CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 gennaio 2020, n. 1112
Sgravi contributivi non fruiti – Ritardato adempimento di una obbligazione di valuta – Presunzione del maggior danno ex art. 1224 c.c.
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 25 giugno 2013, decidendo in sede di rinvio, in parziale riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Cremona, ha rigettato la domanda di risarcimento svolta da G.A. s.p.a. nei confronti dell’INPS, per il maggior danno da ritardata restituzione, ex art. 1224, secondo comma, cod.civ., della somma di lire 705.842.976 per sgravi contributivi non fruiti, accertati con sentenza del Tribunale di Napoli passata in giudicato.
2. Premetteva la Corte territoriale che la sentenza rescindente della Corte di cassazione n. 16601 del 2009, in continuità con il principio già enunciato dalle Sezioni unite della Corte (sentenza n.19499 del 2008) in tema di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta e presunzione del maggior danno ex art. 1224, secondo comma, cod.civ. – secondo cui «il maggior danno può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali» – aveva rimesso al giudice del rinvio la verifica dei termini di applicabilità della presunzione, esclusa l’adeguatezza della prova del danno commisurato all’entità degli interessi passivi a cui la società A. aveva fatto riferimento, con l’ulteriore precisazione, quanto al periodo intercorrente tra il 1991 e il 2008, che la richiamata sentenza delle Sezioni unite del 2008 aveva dato atto della superiorità del tasso di rendimento dei titoli di Stato di durata non superiore ai dodici mesi rispetto ai valori del tasso di interesse legale.
3. Tanto premesso, la Corte territoriale, in adesione alle conclusioni rassegnate dall’ausiliare officiato in giudizio, accertava che nel periodo di mora, nell’arco temporale tra il 1988 e il 2000, il saggio medio netto di rendimento dei titoli di Stato era stato inferiore al tasso legale medio, ed escludeva, pertanto un danno ulteriore, per la società, rispetto a quello compensato dagli interessi al tasso legale; inoltre, in considerazione della formazione del giudicato sull’assenza di ulteriore prova, riteneva che la presunzione semplice del maggior danno, come richiesto dalla sentenza rescindente, dovesse valutarsi in concreto, alla stregua del parametro indicato dal Giudice remittente, con riferimento al rendimento netto, variabile da soggetto a soggetto, e non piuttosto lordo, uguale per ogni soggetto e che, in definitiva, nessun altro importo spettasse alla società a titolo di risarcimento del maggior danno.
4. Avverso tale sentenza ricorre la s.p.a. G.A., con ricorso affidato ad un articolato motivo, cui resiste, con controricorso, l’INPS.
Ragioni della decisione
5. Con l’articolato motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 384, secondo comma, cod.proc.civ., 2727, 1224 cod.civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo, la parte ricorrente censura la sentenza per avere la Corte di merito violato il principio di diritto della sentenza rescindente, introducendo, nell’individuazione del maggior danno, il reddito della società e le aliquote fiscali ILOR e IRPEF, anziché limitarsi a prendere atto del rapporto fra tasso di interesse legale e saggio di rendimento medio dei titoli di Stato, come già definito dalle Sezioni unite della Corte, e a conferire incarico peritale limitatamente al conto da farsi. Assume, inoltre, l’erronea adesione al calcolo del danno compiuto dall’ausiliare officiato in giudizio, anno per anno e con la somma algebrica dei risultati, senza distinzione tra anni di saggio superiore al tasso, con prova del maggior danno per non avere usufruito delle somme di cui la società era creditrice, e anni di saggio inferiore al tasso, nel qual caso non vi sarebbe stato maggior danno, ma neanche un obbligo di restituzione.
6. Il ricorso è da rigettare.
7. Occorre premettere che i profili di censura dedotti alla stregua del vecchio vizio di motivazione sono inammissibili ratione temporis.
8. Il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di rinvio disposto a norma dell’articolo 383 del codice di rito è disciplinato, quanto ai motivi deducibili, dalla legge temporalmente in vigore all’epoca della proposizione dell’impugnazione, in base al generale principio processuale tempus regit actum ed a quello secondo cui il giudizio di rinvio, a seguito di cassazione, integra una nuova ed autonoma fase processuale di natura rescissoria.
9. Da ciò consegue che se la sentenza conclusiva del giudizio di rinvio è stata pubblicata, come nella specie, dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, vale a dire dal giorno 11 settembre 2012, trova applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. nella nuova formulazione restrittiva introdotta con la novella al codice di rito (v., fra le altre, Cass. n. 3707 del 2019; Cass. n. 26654 del 2014).
10. La censura non presenta, peraltro, alcuno dei requisiti ora richiesti dal novellato art. 360 comma 1, n. 5, cod.proc.civ. (come interpretato da Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014) finendo con il lamentare non l’omesso esame di un fatto decisivo inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria) ma si risolve nella critica alla sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale, in quanto tale non più censurabile (si veda la citata Cass., Sez.U., n. 8053 del 2014 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione all’art. 360, n. 4 cod.proc.civ., il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132, n.4, cod.proc.civ., esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione).
11. Tanto premesso, i giudici del gravame si sono uniformati, con la sentenza impugnata, al principio di diritto espresso dalla sentenza rescindente, in continuità con la decisione delle Sezioni unite della Corte, n. 19499 del 2008 e, in particolare, per quanto di rilievo nella controversia all’esame, in riferimento alla prima parte dell’articolato principio di diritto – «Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali» – compiendo, a tal fine, la necessaria verifica dei termini di applicabilità della presunzione di maggior danno demandata da questa Corte.
12. L’ausiliare officiato nel giudizio di rinvio, le cui conclusioni la Corte territoriale ha fatto proprie, ha quantificato la differenza fra saggio medio di rendimento netto dei titoli di stato con scadenza non superiore a dodici mesi e il saggio degli interessi legali nel periodo di riferimento e la censura, ad onta della formulazione della rubrica del motivo di doglianza per difformità dal principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente, sollecita un riesame, nel merito, dei conteggi e si duole d’un calcolo doverosamente effettuato come prescritto dalla sentenza rescindente.
13. Anche la deduzione dell’errata applicazione delle presunzioni impinge, per quanto già detto, nel vizio di motivazione nel testo anteriore alla riforma e tenta di introdurre la confutazione di una valutazione rimessa al giudice del merito la cui motivazione, nel pieno rispetto del requisito di cui all’art. 132, n.4, cod.proc.civ., ribadita l’irretrattabilità, per essersi formato il giudicato, sull’assenza di ulteriore prova del maggior danno ex art. 1224 cod.civ., ha svolto l’iter argomentativo muovendo dalla valutazione, in concreto, del maggior danno, come richiesto dalla sentenza rescindente, in riferimento al saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato, variabile da soggetto a soggetto, diversamente dal rendimento lordo, uguale per ogni soggetto.
14. In conclusione, la sentenza impugnata è immune da censure.
15. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
16. Ai sensi dell’art. 13,comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 8.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13,comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13,comma 1-bis, se dovuto.
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