CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 ottobre 2018, n. 26421
Dichiarazione dei redditi – Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento – Indebita compensazione
Fatti di causa
L’Agenzia delle entrate notificava alla società S. S.r.l. una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato del Mod. Unico S.C. 2006, ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, per l’anno di imposta 2005, in esito al quale veniva rilevata l’indebita compensazione di un credito di imposta di cui all’art. 14 D.M. 593 del 8.8.2000, pari ad euro 1537,00, in quanto non indicato nel quadro RU della dichiarazione. L’Agenzia delle entrate inviava al ricorrente un avviso bonario, comunicando l’irregolarità ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, cui seguiva da parte della società contribuente la presentazione di una dichiarazione integrativa dei redditi, con cui, correggendo l’errore, indicava, nel quadro RU della dichiarazione dell’anno 2005, il credito di imposta. La società contribuente impugnava l’atto impositivo, eccependo l’illegittimità della cartella per insufficiente motivazione, ritenendo nel merito infondata la pretesa, in quanto l’omessa indicazione di un credito di imposta (nella specie, derivante da incentivi per la ricerca scientifica) nella dichiarazione dei redditi doveva essere considerato un errore meramente formale, al quale aveva rimediato presentando una dichiarazione integrativa in data 23.9.2008. La CTP di Perugia accoglieva il ricorso della società contribuente. L’Ufficio spiegava appello innanzi alla CTR dell’Umbria, mentre la società contribuente si costituiva spiegando appello incidentale. La CTR, con sentenza n. 57/04/2011, accoglieva il gravame, rigettando le eccezioni di illegittimità della cartella, proposte dalla società contribuente, perché legittimamente emessa ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973. La società S. S.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo tre motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del D.M. n. 275/1998 (Regolamento disciplinante la modalità di concessione dei crediti di imposta riconosciuti in materia di ricerca scientifica) in relazione all’art. 2 comma 8 e 8 bis del d.P.R. n. 322 del 1998, circa la indicazione del credito di imposta nella dichiarazione dei redditi del periodo di imposta nel quale il credito è riconosciuto, in correlazione con la possibilità e tempestività di presentazione di dichiarazioni integrative dei redditi ed in relazione alla definizione di dichiarazione integrativa dei redditi “a favore del contribuente”. Parte ricorrente conclude chiedendo alla Corte di pronunciarsi sul seguente quesito di diritto se:
“a) Una dichiarazione integrativa dei redditi debba essere considerata “a favore del contribuente” ai sensi dell’art. 2, comma 8 e 8 bis del d.P.R. n. 322 del 1998 nel caso in cui modifichi solamente il quadro R.U. inerente i crediti di imposta e non modifichi altro valore della dichiarazione non incidendo su base imponibile e/o su l’ammontare di debito/credito di imposta della dichiarazione, e quindi debba essere presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione del periodo di imposta immediatamente successivo a quello della dichiarazione integrativa dei redditi che si va ad integrare, ovvero se una dichiarazione integrativa dei redditi che modifichi solamente il quadro RU della dichiarazione originaria e che non modifica base imponibile e/o debito/credito di imposta non sia una dichiarazione a favore del contribuente, e possa essere presentata entro i termini previsti per l’accertamento (4 anni successivi a quello di presentazione della dichiarazione che si va ad integrare).
b) Considerare una dichiarazione integrativa dei redditi che non modifichi imponibile e/o debito /credito di imposta come dichiarazione a favore del contribuente costituisca violazione e erronea applicazione della norma di cui all’art. 2, comma 8 e 8 bis del d.P.R. n. 322 del 1998.
c) La presentazione, oltre il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi del periodo di imposta successivo, di una dichiarazione integrativa dei redditi, che modifichi la dichiarazione originaria indicandovi anche crediti di imposta riconosciuti per la ricerca scientifica (disciplinati dalla I. 449/1997 e regolamentati dal D.I. 275 del 1998), sia tale da permettere al contribuente di godere del beneficio essendo dallo stesso rispettati i termini di indicazione di cui all’art. 6 DM n. 275 del 1998 del credito di imposta nella dichiarazione dei redditi del periodo di imposta in cui viene riconosciuto.
d)La decadenza di cui all’art. 6 DM n. 275 del 1998 circa la indicazione del credito di imposta in materia di ricerca scientifica nella dichiarazione dei redditi del periodo di imposta in cui viene riconosciuto possa essere sanata con la presentazione di dichiarazione integrativa dei redditi entro i termini per l’accertamento.
