CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 febbraio 2019, n. 4947
Rapporto di lavoro – Esposizione ad amianto – Decesso del dipendente – Danni patrimoniali e non patrimoniali
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 105 pubblicata il 23.2.2015, ha respinto l’appello proposto dagli eredi di A.G., confermando la pronuncia di primo grado con cui era stata rigettata la domanda dei predetti, di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, iure proprio e iure hereditatis, causati dal decesso del loro congiunto per mesotelioma pleurico, conseguente all’esposizione ad amianto nell’attività lavorativa prestata dal 1969 fino al 2008 presso lo stabilimento di Settimo Torinese di proprietà della O. s.p.a., passata sotto il controllo societario della P&R Holding attraverso l’incorporazione della F. F. s.p.a.
2. La Corte di merito ha ritenuto non dimostrata la legittimazione attiva degli appellanti, ricorrenti in primo grado; ha sottolineato come gli stessi, onerati di provare la loro qualità di eredi, non avessero specificato nel ricorso introduttivo di primo grado la qualifica di fratelli del de cuius; che non era censurabile la statuizione del Tribunale sulla tardività della produzione documentale comprovante il rapporto di parentela, poiché era presumibile la contestazione della società sulla legittimazione attiva degli stessi a fronte della presentazione del ricorso come “familiari eredi del defunto”; che non si poteva peraltro censurare il mancato esercizio dei poteri d’ufficio, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., per sopperire a carenze probatorie delle parti onerate; che, comunque, dal certificato di famiglia storico (tardivamente prodotto) emergeva unicamente la loro qualità di fratelli del defunto ma non quella di eredi; che neanche vi era spazio per desumere la legittimazione attiva dei medesimi dalla tacita accettazione dell’eredità, ai sensi dell’art. 476 c.c., in difetto di prova del fatto che gli appellanti fossero i soggetti chiamati all’eredità, non essendo sufficiente a tal fine la qualifica di fratelli del defunto, ma occorrendo le condizioni di cui all’art. 570 c.c.; che l’azione risarcitoria promossa neanche integrava un atto implicante la volontà di accettare l’eredità, in quanto non rientrante tra quelli previsti dall’art. 477 c.c. e non costituente atto di disposizione del patrimonio ereditario; che la giurisprudenza citata dagli appellanti (Cass. n. 1509 del 1995; n. 6969 del 2009; n. 14081 del 2005; n. 13738 del 2005) era del tutto inconferente rispetto alle questioni trattate.
3. La Corte territoriale ha poi ritenuto mancanti le necessarie allegazioni e prove in ordine al danno patrimoniale e non patrimoniale rivendicato dagli appellanti; in particolare, l’assenza di qualsiasi elemento oggettivo rilevante per l’individuazione del pregiudizio economico dagli stessi subito a causa della morte del congiunto e dell’entità dello stesso; la mancata allegazione, ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale, non solo del vincolo parentale ma di qualsiasi elemento riferito, ad esempio, ad una pregressa convivenza degli stessi col defunto, alle rispettive abitudini di vita, alla consistenza del nucleo familiare.
4. La Corte d’appello ha considerato infine non dimostrata la causa del decesso del sig. A.G. per mesotelioma pleurico, non desumibile dalla documentazione medica e dalla relazione a firma della dott.ssa P., prodotta dai ricorrenti in primo grado, risultando inammissibili i capitoli di prova testimoniale dedotti sul punto, peraltro con indicazione quali testimoni dei colleghi di lavoro del sig. A., e del tutto esplorativa la consulenza tecnica d’ufficio dai medesimi sollecitata.
5. Avverso tale sentenza, i signori A.F., A.C., A.M., A.G., in proprio e nella qualità di fratelli ed eredi successori di A.G., hanno proposto ricorso per cassazione, nei confronti della O. s.p.a., affidato a sei motivi (il primo e secondo motivo articolati in più censure) cui ha resistito con controricorso la predetta società.
6. La O. s.p.a. ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo di ricorso i signori A. hanno dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 427 c.p.c. e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c., per non avere i giudici di merito, a fronte della domanda di risarcimento proposta dai medesimi iure proprio, disposto la conversione del rito, da rito del lavoro a rito civile ordinario; hanno specificato come tale conversione avrebbe consentito l’ammissibilità della produzione documentale sul legame parentale e sulla qualifica di eredi.
