CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 novembre 2018, n. 29781
Licenziamento – Impugnazione – Reintegra nel posto di lavoro – Revoca della pensione di anzianità
Fatti di causa
1) Con ricorso al Tribunale di Ancona, N. Di F. espose: di aver lavorato alle dipendenze della s.p.a. SEA (Società Editoriale C. A.) sino al licenziamento avvenuto il 24 aprile 1993, e che, dopo aver impugnato il licenziamento, si era rioccupato presso la Banca delle Marche sino alle dimissioni avvenute il 31 gennaio 1997; di aver ottenuto dall’Inps la pensione di anzianità a decorrere dal febbraio 1997; che il Tribunale di Ancona con sentenza del 25 settembre 2000 aveva annullato il licenziamento ed ordinato la reintegra del dipendente nel posto di lavoro, con condanna della datrice di lavoro al pagamento di una indennità pari alle retribuzioni globali di fatto maturate sino alla data di reintegra oltre che alla regolarizzazione contributiva ed a fronte di tale pronuncia il dipendente aveva optato per l’indennità sostitutiva; a seguito di tali evenienze, l’Inps gli aveva comunicato, in data 5 marzo 2003, la revoca del trattamento pensionistico dal febbraio 1997 e sino al primo ottobre 2000, chiedendo in ripetizione la somma di euro 224.560,18 per i ratei erogati e non dovuti; avverso tale pretesa il ricorrente agì in giudizio che venne definito, negativamente per il medesimo, dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 1670 del 2008; nel frattempo, a seguito di giudizio intercorso con la ex datrice di lavoro, relativo alla tempestività della comunicazione dell’opzione ed ai suoi effetti, concluso, in sede di rinvio da cassazione, dalla Corte d’appello di Bologna con la sentenza n. 769 del 2010, l’Inps aveva comunicato, con racc.ta del 24 novembre 2011, di aver revocato la pensione di anzianità n. V010211684 erogata con decorrenza dal 1.10.2000 in quanto il rapporto di lavoro poteva ritenersi estinto solo con il pagamento dell’indennità sostitutiva, avvenuto in concreto solo il 23.2.2006, e di aver proceduto a liquidare la pensione di vecchiaia dal 1.3.2006; ciò premesso, il Di F. chiese, in via principale, che si accertasse la continuità giuridica del rapporto di lavoro sino al momento di comunicazione dell’esercizio della facoltà di opzione per la liquidazione dell’indennità, con consequenziale legittimità della erogazione della pensione di anzianità da quel momento e non da quello dell’effettivo pagamento dell’indennità sostitutiva; in subordine, precisato che il trattamento pensionistico avrebbe dovuto solo essere sospeso e non revocato con consequenziale incidenza sul calcolo del medesimo e non sulla decorrenza, chiese affermarsi l’irripetibilità dei ratei erogati tra il 1.10.2000 ed il 23 febbraio 2006 trattandosi di errore di valutazione imputabile esclusivamente all’INPS, che era a conoscenza delle complesse vicende giudiziarie intercorse con l’ex datrice di lavoro, essendo stato presente in tutti i gradi del giudizio, e non al dolo dell’interessato; in ogni caso, chiese affermarsi che non si sarebbe potuto far luogo al recupero se non nei limiti di un quarto dell’importo riscosso e, per il residuo, si sarebbe dovuto provvedere in forma rateale e senza interessi ai sensi dell’art. 38, commi 8 e 9, I. 28.12.2001.
2) Il Tribunale rigettò tutte le domande e tale sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Ancona con la sentenza n. 473/2014 sulla base delle seguenti considerazioni: a seguito della sentenza di reintegra ex art. 18 l. n. 300 del 1970 nella formulazione vigente all’epoca dei fatti, deve ritenersi la continuità giuridica del rapporto di lavoro sino all’effettivo pagamento dell’indennità sostitutiva; non può farsi applicazione della disciplina contenuta negli artt. 52, comma 2, l. n.88 del 1989 e 13 l. n. 412 del 1991 perché non vi è stato alcun errore dell’Inps che si è solo adeguato agli esiti del contenzioso relativo all’impugnativa del licenziamento; la pensione di anzianità non poteva essere concessa prima del 1.3.2006 perché il rapporto di lavoro era giuridicamente, anche se non materialmente, in corso.
