CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 febbraaio 2020, n. 4317

Indennità integrativa speciale – Trattamento pensionistico di reversibilità – Recupero dell’indebito – Modalità

Fatti di causa

1.- Con ordinanza ingiunzione resa ai sensi dell’art. 2 del R.D. 14/4/2010, n. 639, notificata in data 27/11/2012, l’Inps ha intimato a M.Z. il pagamento di somme dovute a titolo di ripetizione di quanto dalla stessa ricevuto, in forza di sentenza poi annullata dalla Sezione centrale della Corte dei conti n. 70/2011, per indennità integrativa speciale in misura intera sulla pensione ordinaria diretta in godimento, in costanza di trattamento pensionistico di reversibilità.

2.- Contro l’ordinanza, la Z. ha proposto opposizione dinanzi alla Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Emilia- Romagna – che, con sentenza pubblicata il 25/3/2016, l’ha parzialmente accolta: ha infatti rigettato la domanda avente ad oggetto l’irripetibilità degli importi pretesi dall’Inps e ha accolto la richiesta subordinata relativa alle modalità di recupero dell’indebito, disponendone il rimborso rateale, ovvero mediante trattenute su entrambe le pensioni spettanti alla ricorrente, nel limite del quinto previsto dall’art. 3 del R.D.L. 19/1/1939, n. 285 (convertito in L. 2/6/1939, n. 793, e 2 d.p.r. 5/1/1950, n. 180).

3.- Contro la sentenza, l’Inps ha proposto appello dinanzi alla Corte dei conti – sezione prima giurisdizionale centrale di appello – che, con sentenza pubblicata il 5/2/2018, ha accolto l’impugnazione e ha affermato che, ferma restando l’impignorabilità parziale dei trattamenti pensionistici ai sensi del d.p.r. n. 180/1950, come interpretato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 506/2002, non esistono disposizioni normative che, in deroga all’art. 2740 cod.civ., pongano limiti all’ente creditore di aggredire in sede esecutiva eventuali beni posseduti dal pensionato; in risposta all’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla Z., ha ritenuto che la questione non costituisse domanda nuova rispetto a quella già esperita in primo grado e che pertanto essa rientrasse nella competenza del giudice di appello e non del giudice dell’esecuzione.

4.- Contro la sentenza, la Z. ha proposto ricorso per cassazione al quale ha resistito l’Inps con controricorso.

In prossimità dell’udienza, la ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 cod.proc.civ.

Ragioni della decisione

1.- Con l’unico motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 362 cod.proc.civ. e 111 Cost., la ricorrente denuncia l’eccesso di potere commesso dalla Corte dei conti con la sentenza impugnata.

1.1.- Assume che la pronuncia espressa circa la applicabilità dell’art. 2740 cod.civ. viola il giudicato contenuto nella sentenza n. 70 del 2011 della Corte dei conti ed esercita la giurisdizione su materie attribuite al giudice ordinario, e più precisamente al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 212 cod.giust.cont.; aggiunge che l’oggetto del giudizio presso la Corte dei conti non era l’accertamento dei presupposti di fatto e di diritto dell’azione di recupero di un  credito previdenziale già definito, bensì l’esecuzione della sentenza resa in appello dalla Corte dei conti, n. 70 del 21/1/2011, passata in giudicato e costituente titolo esecutivo a carico della stessa ricorrente, e dei suoi eredi dopo il decesso; si tratta pertanto di questione relativa all’esecuzione e non già al giudizio contabile di cognizione.

2.- Il ricorso è inammissibile.

In via preliminare, deve rigettarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 cod.proc.civ., sollevata dal controricorrente. L’unico motivo proposto a sostegno della cassazione della sentenza impugnata è, infatti, sufficientemente specifico, in quanto contiene una sia pur sommaria esposizione dei fatti di causa ed enuclea con chiarezza le ragioni di doglianza proposte contro la sentenza della Corte dei conti.

La ragione di inammissibilità è un’altra.