2. Il motivo è inammissibile in quanto i ricorrenti non hanno allegato di aver agito fin dall’inizio per il risarcimento del danno iure proprio, atteso che gli stessi, nel ricorso in esame (pag. 3), hanno richiamato le conclusioni del ricorso di primo grado come volte ad ottenere “il risarcimento del danno biologico e del danno morale iure hereditatis”. Non solo, i ricorrenti non hanno neanche allegato di aver denunciato l’omesso cambiamento del rito mediante specifico motivo di appello, con conseguente novità della questione che risulta sollevata per la prima volta in sede di legittimità.
3. Sempre col primo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione ed omessa applicazione degli artt. 420, comma 1, 421, commi 1, 2, 3 e 4, 183, comma 4, 437, comma 2, c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto tardiva la precisazione, fatta all’udienza di discussione, di essere fratelli del defunto, benché tale rapporto fosse desumibile dal confronto delle date di nascita dei predetti e del defunto; inoltre per avere la Corte omesso di pronunciarsi sul mancato esperimento, da parte del Tribunale, degli incombenti imposti dalle citate disposizioni che, ove svolti, secondo un approccio non formalistico (suggerito da Cass. n. 18410 del 2013; n. 22728 del 2014), avrebbero consentito di accertare la qualità dei predetti quali fratelli di A. G..
4. Con la terza censura nell’ambito del primo motivo di ricorso, i signori A. hanno dedotto violazione dell’art. 111 comma 2 Cost., omesso esame di un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per non avere la Corte d’appello applicato i principi (cfr. Cass. n. 18410 del 2013; n. 26107 del 2014) secondo cui, nel rito del lavoro, in ipotesi di semiplena probatio, il giudice ha il potere dovere di provvedere agli atti istruttori idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi, dovendo motivare sul mancato utilizzo dei suddetti poteri d’ufficio il cui esercizio sia stato sollecitato dalla parte.
5. Le due censure, che si esaminano congiuntamente, non possono trovare accoglimento.
6. Anzitutto, si tratta di censure che, in quanto investono il mancato espletamento dell’interrogatorio libero e di altri adempimenti processuali, che secondo la tesi dei ricorrenti avrebbero consentito di acquisire la prova del loro rapporto di parentela col defunto, devono essere riqualificate come errores in procedendo; sotto tale profilo, le censure risultano inammissibili in quanto non è dedotto né è sostenibile che l’omissione di detti adempimenti comporti nullità della sentenza o del procedimento.
7. Questa Corte (Cass. n. 15676 del 2014; Cass. n. 18635 del 2011) ha più volte affermato come l’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., consenta la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento; difatti non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato “error in procedendo”. Ne consegue che, ove il ricorrente non indichi lo specifico e concreto pregiudizio subito, l’addotto “error in procedendo” non acquista rilievo idoneo a determinare l’annullamento della sentenza impugnata. Nel caso di specie, i ricorrenti non lamentano un pregiudizio ad diritto di difesa bensì la mancata agevolazione nell’adempimento degli onere probatori sui medesimi gravanti.
8. Peraltro, costituisce indirizzo consolidato (Cass. n. 16141 del 2004; Cass. n. 6815 del 2003) quello per cui, nel rito del lavoro, l’espletamento del libero interrogatorio delle parti, pur configurando un adempimento obbligatorio, non sia previsto a pena di nullità, essendo attribuito al potere discrezionale del giudice del merito di valutarne la indispensabilità e la sua potenziale utilità al fine di acquisire elementi di convincimento per la decisione. Considerazioni analoghe possono ripetersi per gli ulteriori adempimenti di cui i ricorrenti hanno rilevato l’omissione ad opera del giudice di primo grado.
9. Infine, le censure in esame, nella parte in cui denunciano l’omessa considerazione delle date di nascita dei ricorrenti e del de cuius, quali elementi da cui inferire il rapporto parentale tra gli stessi, si collocano al di fuori del vizio di violazione di legge, come denunciato, per rifluire in un vizio motivazionale, inammissibile in questa sede per la disciplina di cui all’art. 348 ter c.p.c., cd. doppia conforme, applicabile ratione temporis.