3) Contro tale sentenza N. Di F. propone ricorso per cassazione fondato su cinque motivi illustrati da memoria, cui resiste l’Inps con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 18 l. n. 300 del 1970 e 22 l. n. 153 del 1969 per aver la sentenza ritenuto erroneamente la continuità giuridica del rapporto di lavoro fino al pagamento della indennità sostitutiva della reintegrazione e non sino al momento in cui il lavoratore aveva comunicato l’opzione.
2. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 52, comma 2, l. n. 88 del 1989 e dell’art. 13 l. n. 412 del 1991 e 2697 cod.civ. (art. 360, primo comma n. 3, cod.proc.civ.) e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. (n. 4 stesso articolo) in quanto la sentenza impugnata avrebbe erroneamente affermato la ripetibilità delle somme sulla base della circostanza che il Di F. non aveva comunicato la indebita fruizione nonostante il rapporto di lavoro in atto, laddove l’Inps aveva partecipato a tutte le fasi dell’articolato contenzioso successivo al licenziamento e, quindi, conosceva direttamente i fatti che il ricorrente avrebbe dovuto comunicare.
3. Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 22 l. n. 152 del 1969, dell’art. 44 l. n. 289 del 2002 in relazione alla domanda, subordinata, di liquidazione della pensione sin dal 1997 con effetti meramente sospensivi dei periodi di continuità del rapporto di lavoro.
4. Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 2943 e 2945 cod. civ. derivante dalla omessa valutazione del maturarsi della prescrizione decennale, rispetto alla revoca della pensione decorrente dal 1.10.2000 e revocata con racc. ta del 24.11.2011.
5. Il quinto motivo riguarda la violazione degli artt. 1218, 2033, 2036, 2037 cod. civ. e 10 TUIR e si riferisce alla illegittimità della ripetizione anche delle somme relative alle ritenute fiscali correlate ai ratei di pensione ritenuti indebiti.
6. Il primo motivo è fondato. Si tratta di stabilire in quale momento (se alla data di esercizio della facoltà di opzione per le quindici mensilità sostitutive della effettiva reintegrazione, prevista dal testo all’epoca vigente dell’art. 18 l. n. 300 del 1970, ovvero all’epoca dell’effettivo pagamento della stessa indennità) può dirsi cessata la continuità giuridica del rapporto di lavoro intercorso tra l’odierno ricorrente e la s.p.a. SEA, ripristinata a seguito dell’accertamento dell’illegittimità del licenziamento e dell’emanazione dell’ordine di reintegra.
7. Va subito chiarito che la sentenza di questa Corte n. 1670 del 25/01/2008, resa tra le odierne parti, incide sulle questioni oggetto del presente ricorso solo quanto alla definitività dell’accertamento della sussistenza del diritto dell’INPS a ripetere i ratei di pensione di anzianità erogati dal 1 febbraio 1997, in pendenza del giudizio di accertamento dell’illegittimità del licenziamento, ed anche se il lavoratore aveva optato per l’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro, posto che con tale sentenza si è affermato che ciò che rileva è la continuità giuridica del rapporto piuttosto che la prestazione di fatto resa impossibile dall’illegittimo rifiuto del datore di lavoro di ricevere la prestazione.
8. La questione dell’accertamento del momento di effettiva cessazione della continuità giuridica del medesimo rapporto di lavoro è, invece, rimasta estranea a quel giudizio, posto che nessuna pronuncia si rinviene in tal senso nella decisione e considerando che il fatto sotteso allo svolgimento del processo era costituito dalla revoca con effetto ex tunc della pensione di anzianità riconosciuta dal 1.2.1997.
