CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 gennaio 2022, n. 1689

Tributi – Accertamento – Società estinta a seguito della cancellazione dal registro – Successione dei soci per i debiti sociali

Fatti di causa

Dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato rispettivamente a I. s.r.I., titolare della quota del 90% della società R. s.r.I., nonché ai due soci P. D. (amministratore della I. s.r.I.) e M. M. A., degli avvisi di accertamento con i quali aveva contestato il maggior reddito non dichiarato della società Agenzia R. s.r.I., di cui gli stessi erano soci, in conseguenza della cancellazione della suddetta società dal registro delle imprese; avverso l’atto impositivo P. D., in nome proprio e a nome della società, nonché M. M. A., avevano proposto separati ricorsi che, previa riunione, erano stati rigettati dalla Commissione tributaria provinciale di Padova; avverso la decisione del giudice di primo grado avevano proposto appello P.D., in proprio e a nome della società, e M. M.A..

La Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: ai fini della decisione, dovevano essere considerate e definite separatamente le posizioni relative alla società I.  s.r.l. (rappresentata da P. D.) rispetto a quella di M. M. A.; con riferimento alla società, la circostanza che la società Agenzia R. s.r.l. (di cui la prima era socia), sebbene cancellata dal registro delle imprese, era stata dichiarata fallita entro l’anno dalla cancellazione, comportava che la sua rappresentanza doveva essere attribuita al curatore del fallimento, sicchè l’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto annullare l’avviso di accertamento notificato a I. s.r.l. e riemetterlo nei confronti del fallimento.

L’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a due motivi, cui ha resistito la controricorrente depositando controricorso, illustrato con successiva memoria.

Con ordinanza del 14 maggio 2021 questa Corte ha disposto il rinvio a nuovo ruolo della causa per la trattazione alla pubblica udienza, per l’esame della questione della integrità del contraddittorio e degli effetti della dichiarazione di fallimento, avvenuta entro l’anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, ai sensi dell’art. 10, legge fallimentare, ai fini della legittimità dell’avviso di accertamento fatto valere, iure successionis, nei confronti dei soci della società, in data antecedente alla dichiarazione di fallimento.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 2495, cod. civ., e dell’art. 10, r.d. 267/1942, per avere ritenuto che, essendo stato dichiarato il fallimento della società Agenzia R. s.r.I., sebbene già cancellata dal registro delle imprese, la stessa doveva essere considerata nuovamente esistente, sicchè la pretesa doveva essere fatta valere nei confronti del curatore del fallimento, con conseguente illegittimità della pretesa fatta valere nei confronti dei soci.

Il motivo è fondato.

La questione di fondo del presente motivo di ricorso attiene alla sussistenza o meno della legittimazione passiva della società I. s.r.l., la quale, a seguito della cancellazione dal registro delle imprese della società Agenzia R. s.r.l. in data 20 febbraio 2012, aveva ricevuto la notifica dell’avviso di accertamento quale socia della suddetta società.

La peculiarità della vicenda in esame deriva dal fatto che l’Agenzia delle entrate, essendo intervenuta in data 20 febbraio 2012 la cancellazione della società, aveva notificato in data 17 ottobre 2012, come detto, l’avviso di accertamento alla società I.  s.r.l. nella sua qualità di socia, ma, in data 15 febbraio 2013, la società Agenzia R. s.r.l. era stata dichiarata fallita.

Pertanto, al momento in cui è stato notificato l’avviso di accertamento a I.  s.r.I., la stessa era stata correttamente individuata quale soggetto passivo del debito tributario gravante sulla società Agenzia R. s.r.I..

Tale considerazione muove dall’applicazione del consolidato orientamento di questa Corte in ordine alle conseguenze che derivano sui rapporti originariamente facenti capo alla società estinta a seguito della cancellazione dal registro, ai sensi dell’art. 2495 cod. civ. (nel testo, applicabile nel caso di specie ratione temporis, risultante dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003).

In particolare, si è affermato il principio che, a seguito dell’estinzione della società, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l’obbligazione della società non si estingue ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali (Cass. Civ., 24 giugno 2021, n. 18260; Cass., Sez. U, 12 marzo 2013, n. 6070 e n. 6072).

