CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 agosto 2019, n. 21535
Opposizione a cartella esattoriale – Assoggettamento all’obbligo contributivo – Accertamento ispettivo – Associazione sportiva dilettantistica
Fatti di causa
1. L’Associazione sportiva C. Club (d’ora in avanti, Associazione) proponeva opposizione alla cartella esattoriale con la quale l’INPS, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. s.p.a., aveva chiesto il pagamento di oltre euro 80.000,00 per omessa contribuzione e sanzioni; detta cartella traeva origine dal verbale di accertamento, del giugno 2009, con il quale gli ispettori della Direzione Provinciale del Lavoro di Genova e dell’ENPALS, all’esito dell’ispezione effettuata presso la predetta Associazione nel corso della quale venivano esaminate le posizioni lavorative degli istruttori (una ventina) ivi impegnati, accertavano l’assoggettamento all’obbligo contributivo per i compensi corrisposti ai predetti istruttori avendo ritenuto che svolgessero attività non funzionali alla partecipazione a manifestazioni sportive dilettantistiche, bensì ad un’attività meramente commerciale della palestra gestita dall’Associazione stessa.
2. L’adito giudice rigettava l’opposizione sul presupposto dello svolgimento di attività didattica e formativa in prevalenza dedicata al benessere fisico e solo raramente a favore di atleti impegnati in attività agonistica.
3. La Corte territoriale, per quanto in questa sede rileva, confermava la decisione, quanto alla somma di euro 9.154,55 portata dalla cartella opposta, ritenendo che: alcune delle attività svolte rientravano in un concetto ampio di sport comprensivo non solo di attività competitive ma più in generale della cura dell’esercizio fisico, definizione corrispondente a quella fatta propria dalla Carta Europea dello Sport del 1992 e ai principi costituzionali (artt. 32, 2 Cost.); la nozione di attività dilettantistica, ai fini rilevanti in questa sede, non poteva essere ricavata dalla legge n. 91 del 1981, ma doveva essere individuata nell’assenza di interessi economici lucrativi o, più genericamente, di guadagno patrimoniale sottesi all’attività sportiva; non risultava a tal fine sufficiente il riconoscimento da parte del CONI; nella specie, dall’istruttoria espletata erano emersi elementi significativi in ordine all’attività degli istruttori non funzionale ad attività agonistica, corroborati dalla mancata contestazione, in primo grado, del contenuto delle prestazioni svolte dal personale impiegato e del relativo carattere abituale, tali da far ritenere la natura commerciale dell’attività svolta nella palestra dell’Associazione e, quindi, l’assoggettabilità dei compensi, versati agli istruttori, alla contribuzione cd. «minore» ENPALS (per maternità e malattia), mancando il presupposto della subordinazione.
4. Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso l’Associazione, affidato a tre motivi ulteriormente illustrati con memoria, cui resiste l’INPS, anche quale procuratore speciale della S.C.C.I. s.p.a., con controricorso.
5. Equitalia Nord s.p.a., ora Agenzia delle Entrate Riscossione, è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
6. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, comma 1, lett. m) e successive modifiche e della norma di interpretazione autentica introdotta dal d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, art. 35, comma 5, conv. con modificazioni in legge 27 febbraio 2009, n. 14, per non avere la Corte territoriale indicato sulla base di quali norme dovesse qualificarsi non dilettantistica un’attività sportiva sovrapponibile, anche solo potenzialmente, a quella di un’attività commerciale e in concorrenza con quella svolta da imprese commerciali, anziché decidere concretamente se l’attività svolta fosse riconducibile all’una o all’altra ipotesi. La parte ricorrente assume che la decisione impugnata non si è uniformata alla più ampia (e corretta) accezione di attività sportiva dilettantistica definitivamente riconosciuta dal legislatore che, con il d.l. n. 207 del 2008, art. 35, aveva fornito un’interpretazione autentica del disposto del d.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, lett. m).
7. Con il secondo motivo viene lamentata violazione dell’art. 115 cod.proc.civ. per avere la Corte di merito, richiamando un proprio precedente, omesso di porre a fondamento della decisione circostanze emerse dalla documentazione prodotta in giudizio e fatti pacifici non contestati dall’INPS, e per non avere tenuto conto della certificazione del CONI relativa al riconoscimento della finalità sportiva dilettantistica dell’Associazione e delle dichiarazioni rese in sede ispettiva.