9. Neppure incide sulla questione dedotta nel motivo in esame il giudicato formatosi a seguito del passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 769 del 2010, resa in sede di rinvio disposto da questa Corte di cassazione con la sentenza n. 6335 del 2009. Come si evince dalla lettura della stessa sentenza di questa Corte di legittimità, oggetto di quel giudizio (che vide l’intervento volontario dell’INPS per domandare, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso, che la s.p.a. SEA fosse condannata al versamento dei contributi previdenziali relativi alle somme liquidate con la sentenza), fu l’accertamento della tempestività dell’opzione effettuata dal Di F., diretta ad ottenere, ai sensi della L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 1, u.c., l’indennità sostitutiva della reintegrazione, con le conseguenze derivanti dal tempestivo esercizio dell’opzione medesima in ordine al numero di mensilità di retribuzione maturate dalla data del licenziamento e sino alla data di effettivo pagamento dell’indennità sostitutiva. Era estraneo, dunque, a quel giudizio il tema, ora in esame, del diritto del Di F. a percepire la pensione di anzianità.
10. Va, dunque, in difetto di vincoli derivanti da giudicato, data continuità all’insegnamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione con la sentenza n. 18353 del 27 agosto 2014, secondo cui in caso di licenziamento illegittimo, ove il lavoratore, nel regime della cosiddetta tutela reale (nella specie, quello, applicabile “ratione temporis”, previsto dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92), opti per l’indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 18, quinto comma, cit., il rapporto di lavoro, con la comunicazione al datore di lavoro di tale scelta, si estingue senza che debba intervenire il pagamento dell’indennità stessa. Pertanto, già al momento in cui la comunicazione predetta è giunta alla datrice di lavoro può dirsi venuta meno la continuità giuridica del rapporto di lavoro, con la conseguenza che la sentenza impugnata ha errato nell’individuare tale momento solo nel febbraio 2006, quando fu effettivamente corrisposta l’indennità sostitutiva.
11. Il secondo motivo è pure fondato. La Corte territoriale ha ritenuto integralmente ripetibili i ratei di pensione di anzianità erogati dall’ottobre del 2000, dunque riferiti alla pensione di anzianità concessa successivamente alla revoca del primo trattamento, le cui sorti sono ormai intangibili per il giudicato derivante dalla pronuncia di questa Corte di cassazione n. 1670 del 2008, in ragione della ritenuta sussistenza del dolo del pensionato, ravvisato nell’aver omesso di comunicare all’Inps la persistenza della continuità giuridica del rapporto di lavoro con la s.p.a. SEA.
12. Questa Corte di cassazione, intervenendo in materia di condizioni di operatività dell’azione di ripetizione dell’ indebito pensionistico da parte dell’Inps all’interno del quadro normativo composto dal concorso e dal succedersi di fonti diverse (art. 52 l. n. 88 del 1989; art. 13, primo comma, l. n. 412 del 1991; art. 1, commi da 260 a 265, l. n. 662 del 1996; art. 38, commi da 7 a 10, l. n. 448 del 2001), ha consolidato, per quanto di interesse nella presente fattispecie che si sviluppa nell’arco temporale compreso tra l’ottobre 2000 (data della seconda prestazione pensionistica revocata) ed il marzo 2006 (epoca di maturazione della pensione di vecchiaia), i seguenti principi:
a) l’art. 1, commi 260 – 265, della legge n. 662 del 1996, nell’innovare integralmente la disciplina precedentemente contenuta nella legge n. 412 del 1991, ha ancorato il diritto dell’ente di procedere alla ripetizione delle somme erogate alla sussistenza dei requisiti reddituali e soggettivi del pensionato, senza, peraltro, incidere sulla regolamentazione della ripetibilità in caso di dolo del soggetto che abbia indebitamente ricevuto i trattamenti previdenziali, che resta affermata dall’art. 1, comma 265, della legge n. 662 del 1996. Ne consegue che deve ritenersi tuttora operante la previsione di cui all’art. 13, comma 1, della legge n. 412 del 1991, che, nell’identificare la nozione di dolo nell’omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta che non siano già conosciuti dall’ente, consentendo la ripetibilità delle somme per tale ragione indebitamente percepite, costituisce principio generale di settore che informa anche la successiva disciplina di cui alla legge n. 662 del 1996 (Cass. 23509 del 2009; Cass. n. 1919 del 2018);
