CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 ottobre 2018, n. 26402
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Riscossione – Verifica documentazione – Valenza probatoria
Fatti di causa
Con sentenza del 23.3.2010 la Commissione Tributaria Regionale del Veneto accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di P.D. avverso la sentenza n. 60/07/2007 della Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza, che aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso avviso di accertamento IRPEF, addizionale regionale, addizionale comunale e relative sanzioni per l’anno 2003, con recupero a tassazione del maggior reddito, assimilato a quello di lavoro dipendente, corrispondente al credito vantato dal contribuente, nella qualità di amministratore della società, nei confronti della società P. S.r.L. a seguito della rinuncia parziale (pari ad € 258.938,58) del trattamento di fine mandato (TFM) accantonato.
Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione P.D., affidato a undici motivi.
Con un primo motivo ha formulato eccezione di giudicato esterno ex art. 2909 c.c., allegando l’esistenza di una pronuncia relativa ad altri due soci – amministratori della P. S.r.L., favorevole a questi ultimi e passata in giudicato, che riguardava i medesimi presupposti di fatto e di diritto che avevano interessato anche l’odierno ricorrente.
Con un secondo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2702 c.c., 214 e ss. c.p.c. e dell’art. 1 D.Lgs. n. 546/1992, per avere la CTR riconosciuto valenza probatoria ad una scrittura privata (rinuncia al credito dianzi indicato), posta a fondamento della pretesa impositiva, oggetto di formale disconoscimento ed in assenza di richiesta di verificazione del documento.
Con un terzo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso del giudizio, per avere la CTR ritenuto sussistente la rinuncia parziale al credito sul TFM da parte del contribuente, pur avendo il ricorrente formalmente disconosciuto la scrittura privata ad esso relativa, con conseguente mancanza di efficacia probatoria della stessa.
Con un quarto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 39 D.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992 non avendo la CTR esaminato la questione relativa alla veridicità della sottoscrizione apposta in calce alla suddetta scrittura privata.
Con un quinto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 39 D.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992 non avendo la CTR esaminato la questione relativa alla veridicità della sottoscrizione apposta in calce alla suddetta scrittura privata.
Con un sesto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (la mancanza della rinuncia al credito da parte del contribuente).
Con un settimo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 55 TUIR vigente ratione temporis per mancanza del necessario presupposto normativo costituito dalla rinuncia al credito.
Con un ottavo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 55 TUIR vigente ratione temporis, degli artt. 2424 e 2425 c.c. e dell’art. 163 TUIR per avere la CTR <<erroneamente confuso la figura di socio e quella di amministratore, sull’erroneo assunto che, ove un amministratore sia anche socio, i crediti maturati in relazione allo status di amministratore sarebbero del tutto equiparabili a quelli maturati in relazione al diverso status di socio, di tal che la rinuncia ai primi equivarrebbe ai fini fiscali ed ai fini contabili alla rinuncia ai secondi>>, deducendo altresì che <<la posta contabile relativa al “fondo TFM” è un debito della Società nei confronti degli amministratori e non dei soci>> e <<la stessa posta contabile costituisce un credito degli amministratori (e non dei soci) nei confronti della Società>>, con conseguente inapplicabilità, secondo il ricorrente, al caso in esame del quarto comma dell’art. 55 del T.U.I.R. laddove dispone che non si considerano sopravvenienze attive la rinuncia dei soci ai crediti, lamentando quindi anche la violazione del divieto di doppia imposizione (in capo alla società ed all’odierno ricorrente nel caso di specie).
Con un nono motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, per non avere la CTR sufficientemente motivato circa l’eccepita mancanza di disponibilità, da parte del ricorrente, della somma a lui spettante a titolo di TFM a seguito della rinuncia al credito.
Con un decimo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 47 TUIR vigente ratione temporis e dell’art. 53 Cost. laddove la CTR ha ritenuto che la rinuncia ai crediti vantati da parte del socio amministratore costituisse un reddito soggetto a tassazione.
Con un undicesimo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. n. 212/2000 laddove la CTR aveva erroneamente affermato la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato nonostante l’eccepita mancata allegazione del processo verbale di constatazione redatto a carico della P. S.r.L.
L’Agenzia S.p.A. si è costituita con controricorso, deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso principale.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo di ricorso, relativamente alla sollevata eccezione di giudicato esterno, è infondato.