3.- Come si evince dalla sentenza impugnata, la decisione della Corte regionale della Corte dei conti n. 45 del 2016, parzialmente riformata dalla Corte dei conti – sezione centrale, è stata resa in un giudizio proposto dalla Z. avente ad oggetto, in via principale, l’accertamento della irripetibilità, in tutto o in parte, degli importi pretesi dall’Inps in restituzione di quanto indebitamente erogato, e, in via subordinata, la determinazione delle modalità di recupero dell’indebito.

4.- La Corte regionale ha accolto la domanda subordinata e ha così riconosciuto il diritto della pensionata al rimborso delle somme dovute all’Inps in forma rateizzata, ossia mediante trattenute sulle pensioni in godimento, nel limite del quinto del relativo importo.

L’appello proposto dall’Inps dinanzi alla Corte dei conti sezione centrale ha avuto ad oggetto proprio quest’ultima statuizione ed il motivo, fondato sulla asserita violazione dell’art. 2740 cod.civ., è stato accolto con la sentenza qui impugnata.

5. Non vi è dubbio che la questione relativa alle modalità del rimborso, e dunque alle forme di soddisfacimento della pretesa creditoria dell’istituto previdenziale, è stata oggetto della domanda proposta dalla stessa ricorrente che ha agito dinanzi al giudice contabile, il quale ha ritenuto sia pure implicitamente sussistente la sua giurisdizione su tale capo della domanda. Ne consegue che la stessa ricorrente non può dirsi soccombente sul punto della giurisdizione, avendo ella stessa scelto quel giudice, e ciò la priva della legittimazione ad impugnare la sentenza resa dal giudice d’appello sotto il profilo del difetto di giurisdizione.

6.- Valgono, invero, i principi già affermati da queste Sezioni unite, nella sentenza del 20/10/2016, n. 21260, secondo cui l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza in quanto non soccombente su tale, autonomo capo della decisione (v. pure Cass. Sez.Un., 24/9/2018, n. 22439; Cass. Sez.Un., 23/7/2018, n. 19522; Cass. Sez. Un., 19/1/2017, n. 1309).

Invero, rispetto al capo relativo alla giurisdizione la parte va considerata a tutti gli effetti vincitrice, avendo il giudice riconosciuto la sussistenza del proprio potere-dovere di decidere il merito della causa, così come implicitamente o esplicitamente sostenuto dallo stesso attore, che a quel giudice si è rivolto, con l’atto introduttivo della controversia, per chiedere una risposta al suo bisogno individuale di tutela.

L’attore non è pertanto legittimato a contestare il capo sulla giurisdizione e a sostenere che la potestas iudicandi spetta ad un giudice diverso, appartenente ad un altro plesso giurisdizionale: relativamente ad una tale pronuncia a contenuto processuale di segno positivo, non è configurabile, per l’attore, soccombenza, che del potere di impugnativa rappresenta l’antecedente necessario; «la soccombenza nel merito non può essere trasferita sul (e utilizzata per censurare il) diverso capo costituito dalla definizione endoprocessuale della questione di giurisdizione, trattandosi di aspetto non destinato, per sua natura, a differenza di ciò che avviene con riguardo ad altre questioni pregiudiziali di rito, a condizionare l’efficacia e l’utilità stessa della decisione adottata» (così Cass. Sez.Un., 22439/2018, cit.).

7.- E’ pertanto corretta la decisione della Corte dei conti nella parte in cui non ha dato ingresso all’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla Z., rilevando che il motivo di appello dell’Inps non eccedeva dall’ambito della cognizione devoluta al giudice contabile dalla stessa ricorrente, con l’atto di opposizione all’ordinanza ingiunzione.

8. – S’impone, pertanto, la declaratoria d’inammissibilità del ricorso con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 4000 per compensi professionali e € 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli altri accessori di legge.

9. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha integrato il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

pronunciando a sezioni unite, dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 4000,00 per compensi professionali e € 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario del 15% per spese generali e agli altri accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dell’art. 13, se dovuto.