e) Considerare non ammissibile la presentazione di dichiarazione integrativa inerente la indicazione del credito di imposta riconosciuto ex art. 449/1997 in quanto l’art. 6 DM n. 275 del 1998 afferma la necessità di indicazione del credito di imposta nella dichiarazione dei redditi del periodo di imposta in cui viene riconosciuto, costituisca violazione e falsa applicazione delle norme di legge di cui all’art. 6 DM n. 275/1998 e art. 2, comma 8 e 8 bis del d.P.R. n. 322 del 1998″.
2. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, denunciando insufficienza della motivazione su di un punto determinante della controversia circa la definizione di dichiarazione integrativa “a favore del contribuente” in relazione alla definizione della stessa come ” a favore” in quanto “di fatto determina un vantaggio” per il contribuente, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 5, c.p.c.; nonché insufficiente motivazione circa l’affermazione di non sanabilità della decadenza con la presentazione di dichiarazione integrativa dei redditi circa la indicazione di crediti di imposta in materia di ricerca scientifica, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, atteso che la CTR avrebbe completamente omesso di pronunciarsi circa le seguenti questioni che la ricorrente aveva sollevato sin dall’atto di ricorso: a)erroneità dell’intera procedura in quanto l’Agenzia delle entrare avrebbe dovuto notificare l’avviso di accertamento e non procedere con l’invio di avviso bonario ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973; b)violazione da parte dell’Agenzia delle entrate dell’art. 6 della I. n. 212 del 2000, per avere omesso di comunicare tempestivamente al contribuente la presenza di carenze nella dichiarazione dei redditi nel termine per la eventuale sanabilità della carenza (nella erronea valutazione della dichiarazione integrativa sul punto come dichiarazione a favore del contribuente).
Si conclude formulando il seguente quesito di diritto: “Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se l’Ufficio, a norma dell’art. 6, comma 2, della I. n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente aveva l’obbligo di informare la società dell’omessa compilazione del quadro RU della dichiarazione dei redditi (omissione dalla quale poteva derivare il disconoscimento del credito) e di chiederle di integrare o correggere detto quadro in modo da rendere formalmente corretta la compensazione richiesta. E dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se al di fuori di questa ipotesi, l’ufficio, ove avesse ritenuto sostanzialmente non spettante il beneficio richiesto, non poteva utilizzare la procedura di cui all’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ma doveva notificare un avviso di accertamento, esplicitando il motivo del diniego”.
4. Preliminarmente va precisato che questa Corte non terrà conto della formulazione dei quesiti di diritto, tenuto conto che l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, come condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione, si applica “ratione temporis” ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 (data di entrata in vigore del menzionato decreto), e fino al 4 luglio 2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma disposta dall’art. 47 della legge 18 giugno 2009, n. 69. Ne consegue che tale disposizione è nella fattispecie inapplicabile, in quanto la sentenza impugnata è stata depositata in data 10.3.2011.
5. Il primo motivo di ricorso è infondato, atteso che questa Corte ha già avuto occasione, con le sentenze n. 19868 del 2012 e n. 22673 del 2014, n. 27302 del 2016, di affrontare la questione, enunciando i relativi principi che il Collegio condivide ed ai quali intende dare continuità.
5.1. La legge n. 449 del 1997 all’art. 5, al fine di potenziare l’attività di ricerca, ha consentito alle piccole e medie imprese un credito di imposta a partire dal periodo in corso al primo gennaio 1998, per ogni nuova assunzione a tempo pieno, anche con contratto a tempo determinato, di soggetti titolari di dottorato di ricerca o di altro titolo di formazione post-laurea, ovvero di laureati con esperienza nel settore della ricerca (comma 1, lett.a); o per ogni nuovo contratto per attività di ricerca commissionata ad università, consorzi e centri interuniversitari, altri enti e fondazioni private ivi indicati (comma 1, lett.b). La stessa norma ha tuttavia rinviato alla successiva decretazione ministeriale di stabilire le modalità attuative e di controllo e regolazione contabile dei crediti stessi (comma 7).