2. Invero, l’autorità del giudicato sostanziale opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, di petitum e di causa petendi (Cass. 20054/2013; in ambito tributario, Cass. 2786/2006: <<In tema di giudicato, il principio secondo il quale, qualora due giudizi abbiano riferimento ad uno stesso rapporto giuridico ed uno dei due sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento, così compiuto, in ordine alla situazione giuridica, ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, preclude il riesame dello stesso punto non trova applicazione allorché tra i due giudizi non vi sia identità di parti, essendo l’efficacia soggettiva del giudicato circoscritta, ai sensi dell’art. 2909 c.c., ai soggetti posti in condizione di intervenire nel processo>>).
2.1. Nella fattispecie, l’identità di parti non ricorre, essendosi svolto il primo giudizio, definito con giudicato, tra altri due soci-amministratori della società indicata in epigrafe (U.S. e M.C.D.) e l’Agenzia delle Entrate, mentre il presente giudizio, nel quale dovrebbe operare il vincolo di tale giudicato esterno, secondo l’assunto del ricorrente, pende tra quest’ultimo e l’Agenzia delle Entrate.
3. L’undicesimo motivo, relativo alla pretesa violazione dell’art. 7 L. n. 212/2000 da parte della CTR in relazione al lamentato difetto di motivazione dell’avviso di accertamento per difetto di allegazione del p.v.c. inerente la società, il cui esame risulta pregiudiziale rispetto alle rimanenti censure, si rivela parimenti infondato.
3.1. La CTR ha infatti rispettato e dato corretta applicazione al principio- più volte ribadito dalla Corte e con riguardo ad analoga società a responsabilità limitata a base ristretta – secondo cui <<in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’obbligo di porre il contribuente in condizione di conoscere le ragioni dalle quali deriva la pretesa fiscale, sancito dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, come modificato dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 1, è soddisfatto dall’avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii per relationem a quello riguardante i redditi della società, ancorché solo a quest’ultima notificato, in quanto, da un lato, l’obbligo di motivazione è assolto anche mediante il riferimento ad elementi di fatto offerti da atti nella conoscibilità del destinatario, e, dall’altro, il socio, ex art. 2261 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi>> (cfr. Cass. 5645/2014; 20921/2014; 8407/2002).
3.2. Tale indirizzo va a maggior ragione ribadito per la presente fattispecie, in cui si è dato atto che il ricorrente (amministratore, nonché socio) era stato destinatario della notifica dell’avviso di accertamento e a sua volta tale atto, come con sufficiente specificità riportato in ricorso, esplicitava in modo chiaro ed essenziale i tratti salienti del processo verbale di constatazione spiccato a carico della società, e da cui era scaturito l’accertamento reddituale a carico di quest’ultima.
3.3. Deve così prestarsi ossequio al principio, come avvenuto nella sentenza impugnata, secondo cui <<l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovvero sia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento>> (cfr. Cass. nr. 9032/2013, 13110/2012, 6914/2011).
4. A seguire, la seconda e la quarta censura sono fondate.
4.1. Va premesso che dall’esame del ricorso introduttivo, riprodotto nel presente ricorso e depositato in atti, risulta che effettivamente il contribuente aveva formalmente negato di aver apposto la propria firma sull’atto di rinuncia al credito in oggetto, comprovante, ad avviso dell’Ufficio, la sussistenza di un reddito, assimilato a quello di lavoro dipendente, sottoposto a tassazione.
4.2. Orbene, questa Corte ha chiarito come <<nel processo tributario, in forza del rinvio operato dall’art. 1, coma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, alle norme del codice di procedura civile, trova applicazione l’istituto del disconoscimento delle scritture private, con la conseguenza che, in presenza del disconoscimento della firma (nella specie, di un assegno bancario), il giudice ha l’obbligo di accertare l’autenticità delle sottoscrizioni, essendogli altrimenti precluso tenerne conto ai fini della decisione, e a tale accertamento procede ove ricorrano le medesime condizioni che il codice di rito prescrive per l’esperibilità della procedura di verificazione nonché, in caso positivo, con l’esercizio dei poteri istruttori e nei limiti delle disposizioni speciali dettate per il processo tributario>> (Cass. n. 7355 del 2011).
