012.
2. Al lavoratore era stato contestato che, in occasione di una trasferta per lo svolgimento di attività di assistenza presso la base militare dell’aeroporto di Trapani, aveva violato le disposizioni del regolamento interno in tema di trasferte e di utilizzo della carta di credito aziendale.
3. In primo grado l’opposizione proposta dalla società era stata respinta dal Giudice del lavoro, secondo il quale non era configurabile alcuna ipotesi di appropriazione indebita, della quale peraltro mancava qualsiasi accenno nella contestazione disciplinare; doveva pure escludersi il “grave nocumento morale e materiale”, ipotesi passibile di licenziamento senza preavviso, secondo il CCNL metalmeccanici; l’addebito, nel suo complesso, non travalicava il limite rappresentato da quelle violazioni di regole per le quali il contratto collettivo, con l’art. 9,lett. L), prevede la sanzione conservativa; la fattispecie era riconducibile nell’alveo applicativo della tutelareintegratoria c.d. attenuata di cui al comma 4 dell’art. 18 Stat. lav., nel testo riformato dalla I. 92 del 2012 (c.d. legge Fornero). Il Giudice di primo grado aveva poi condannato il D.P. a restituire alla società le somme impiegate per spese personali e/o non autorizzate per l’importo complessivo di € 6.855,00, oltre interessi.
4. La Corte di appello, nel confermare tale pronuncia, ha argomentato, in sintesi, come segue:
– la stessa contestazione disciplinare, priva di qualsiasi riferimento all’indebita (o illecita) appropriazione di somme, recava espressioni quali “senza preventiva autorizzazione e comunicazione…. senza aver chiesto ed ottenuto la prescritta autorizzazione”, idonee a far ritenere circoscritta e confinata la contestazione disciplinare all’ambito della mera trasgressione delle disposizioni aziendali concernenti l’utilizzo della carta di credito per pagamenti non autorizzati o effettuati per motivi personali, soggetti a recupero successivo da parte datoriale sulla busta paga del dipendente;
– difatti, la circolare aziendale in tema di trasferte espressamente prevede, quanto alla fase di liquidazione, che il dipendente entro cinque giorni lavorativi successivi deve compilare la nota di rimborso e che gli anticipi per i quali non è stata presentata la documentazione sono trattenuti sulla retribuzione del mese successivo a quello del rientro dalla trasferta; dunque, era previsto e disciplinato il recupero, sia pure ex post, mediante trattenuta sulla busta paga, degli importi oggetto di prelievi non autorizzati;
– alla luce di tali risultanze, non è configurabile l’ipotesi di cui all’art. 10, lett. B), CCNL recante la rubrica “licenziamento senza preavviso” che autorizza il provvedimento espulsivo ex art. 2119 cod. civ. se il lavoratore “provoca grave nocumento morale e materiale” o “compie azioni che costituiscono delitto”;
– neppure è configurabile l’ipotesi del licenziamento con preavviso, di cui all’art. 10 lett. A), disposizione che prevede che “in tale provvedimento incorre il lavoratore che commetta infrazioni alla disciplina e alla diligenza del lavoro che, pur essendo di maggiore rilievo di quelle contemplate nell’art. 9, non siano così gravi da rendere applicabile la sanzione di cui alla lettera B)”, precisando poi, al successivo capoverso, che “a titolo indicativo rientrano nelle infrazioni di cui sopra: (…) h) recidiva in qualunque delle mancanze contemplate nell’art. 9, quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione di cui all’art. 9, salvo quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 8” (id est, efficacia limitata temporalmente al biennio della recidiva contestata);
– non ricorrendo l’ipotesi della recidiva nei termini previsti dalla contrattazione collettiva, residua una valutazione degli illeciti contestati in termini di trasgressione plurima delle disposizioni aziendali afferenti all’utilizzo della carta di credito, con pagamenti non autorizzati o effettuati per motivi personali soggetti a recupero successivo da parte datoriale sulla busta paga del dipendente, a fronte della quale non può che affermarsi la congruità e la proporzionalità della sanzione conservativa di cui all’art. 9 lett. L) del CCNL, disposizione che contempla sanzioni conservative per il lavoratore che “… in altro modo trasgredisca l’osservanza del contratto o commenta qualsiasi mancanza che porti pregiudizio alla disciplina, alla morale, all’igiene e alla sicurezza dello stabilimento” – rientrando il fatto tra le condotte punibili con sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi, correttamente il primo giudice ha applicato la tutela di cui al quarto comma dell’art. 18 Stat. lav., che prevede al reintegra nel posto di lavoro e il pagamento di un’indennità risarcitoria;
– neppure è condivisibile l’assunto di parte reclamante secondo cui per l’operatività della predetta tutela occorrerebbe una analitica e stretta tipizzazione delle condotte punite con sanzione conservativa, ove si consideri che siffatta tipizzazione, sia pure indirettamente e a contrario, è stata effettuata dalla contrattazione collettiva e ciò ai sensi dell’art. 9 lett. L) e dell’art. 10, lett. H) del CCNL, in quanto dalla lettura coordinata delle disposizioni collettive si evince che, in caso di mancanze contemplate nell’art. 9, la sanzione espulsiva è consentita in caso di recidiva quando siano stati già comminati nel biennio due provvedimenti di sospensione.