8. Con il terzo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e si assume che incontestata, dalll’INPS, la natura dilettantistica, la Corte di merito aveva, invece, considerato non dilettantistica l’attività di fitness perché svolta nell’interesse esclusivo della palestra e in assenza di relazione tra l’attività svolta e la manifestazione sportiva da preparare, secondo un’interpretazione errata in diritto.
9. Il primo motivo è infondato.
10. La Corte territoriale si è fatta carico di individuare la nozione di attività sportiva dilettantistica delineata dal d.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, lett. m), come interpretato dal d.l. n. 207 del 2008, art. 35, comma 5 e, quindi, ha ritenuto, con apprezzamento in fatto insindacabile in questa sede, che parte dell’attività svolta dalla palestra dell’Associazione non fosse di tipo sportivo dilettantistico ma avesse natura commerciale perché prevalentemente incentrata su attività di mera cura dell’esercizio fisico, come desunto peraltro dalla richiesta di iscrizione al C.O.N.I., conseguendone l’assoggettabilità ad obbligazione contributiva dei compensi versati agli istruttori dei corsi riferibili all’attività di natura commerciale, incontestate le relative prestazioni, sia per modalità sia quanto alla connotazione di abitualità.
11. Vale ricordare che questa Corte, anche di recente (v. Cass. n.11492 del 2019) ha dato continuità ai precedenti di legittimità che, sia pure ad altri fini, hanno avuto modo di precisare che «in tema di agevolazioni tributarie, l’esenzione d’imposta prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 111 (ora art. 148), in favore delle associazioni non lucrative dipende non dall’elemento formale della veste giuridica assunta (nella specie, associazione sportiva dilettantistica), ma dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato del tutto estrinseco e neutrale dell’affiliazione alle federazioni sportive ed al Coni» (Cass. n. 10393 del 2018; Cass. n. 16449 del 2016).
12. E’ stato anche chiarito che «affinché un’associazione sportiva dilettantistica possa beneficiare delle agevolazioni fiscali previste in materia di IVA e di IRPEG, rispettivamente, dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4 e dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 111, non è sufficiente la sua astratta sussumibilità in una delle categorie previste da tali norme, ma è necessario che essa dia prova di svolgere la propria attività nel pieno rispetto di tutte le prescrizioni imposte da esse» (v., fra le altre, Cass. n. 8623 del 2012).
13. Del resto va ricordato che,in conformità con le regole sull’onere probatorio a carico di colui che intenda beneficiare dell’esonero dall’obbligazione contributiva, l’associazione che, fruendo dell’opera di collaboratori tecnici, invochi l’applicabilità dell’art. 67 del citato d.P.R. n. 916 del 1986 e l’esonero, sotto il profilo contributivo, dall’obbligazione contributiva ha l’onere di dimostrare gli elementi costitutivi che consentano di annoverare la fattispecie nella categoria «redditi diversi».
14. Ne discende, quindi, che correttamente la Corte territoriale ha verificato se, in concreto, l’attività svolta dall’Associazione fosse o meno interamente dì natura sportiva dilettantistica e ha peraltro valorizzato, come già detto, la mancata contestazione in primo grado dei contenuti e delle prestazioni del personale impiegato nelle attività di mera cura dell’esercizio fisico, con proposizione non fatta segno di alcuna censura con il ricorso per cassazione.
15. Il secondo motivo è inammissibile perché inconferente per avere la Corte di merito correttamente esercitato il potere decisionale attraverso la sussunzione dei fatti oggetto della vicenda all’esame.
16. Inammissibile è anche il terzo motivo sotto vari profili.
17. In primo luogo perché non presenta alcuno dei requisiti richiesti dall’art. 360 comma 1, n. 5, cod.proc.civ., nella nuova formulazione (così come interpretato da Cass. Sez. U, n. 8053 del 2014) applicabile ratione temporis, finendo con il lamentare: a) non l’omesso esame di un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria) bensì l’omessa o carente valutazione di documenti acquisiti agli atti; b) con il criticare la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale, in quanto tale non più censurabile (si veda la citata Cass., Sez.U., n. 8053 del 2014 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione dell’art. 360, n. 4 cod.proc.civ., il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito dì cui all’art. 132, n. 4, cod.proc.civ., esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione).
18. Inoltre il mezzo d’impugnazione è inammissibile perché finisce con il sollecitare una nuova valutazione del merito della controversia non ammissibile in questa sede.
19. In definitiva il ricorso è da rigettare.
20. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore dell’INPS.
21. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 7.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.