A ciò va aggiunto, inoltre, che, in sede di accertamento, l’effettiva liquidazione e ripartizione dell’attivo e, prima ancora, ovviamente, la sua sussistenza, se costituisce fondamento sostanziale e misura, nonchè limite, della responsabilità di ciascuno dei successori, non può però anche ritenersi presupposto della assunzione, in capo al socio, della qualità stessa di successore e, correlativamente, della legittimità della notifica nei confronti del medesimo dell’atto impositivo.

Sul punto, deve seguirsi l’orientamento di questa Corte secondo cui i principi affermati dalle Sezioni Unite individuano sempre nei soci coloro che son destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all’esito della liquidazione, indipendentemente, dunque, dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione (Cass. civ., 7 aprile 2017„ n. 9094).

Ciò precisato, si pone, tuttavia, la questione se il successivo fallimento della suddetta società (entro l’anno dalla estinzione), intervenuto prima della instaurazione del giudizio di primo grado, possa avere rilievo ai fini della valutazione del venire meno della soggettività passiva di I.  s.r.l., profilo che implica l’esame del contenuto della previsione di cui all’art. 10, legge fallimentare, secondo cui: «Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo». In realtà, l’esatta portata della previsione normativa in esame e, soprattutto, l’incidenza della stessa ai fini della considerazione dell’eventuale venire meno della legittimità della pretesa fatta valere nei confronti del socio, a titolo successorio, dopo la estinzione della società ma prima della dichiarazione di fallimento, risulta chiarita dalla pronuncia di questa Corte a Sez. Un. 12 marzo 2013, n. 6070.

In particolare, con la suddetta pronuncia è stato precisato che il venire meno della capacità di stare in giudizio della società estinta, con conseguente necessità di interruzione del processo e successiva riassunzione o prosecuzione, trova una peculiare eccezione nella previsione di cui all’art. 10, legge fallimentare, «come tale destinata ad operare sono nello stretto ambito in cui il legislatore la ha prevista – con riguardo alla disciplina del fallimento. La possibilità, espressamente contemplata dalla L. Fall., art. 10, che una società sia dichiarata fallita entro l’anno dalla sua cancellazione dal registro comporta, necessariamente, che tanto il procedimento per dichiarazione di fallimento quanto le eventuali successive fasi impugnazione continuino a svolgersi nei confronti della società (e per essa del suo legale rappresentante), ad onta della sua cancellazione dal registro; ed è giocoforza ritenere che anche nel corso della conseguente procedura concorsuale la posizione processuale del fallito sia sempre impersonata dalla società e da chi legalmente la rappresentava (si veda, in argomento, Cass. 5 novembre 2010, n. 22547). E’ una fictio iuris, che postula come esistente ai soli fini del procedimento concorsuale un soggetto ormai estinto (come del resto accade anche per l’imprenditore persona fisica che venga dichiarato fallito entro l’anno dalla morte) e dalla quale non si saprebbero trarre argomenti sistematici da utilizzare in ambiti processuali diversi». Sicchè, la suddetta eccezione, che attribuisce, per fictio iuris, alla società estinta la legittimazione processuale, va considerata solo entro la specifica disciplina della procedura fallimentare, consentendo alla suddetta società di essere considerata parte processuale nel procedimento per dichiarazione di fallimento nonché nelle eventuali successive fasi impugnazione, senza che, tuttavia, da questo limitato ambito di applicazione possano derivare conseguenze anche in ambiti processuali diversi, qual è quello in esame.

In sostanza, il limitato ambito di applicazione della previsione di cui all’art. 10, legge fallimentare, non legittima la considerazione che il sopravvenuto fallimento della società estinta entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese comporti il venire meno della soggettività passiva del socio della società estinta e, correlativamente, della sua legittimazione processuale, essendo questo la “giusta parte” del processo instaurato avverso l’avviso di accertamento allo stesso correttamente notificato quale successore.