5. Per la cassazione di tale sentenza la società Elettronica p.a. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui ha resistito il D.P. con controricorso.
6. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod.proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo ricorso la società denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ. o, in subordine, dell’art. 3 legge n. 604 del 1966, in ordine alla ritenuta insussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (art. 360 n. 3 cod.proc. civ.).
Deduce che, una volta ritenute provate nella loro materialità le condotte di cui alla contestazione disciplinare e ritenuto altresì che il lavoratore fosse pienamente consapevole della violazione delle regole aziendali e ciò nonostante avesse approfittato della disponibilità della carta di credito per effettuare spese che non avrebbe potuto effettuare, sussiste l’elemento intenzionale della condotta e dunque sono integrati gli elementi sia materiale che volitivo delle infrazioni contestate.
2. Con il secondo motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 8, 9, 10, sezione IV, titolo VII, CCNL Industria Metalmeccanica del 5 dicembre 2012 e dell’art. 18, comma 4, Stat. lav., come modificato dalla legge n. 92 del 2012 (art. 360 n. 3 cod.proc. civ.).
Assume che la Corte territoriale avrebbe male interpretato l’art. 10, lett. B) del CCNL, che contempla l’ipotesi del lavoratore che arrechi all’azienda “grave nocumento morale o materiale”, poiché il resistente si era appropriato indebitamente, anche se temporaneamente, di denaro aziendale di cui non aveva autorizzazione alla disponibilità, utilizzando la carta aziendale per pagare spese di soggiorno e per soddisfare interessi personali, ed aveva arrecato un danno materiale consistente quantomeno nelle somme di denaro che all’atto della cessazione del rapporto risultavano essere state spese dal medesimo e non restituite.
3. Con il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, Stat. lav.(art. 360 n. 3 cod. proc. civ.).
Deduce la ricorrente che la sanzione conservativa può trovare applicazione solo alle ipotesi espressamente contemplate dalla contrattazione collettiva, non potendo ampliarsi l’applicazione della previsione di cui all’art. 9, lett. L) CCNL, riguardante lavoratore che “…in altro modo trasgredisca osservanza del presente contratto o commenta qualsiasi mancanza che porti pregiudizio alla disciplina, alla morale, all’igiene ed alla sicurezza allo stabilimento”, tanto da ricondurvi in via analogica ipotesi non previste.
4. Il ricorso è infondato per le ragioni che seguono.
5. Il primo motivo è inammissibile per difetto di specificità aldecisum(art. 366 n. 4 cod. proc. civ.). La reclamante adduce un argomento del tutto avulso e alla fine non conferente rispetto alla motivazione della sentenza. Questa non ha ritenuto che le condotte poste in essere fossero inconsapevoli, ma ha escluso che fossero sorrette dal dolo dell’appropriazione indebita di somme, ipotesi neppure adombrata nella contestazione disciplinare, aggiungendo che qualsiasi intento malizioso dovesse escludersi in capo al dipendente. Ha motivato tale convincimento osservando che il regolamento interno relativo all’uso della carta di credito aziendale non consentiva che restassero inosservate eventuali spese non autorizzabili, stante la necessità di un supporto giustificativo che il lavoratore avrebbe dovuto fornire entro cinque giorni dal rientro dalla trasferta e, in difetto, il necessario recupero delle somme non autorizzabili e non autorizzate sulla retribuzione mensile del dipendente. Dalla sentenza emerge pure che a tale recupero la società aveva, in parte, già provveduto prima della contestazione disciplinare e, per la restante parte, stante l’intervenuto licenziamento, vi aveva provveduto il giudice di primo grado condannando il D.P. a rifondere tutte le somme non ancora recuperate dall’azienda. Così ridefinite alla stregua delle risultanze di causa, la Corte di appello ha ritenuto le condotte sussumibili nell’alveo della inosservanza di disposizioni regolamentari da parte del lavoratore trasfertista, ossia di infrazioni che, seppure plurime, non erano idonee in sé a giustificare il licenziamento disciplinare, essendo riconducibili a fattispecie punibili – secondo la graduazione della disciplina sanzionatoria stabilita dalle parti sociali – con sanzione conservativa.