La disciplina è stata dettata con d.m. 22 luglio 1998, n. 275, il quale all’art. 6, ha stabilito che: a) “Il credito di imposta è indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è concesso ” (comma 1), b) “Il credito di imposta, che non concorre alla formazione del reddito imponibile, può essere fatto valere ai fini del pagamento, anche in sede di acconto, dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche e dell’imposta sul valore aggiunto, a partire dai versamenti da effettuare per il periodo di imposta di cui al comma 1 successivamente alla comunicazione di cui all’art. 5, comma 4. Il credito di imposta può essere fatto valere anche in compensazione ai sensi degli artt. 17 e seguenti del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, per i soggetti nei confronti dei quali trova applicazione tale normativa ” (comma 2); c) “Il credito di imposta non è rimborsabile, tuttavia esso non limita il diritto al rimborso di imposte ad altro titolo spettante; l’eventuale eccedenza è riportabile nei periodi di imposta successivi” (comma 3).
5.2. Ciò posto, rilevando il credito unicamente ai fini della compensazione con i debiti tributari (in quanto non autonomamente rimborsabile), si desume dal comma 1 della disposizione appena citata che il beneficiario decade dalla suddetta possibilità di fruizione ove non indichi il credito nella dichiarazione relativa al periodo di imposta di concessione del beneficio. E trattandosi di decadenza direttamente contemplata dalla disciplina dell’istituto, non giova invocare il principio, richiamato nel ricorso, della generale emendabilità della dichiarazione fiscale, mediante presentazione di successiva dichiarazione integrativa, nella specie presentata nei quattro anni successivi alla dichiarazione che si va ad integrare, perché l’emendabilità, finanche con atti rilevanti in sede processuale, non consente di superare il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze, così come affermato, d’altronde, dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 15063 del 2002 (conf. Cass. S.U. n. 13378 del 2016) all’atto del definitivo riconoscimento del principio anzidetto.
Questa Corte ha precisato che: “La decadenza appare, inoltre, logicamente coerente con la scelta di accordare il beneficio in rapporto all’esercizio fiscale interessato. E l’adempimento dei corrispondenti obblighi dichiarativi si palesa strumentale all’espletamento delle successive congruenti verifiche, a opera dell’amministrazione finanziaria, limitatamente all’afferente periodo d’imposta: la mancata indicazione del credito, nella dichiarazione relativa al periodo di imposta nel corso del quale è concesso, ne impedisce il riconoscimento in diminuzione dell’imposta altrimenti dovuta” (Cass. 22673 del 2014; Cass. n. 30172 del 2017).
5.3.Va, pertanto, riaffermato il principio secondo cui il credito di imposta di cui all’art. 5 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, non è autonomamente rimborsabile e rileva unicamente ai fini della compensazione con i debiti tributari, pertanto, deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è concesso, in ragione del richiamo operato dall’art. 6 del D.M. 22 luglio 1998, n. 275, successivamente adottato, sicchè il contribuente che abbia omesso tale indicazione decade irrimediabilmente dal beneficio; né si può invocare il principio di generale emendabilità della dichiarazione fiscale, che non consente di superare il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire delle decadenze previste dalla legge, sicchè non assume alcun rilievo la presentazione di una successiva dichiarazione integrativa, che opera solo in caso di mera esternazione di scienza e non consente, in ogni caso, di superare il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze previste dalla legge. Al rigetto del primo motivo di ricorso, consegue l’assorbimento del secondo, in ragione dei rilievi espressi.
6. Il terzo motivo di ricorso va rigettato per le considerazioni che seguono: invero, pur ricorrendo, nella specie, il vizio di omessa pronuncia, posto che la CTR ha omesso di pronunciarsi sull’eccezione, proposta in appello, con cui era stato dedotto che l’Amministrazione non poteva procedere alla notifica di un avviso bonario ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, le censure proposte sono infondate, in quanto : ” In tema di controlli delle dichiarazioni tributarie, l’attività dell’Ufficio accertatore, correlata alla contestazione di detrazioni e crediti indicati dal contribuente, qualora nasca da una verifica di dati indicati da quest’ultimo e dalle incongruenze dagli stessi risultanti, non implica valutazioni, sicchè è legittima l’iscrizione a ruolo della maggiore imposta ai sensi degli artt. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, non essendo necessario un previo avviso di accertamento” (Cass. n. 4360 del 2017). Ne consegue, pertanto, che non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, la doglianza va rigettata.
7. Da siffatti rilievi consegue il rigetto del ricorso. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite che liquida in complessivi euro 1000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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