La pronuncia censurata, quindi, non è conforme ai suddetti principi, avendo erroneamente ritenuto che la previsione di cui all’art. 10, legge fallimentare, comporti una “reviviscenza” della società con effetti che andrebbero oltre il limitato ambito entro la quale la specifica previsione in esame, come visto, deve trovare applicazione, non potendosi ritenere che, invero, la medesima previsione abbia la finalità di ricostituire una legittimazione passiva tributaria della società, estinta e fallita entro l’anno, che, invero, in forza dell’art. 2495, cod. civ., è configurabile solo nei confronti dei soci, a titolo successorio.

Né può, per completezza, ritenersi che sia corretta la considerazione espressa dalla controricorrente nelle conclusioni scritte in ordine al difetto di integrità del contraddittorio sin dal primo grado di giudizio, per essere stato l’atto impositivo notificato alla sola società e non anche agli altri due soci.

Occorre, invero, distinguere tra il potere impositivo che può essere esercitato dall’amministrazione finanziaria a seguito della cancellazione ed estinzione della società di capitali e l’eventuale sopravvenienza, in corso di giudizio, dell’effetto estintivo della società.

Nel primo caso, cui è riconducibile la presente controversia, quel che si verifica è che, estintasi la società di capitali, s’instaura tra i soci medesimi, ai quali pertengono i diritti o i beni originariamente facenti capo alla società, un regime sostanziale di contitolarità o di comunione indivisa, onde anche la relativa gestione seguirà il regime proprio della contitolarità o della comunione.

In questo ambito, l’amministrazione finanziaria non è tenuta a notificare l’avviso di accertamento necessariamente nei confronti di tutti i soci, potendo la pretesa essere fatta valere nei confronti dell’uno o dell’altro socio, senza che si determini una questione di invalidità dell’avviso di accertamento ove lo stesso non sia stato notificato a tutti i soci, poiché ciascun socio è contitolare, anche sul piano degli obblighi tributari, della posizione giuridica passiva del rapporto obbligatorio facente prima capo alla società, sicchè il creditore può far valere nei confronti di ciascuno l’adempimento della prestazione divisibile già gravante sulla società, sebbene entro i limiti di cui all’art. 2495, cod. civ..

Problema diverso, invece, è quello in cui l’evento interruttivo si è verificato in corso di giudizio nel quale era parte la società, poiché è in questo caso soltanto che, invero, può porsi una questione di non integrità del contraddittorio ove non siano chiamati in giudizio tutti i soci della società estinta.

Invero, questa Corte ha più volte precisato, in aderenza a quanto affermato dalla Corte a Sez. Un. con la pronuncia sopra citata n. 6070/2013, che, qualora si tratti di un debito della società estinta, la successione interessa tutti i soci esistenti al momento della cancellazione della società dal registro delle imprese, posto che, per effetto dell’estinzione dell’ente senza che il debito sia stato definito in sede di liquidazione, essi sono tutti destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società. Ne consegue che sussiste un litisconsorzio di natura processuale che si delinea al momento in cui uno solo dei soci agisca per, ovvero sia convenuto in luogo della società estinta. E ciò senza che rilevi la circostanza che l’ex socio di società di capitali risponde solo entro i limiti della propria partecipazione. Invero il litisconsorzio sussiste proprio perché l’obbligazione di pagamento dei debiti sociali non è solidale, altrimenti non avrebbe ragion d’essere. Invece tutti soci debbono essere chiamati nel giudizio affinché possano interloquire, ciascuno quale successore della società estinta e ciascuno nei limiti della propria quota di partecipazione.

Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 24, d. Igs. n. 546/1997, per non avere pronunciato sulla eccezione da essa proposta di inammissibilità del motivo di appello, per novità della questione, con il quale la società aveva censurato la decisione di primo grado che aveva rigettato il motivo di ricorso con il quale la società aveva contestato la legittimità dell’atto impugnato in quanto emesso nei confronti della società I.  s.r.l. e non della società Agenzia R. s.r.l. che, sebbene estinta, era stata dichiarata fallita.

Le considerazioni espresse in relazione al primo motivo di ricorso hanno valore assorbente del presente motivo.

In conclusione, è fondato il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche ai fini della liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.