4.3. Nelle sentenze di questa Corte, nn. 2483, 3104 e 3105 del 2006, si afferma, altresì, in motivazione: <<Può in effetti considerarsi ormai jus receptum il principio secondo cui, in forza del rinvio alle norme del codice di procedura civile operato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2, nel processo tributario trova applicazione l’istituto del disconoscimento delle scritture (sentenze n. 10212 del 27 giugno 2003 e n. n. 9054 del 28 agosto 1999 (nel regime del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546). Né assume rilievo in senso contrario la sentenza n. 6963 del 14 giugno 1995, in quanto relativa al regime applicabile in base al D.P.R. 636/1972>>.
4.4. In applicazione di tali principi risulta, quindi, errata la tesi esposta in motivazione della sentenza impugnata, secondo la quale, pur in presenza di documento prodotto contro la parte che ne abbia disconosciuto la sottoscrizione, poteva darsi luogo unicamente a sospensione del processo, in virtù del disposto dell’art. 39 D.Lgs. n. 546/1992, <<quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio>>, ipotesi che la CTR non riteneva tuttavia ricorressero nel caso di specie.
4.5. Al contrario, spetta all’Ufficio, che intenda valersi della scrittura disconosciuta (atto di rinuncia dell’amministratore al credito nei confronti della società per TFM), l’onere di chiederne la verificazione, a norma dell’articolo 216 c.p.c., ammissibile anche nel corso del processo tributario, previa sospensione di questo ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1, comma 2, e 39 (cfr. Cass. nn. 17937/2004, 8567/2001, 9054/1999, 9755/1990), che hanno soppresso le limitazioni poste, nel precedente regime del contenzioso tributario, dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, articolo 39 (cfr. Cass. n. 6963/1995).
4.6. Le censure del ricorrente sono poi dirimenti rispetto alle argomentazioni della sentenza impugnata in quanto in essa è richiamato l’atto di rinuncia del ricorrente a parte del TFM, pari ad € 258.938,58, all’interno di un iter logico non sezionabile in distinte rationes decidendi.
4.7. Va quindi affermato il seguente principio: <<nel processo tributario, la parte che abbia prodotto una scrittura privata, la cui sottoscrizione sia stata tempestivamente disconosciuta da colui che ne appare l’autore, contro il quale è prodotta, non può avvalersene, quale prova della propria pretesa, in mancanza di verificazione nelle forme di legge, previa sospensione del processo tributario, e a detto accertamento, comunque, il Giudice medesimo deve procedere sempreché sussistano le condizioni prescritte dalle norme codicistiche per l’esperibilità della procedura di verificazione, e, in caso affermativo, con l’esercizio dei poteri istruttori nei limiti consentiti dalle disposizioni speciali dettate per il processo tributario>>.
5. Il quinto motivo è parimenti da respingere; l’omessa pronuncia su una domanda, ovvero su specifiche eccezioni sollevate dalla parte, non ricorre nel caso di specie, non potendo infatti dubitarsi che una motivazione esista e che non sia meramente apparente, consentendo la stessa di comprendere quali siano le ragioni della decisione adottata (¡Rilevanza del disconoscimento della sottoscrizione dell’atto di rinuncia al credito non ricorrendo le ipotesi di sospensione del giudizio tributario ex art. 39 D.Lgs. n. 546/1992).
5.1. Ciò vale certamente ad escludere la dedotta violazione dai doveri decisori di cui all’art. 112 c.p.c. denunciata dal ricorrente, che si configura soltanto nell’ipotesi in cui sia mancata del tutto da parte del Giudice – ovvero sia meramente apparente – ogni statuizione sulla domanda o eccezione proposta in giudizio.
6. L’accoglimento del secondo e del quarto motivo di ricorso determina l’assorbimento delle rimanenti censure, oggetto del terzo, sesto, settimo, ottavo, nono e decimo motivo di ricorso, tutte attinenti alle questioni
dell’accertamento dell’autenticità della sottoscrizione apposta sul documento disconosciuto e della sua utilizzabilità o alle stesse subordinate.
6. In accoglimento del ricorso, per le ragioni esposte, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata alla CTR del Veneto, in diversa composizione, che si uniformerà al principio di diritto formulato al par. 4.7. e vorrà anche provvedere al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo ed il quarto motivo di ricorso proposto da P.D. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, rigetta il primo, il quinto e l’undicesimo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i rimanenti motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione.
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