5.1. Il motivo di ricorso, trascurando di considerare l’argomentata e logica ricostruzione della vicenda di cui alla sentenza impugnata, oppone una diversa lettura dei fatti, secondo un contrario convincimento, prospettando sub specie violazione di legge un’inammissibile rivisitazione del merito.
5.2. Va ricordato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. n. 7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n. 26110 del 2015, n. 195 del 2016). E’ dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione – e dunque un errore interpretativo di diritto – su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa.
6. Parimenti il secondo motivo, nonostante la rubrica che apparentemente investe l’interpretazione delle clausole del CCNL, nella sostanza tende ad una diversa ricostruzione delle risultanze di causa e dell’apprezzamento dei fatti, inammissibile in questa sede. Difatti, la ricorrente intende sostenere che la condotta integrerebbe “un grave nocumento morale o materiale”, laddove i giudici di merito, come si evince dal complessivo iter argomentativo, ne hanno escluso la ricorrenza in concreto. Né il danno può identificarsi – come invece sembra alludere il secondo motivo di ricorso – nelle somme non ancora recuperate al momento del licenziamento: risulta dalla sentenza impugnata che, ove non fosse intervenuto il licenziamento, le somme prive di giustificativo di spesa o ritenute non autorizzabili sarebbero state recuperate sulla retribuzione mensile del dipendente. A ciòaggiungasiche tale argomento tende a ricondurre all’interno della contestazione disciplinare un fatto che ne è estraneo, ipotizzando (sostanzialmente) il pericolo di un futuro mancato recupero delle somme.
7. Il terzo motivo involge la sussunzione che la Corte territoriale ha operato della fattispecie concreta, ricostruita nei termini di cui sopra, nell’alveo delle previsioni del codice disciplinare come ipotesi di minore gravità rispetto a quelle suscettibili di sanzione espulsiva.
Innanzitutto, è da escludersi che la Corte territoriale abbia operato un’interpretazione analogica e, per tale via, abbia inteso ricondurre a fattispecie conservativa ipotesi che le parti collettive intendevano escludere.
La soluzione interpretativa posta a fondamento della sentenza impugnata risiede nell’interpretazione sistematica degli artt. 9 e 10 del titolo VII del CCNL Metalmeccanici. L’art. 9 contempla le sanzioni conservative prevedendo, al primo comma, che incorre nei provvedimenti di ammonizione scritta, multa o sospensione il lavoratore che (lett. L) “….in altro modo trasgredisca l’osservanza del presente contratto o commetta qualsiasi mancanza che porti pregiudizio alla disciplina, alla morale, all’igiene ed alla sicurezza dello stabilimento” e, al secondo comma, che “l’ammonizione verrà applicata per le mancanze di minor rilievo; la multa e la sospensione per quelle di maggior rilievo”.. L’art. 10 (licenziamenti per mancanze) prevede, alla lett. A), il licenziamento con preavviso, stabilendo che “in tale provvedimento incorre il lavoratore che commetta infrazioni alla disciplina ed alla diligenza del lavoro che, pur essendo di maggior rilievo di quelle contemplate nell’art. 9, non siano così gravi da rendere applicabile la sanzione di cui alla lettera B) ” e vi riconduce la “recidiva in qualunque delle mancanze contemplate nell’art. 9, quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione di cui all’art. 9…”, mentre prevede alla lettera B) il licenziamento senza preavviso, stabilendo che “in tale provvedimento incorre il lavoratore che provochi all’azienda grave nocumento morale o materiale o che compia, in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, azioni che costituiscono delitto a termine di legge”.
8. Interpretando in via sistematica tali previsioni collettive che, all’evidenza, contemplano una graduazione di sanzioni in relazione al livello di gravità via via crescente delle stesse, il giudice non è incorso in alcuna violazione di diritto.