b) l’art. 38, commi da 7 a 10, l. n. 448 del 2001 subordina l’irripetibilità totale al requisito reddituale riferito all’anno 2000 (in mancanza di che si fa luogo all’abbuono di un quarto) ed in ogni caso richiede l’accertamento della mancanza di dolo dell’interessato (inteso questo nel senso dell’artificio o raggiro compiuto dall’assicurato per ottenere la prestazione (Cass., 24 maggio 2006, n. 12236);
c) I’irripetibilità delle somme è prevista anche nel caso in cui l’indebito si produca per mancanza del diritto a pensione e non soltanto in relazione al quantum della pensione; le leggi n. 662 del 1996 e n. 448 del 2001 sono discipline di carattere globalmente sostitutive da applicarsi in via transitoria soltanto ai pagamenti indebiti di prestazioni previdenziali anteriori al 1996 ed al 2001: ne consegue che, per i pagamenti indebiti di pensione effettuati dal 1° gennaio 2001, trova di nuovo applicazione la disciplina previgente che non consente di rendere incondizionata la ripetibilità per la sola presenza di determinate soglie di reddito del pensionato (Cassazione, 10 gennaio 2018, n. 351; Cass. n. 2506 del 2017; Cass. n. 5567 del 2004);
d) la completa ripetibilità delle prestazioni, individuata nell’ipotesi in cui il diritto a pensione venga meno insieme al licenziamento, a seguito di reintegra ex art. 18 l. 300/1970, non può essere considerata espressione di un principio di carattere generale o comunque idoneo a sovrapporsi sulla speciale disciplina di settore in discorso (Cassazione, 10 gennaio 2018, n. 351);
e) nell’indebito previdenziale il dolo opera non nel momento di formazione della volontà negoziale, bensì nella fase esecutiva, riguardando un fatto causativo della cessazione dell’obbligazione di durata, non noto all’ente debitore, titolare passivo di un numero assai rilevante di rapporti, il quale non può ragionevolmente attivarsi per prendere conoscenza della situazione personale e patrimoniale ovvero lavorativa dei creditori, senza la collaborazione attiva di ciascuno di loro. Conseguentemente, costituisce comportamento doloso il silenzio di chi ha l’obbligo di dichiarare, onde ottenere il beneficio della pensione di anzianità, di non svolgere altra attività ed a ravvisare il detto stato soggettivo non è necessario un positivo e fraudolento comportamento essendo sufficiente la consapevolezza dell’insussistenza del diritto (Cass. 8 ottobre 2007, n. 21019; Cass. 15 giugno 2010, n. 14347), ma deve ritenersi imputabile all’Inps l’erogazione del trattamento pensionistico di anzianità laddove l’Istituto sia effettivamente a conoscenza dei fatti relativi alla insussistenza dei requisiti per il diritto a pensione (Cass. n. 351 del 2018).
13. Facendo applicazione di tali principi nella presente controversia, discende che:
– il trattamento pensionistico di anzianità erogato dal primo ottobre 2000 al ricorrente è da considerarsi indebito da tale data e sino al momento in cui il rapporto di lavoro già intercorrente con la s.p.a. SEA si è risolto per effetto della ricezione della comunicazione dell’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18, comma quinto, l. n. 300 del 1970;
– non può ritenersi integrato il dolo dell’accipiens posto che l’Inps era a conoscenza dei fatti impeditivi dell’erogazione, avendo già spontaneamente revocato la pensione di anzianità concessa con decorrenza 1.2.1997 per la perdurante continuità giuridica del rapporto di lavoro con s.p.a SEA conseguente all’annullamento del licenziamento con ordine di reintegrazione ex art. 18 l. n. 300 del 1970, tanto che era pure intervenuto volontariamente, per ottenere il pagamento della contribuzione dovuta dal datore di lavoro, nel giudizio intercorso tra le parti relativo all’efficacia ed alle conseguenze dell’esercizio del diritto di opzione predetto;
– dunque, rientrando il periodo di tempo interessato dall’erogazione dei ratei indebiti nella vigenza della l. n. 448 del 2001, va fatta applicazione della stessa normativa.
14. L’accoglimento dei primi due motivi inibisce l’esame degli ulteriori che sono formulati in via subordinata.
15. La sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna che esaminerà le domande proposte da N. Di F. alla luce dei principi sopra indicati e che si pronuncerà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna cui demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
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