10. Considerazioni analoghe possono ripetersi riguardo alla censura di mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio avendo la Corte di merito puntualmente motivato, in sintonia con la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 22305 del 2007; Cass. n. 12717 del 2010; Cass. n. 17102 del 2009), sulla natura di tali poteri come non sostitutivi degli oneri di allegazione e prova gravanti sulle parti.
11. Col secondo motivo di ricorso, concernente la legittimazione attiva iure hereditatis, i signori A. hanno dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 565 c.c. per non avere la Corte di merito considerato, in conformità all’orientamento di legittimità (Cass. n. 8737 del 1993; n. 7073 del 1995; n. 9286 del 2000; 2743 del 2014), che essi quali fratelli rientravano nella categoria dei successibili, sia pure “ulteriori” rispetto ai legittimari, ed avessero titolo e legittimazione a proporre azione risarcitoria in qualità di eredi per l’operare in loro favore della delazione simultanea dell’eredità, con il coerente diritto di accettazione, sia pure sottoposta alla condizione risolutiva consistente nella eventuale accettazione da parte dei successibili immediati.
12. Con la seconda censura nell’ambito del secondo motivo, i ricorrenti hanno dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 476 c.p.c. e falsa applicazione dell’art. 477 c.p.c., per non avere la Corte di merito ravvisato nella proposizione della domanda giudiziale per risarcimento dei danni spettanti al defunto, fondata sulla qualità di eredi degli attori, una manifestazione tacita della volontà di accettare l’eredità, conformemente alla giurisprudenza di legittimità sul punto (Cass. n. 4414 del 1999; n. 13738 del 2005; 13326 del 2015).
13. Secondo i ricorrenti la Corte di merito avrebbe male interpretato ed applicato le disposizioni sopra richiamate perché, ove anche vi fossero stati altri eredi immediati, i ricorrenti, quali eredi ulteriori avrebbero dovuto essere considerati come chiamati all’eredità, con facoltà di accettazione anche tacita della eredità medesima, in pendenza del termine di accettazione per i primi chiamati e subordinatamente alla mancata accettazione degli stessi.
14. Col terzo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione degli artt. 1126, 2727 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., per non avere la Corte di merito riconosciuto, sulla base di elementi presuntivi, il danno non patrimoniale subito dai medesimi per la morte del congiunto a causa di malattia professionale, attribuibile a responsabilità datoriale, e per non aver liquidato in via equitativa il danno medesimo.
15. Col quarto motivo i signori A. hanno dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 61, 115 c.p.c. e dell’art. 421 c.p.c., per non avere la Corte d’appello ammesso la c.t.u. percipiente, sulla base della documentazione medica dai medesimi prodotta ed idonea a fornire almeno una semiplena probatio sulla diagnosi di mesotelioma pleurico come malattia che ha causato o concorso a causare la morte del loro congiunto.
16. Col quinto motivo i ricorrenti hanno dedotto violazione degli artt. 115 e 416 c.p.c. per avere i giudici di merito ritenuto inammissibili i capitoli di prova testimoniale formulati nel ricorso introduttivo di primo grado e non dimostrate le mansioni svolte dal lavoratore e le circostanze di contatto del medesimo con l’amianto, senza considerare che le allegazioni contenute nel ricorso sulle mansioni e sulla esposizione all’amianto non erano state contestate dalla O. s.p.a., che anzi nella memoria di costituzione in primo grado le aveva espressamente confermate, rendendo le stesse pacifiche e non bisognose di prova; inoltre, la documentazione prodotta dai ricorrenti, relazione del consulente del pubblico ministero e sentenza penale, avrebbero dovuto condurre a ritenere provato il nesso eziologico tra l’esposizione e il decesso del sig. A..
17. Col sesto motivo i ricorrenti hanno dedotto violazione dell’art. 115 c.p.c. per non avere la Corte d’appello valutato le prove provenienti da altri procedimenti e prodotte in atti, in particolare, la consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero nel procedimento R.G. n. 19068/02 relativo alla morte di ex dipendenti di F., adibiti alle medesime mansioni del defunto A.G. e tutti deceduti per patologie neoplastiche amianto correlate nonché la sentenza penale n. 141 del 2007 emessa dal tribunale di Torino per omicidio colposo nei confronti dei responsabili dello stabilimento di Settimo Torinese.