8.1. Il giudice di legittimità, nel caso sia stata denunciata la violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ., come modificato dall’art. 27 della legge n. 40 del 2006, può procedere alla diretta interpretazione del contenuto del contratto collettivo, la cui natura negoziale impone che l’indagine ermeneutica debba essere compiuta secondo i criteri dettati dagli artt. 1362 cod. civ. e seguenti e non sulla base degli artt. 12 e 14 delle preleggi; ne consegue che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, è necessario che in esso siano motivatamente specificati i canoni ermeneutici negoziali in concreto violati, nonché il punto ed il modo in cui giudice del merito si sia da essi discostato (Cass. n. 1582 del 2008). I contratti collettivi sono stati equiparati agli atti normativi ai soli fini processuali dell’ammissibilità della denuncia di violazione e falsa applicazione di clausole nel ricorso per cassazione (art. 63, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 e, poi, art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., nel testo novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006), senza che, ne sia stata alterata, sul piano sostanziale, la natura di atti negoziali (Cass. S.U. 18621 del 2008). Il sindacato di legittimità sui contratti collettivi aziendali di lavoro può essere esercitato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, per violazione delle norme di cui agli artt. 1362 e segg. cod. civ., a condizione che i motivi di ricorso non si limitino a contrapporre una diversa interpretazione rispetto a quella del provvedimento gravato, ma prospettino, sotto molteplici profili, l’inadeguatezza della motivazione anche con riferimento alle norme del codice civile di ermeneutica negoziale come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e congruità della motivazione stessa (cfr. Cass. 21888 del 2016).
8.2. Nel caso di specie, non è neppure indicato dalla ricorrente per cassazione quali canoni ermeneutici sarebbero stati in concreto violati, né il punto ed il modo in cui il giudice di merito se ne sarebbe discostato.
9. Né costituisce elemento in sé dirimente che il datore abbia richiamato nella contestazione disciplinare (e in giudizio) l’art. 2119 cod. civ., poiché la riconducibilità dei fatti ascritti al dipendente nell’una o nell’altra fattispecie contemplata dalla disciplina collettiva o dalla clausola generale della giusta causa di licenziamento attiene al giudizio di sussunzione, che è un giudizio di diritto e come tale sindacabile da parte del giudice di merito e da parte del giudice di legittimità, spettando invece al datore di lavoro indicare e provare in giudizio in quali termini e per quali ragioni la condotta ritenuta gravemente lesiva lo sia in concreto in rapporto agli interessi dell’azienda e agli altri parametri identificativi della giusta causa ex art. 2119 cod. civ..
10. Quanto ai canoni della giusta causa ex art. 2119 cod. civ., giova ribadire che rimane praticabile il sindacato di legittimità ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc. civ. nei casi in cui gli standard valutativi sulla cui base è stata definita la controversia finiscano per collidere con i principi costituzionali, con quelli generali dell’ordinamento, con precise norme suscettibili di applicazione in via estensiva o analogica, ed infine anche nei casi in cui i suddetti standard valutativi si pongano in contrasto con regole che si configurano, per la costante e pacifica applicazione giurisprudenziale e per il carattere di generalità assunta, come diritto vivente (Cass. n. 16037 del 2004).
10.1. Nel caso in esame, il ricorso per cassazione non verte sulla violazione di standard valutativi, neppure indicati dall’attuale ricorrente, che il giudice di merito avrebbe erroneamente omesso di considerare nell’operazione di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta.
11. In conclusione, la sentenza non ha violato l’art. 18, quarto comma, Stat. lav.avendo correttamente applicato la tutela che l’ordinamento riconosce in caso di fatto che “…rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili…”.
11.1. Come chiarito dalla recente giurisprudenza di questa Corte, in tema di licenziamento disciplinare illegittimo, la tutela reintegratoria attenuata di cui all’art. 18, comma 4, Stat. lav. riformulato, è applicabile in presenza di una valutazione di non proporzionalità attraverso il parametro della riconducibilità della condotta accertata ad una ipotesi punita con sanzione conservativa dalla contrattazione collettiva (Cass. n. 32500 del 2018, conf. Cass. n. 2288 del 28 gennaio 2019). Ove nel contesto dell’accertamento della proporzionalità della sanzione, il giudice accerti (come nel caso in esame) la riconduciblità della fattispecie in una ipotesi che la contrattazione collettiva punisce con sanzione conservativa, trova applicazione la tutela di cui al quarto comma dell’art. 18.
12. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
13. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, deld.P.R.n. 115 del 2002. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 5.000,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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