18. Si esamina a questo punto il quarto motivo di ricorso, in quanto logicamente assorbente rispetto agli altri motivi, perché investe la statuizione contenuta nella sentenza d’appello sul difetto di prova, di cui erano onerati i ricorrenti, in ordine alla malattia che ha causato la morte del lavoratore e quindi alla sua qualificazione come malattia professionale, rispetto a cui potesse configurarsi una responsabilità datoriale in relazione all’art. 2087 c.c., con conseguente obbligo risarcitorio della società controricorrente.
19. Difatti, l’individuazione della malattia che ha causato il decesso del sig. A. risulta preliminare rispetto alla questione del danno subito dai ricorrenti per la perdita del congiunto, con i connessi profili di allegazione e prova del danno medesimo.
20. La Corte d’appello ha ritenuto esplorativa la c.t.u. richiesta dai ricorrenti in quanto dalla documentazione dagli stessi prodotta non era possibile in alcun modo ricavare che il decesso fosse avvenuto per mesotelioma pleurico.
21. La sentenza impugnata ha ripercorso il contenuto dei documenti medici in atti e della relazione del consulente tecnico nominato dai ricorrenti ed ha motivato sulla assoluta carenza di elementi a sostegno del mesotelioma pleurico quale causa di morte del sig. A.; ha riportato il referto della Tac ove è annotata l’ipotesi di “formazione primitiva renale con secondarismi polmonari bilaterali”.
22. La consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi può assegnare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (Cass. n. 18770 del 2016; n. 6155 del 2009).
23. Si è precisato come la decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d’ufficio costituisca un potere discrezionale del giudice, che, tuttavia, è tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell’istanza di ammissione proveniente da una delle parti, dimostrando di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potersi limitare a disattendere l’istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare. Pertanto, nelle controversie che, per il loro contenuto, richiedono si proceda ad un accertamento tecnico, il mancato espletamento di una consulenza medico-legale, specie a fronte di una domandadi parte in tal senso, costituisce una grave carenza nell’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che si traduce in un vizio della motivazione della sentenza (Cass. n. 17399 del 2015; n. 72 del 2011).
24. Nel caso di specie, la Corte di merito ha, anzitutto, dato atto di una richiesta di c.t.u. formulata dai ricorrenti “in via di subordine e comunque in modo assolutamente generico (“non essendo neppure chiaro se l’eventuale ctu dovesse riguardare la situazione clinica dell’A. G. ovvero la presenza di amianto nello stabilimento di Settimo”).
25. Ha poi ritenuto, con motivazione non suscettibile di censura in questa sede, come, alla luce della documentazione medica esaminata, la c.t.u. non avrebbe assolto alla “funzione sua propria di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi già acquisiti in giudizio e bisognevoli di un controllo tecnico”, ma avrebbe avuto la finalità di supplire al difetto di allegazioni e prove imputabili ai ricorrenti in primo grado, in tal modo escludendo che si versasse in una situazione di semiplena probatio come sostenuto dagli attuali ricorrenti.
26. Né elementi diversi potevano desumersi dai capitoli di prova testimoniale in quanto giudicati inammissibili e dei quali non è in alcun modo allegata la decisività.
27. Non è configurabile la violazione dell’art. 115 c.p.c., oggetto del sesto motivo di ricorso, posto che gli atti del procedimento penale riguardano altri lavoratori e non il sig. A. G. e, comunque, il vizio per come dedotto attiene al merito e alla valutazione delle prove non consentita in questa sede di legittimità.
28. L’infondatezza delle censure sulla causa del decesso del lavoratore e sul nesso eziologico di esso con l’esposizione ad amianto, porta a ritenere inammissibili i residui motivi aventi ad oggetto le restanti autonome rationes decidendi su cui la pronuncia d’appello di fonda, in particolare il difetto di prova del danno patrimoniale e non patrimoniale rivendicato dagli attuali ricorrenti.
29. Difatti, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. . 2108 del 2012; n. Cass. 21490 del 2005).
30. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
31. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
32. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
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