CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 luglio 2018, n. 19368
Tributi – Accertamento – Reddito di impresa – Accantonamento dell’indennità di fine mandato – Mancanza di atto con data certa antecedente l’inizio del rapporto – Indeducibilità – Rimanenze di merci – Principio di continuità dei valori di bilancio – Compensi agli amministratori delle società di capitali – Deducibilità
Fatti di causa
Con sentenza del 30.6.2010 la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 144/02/2007 della Commissione Tributaria Provinciale di Pescara, che aveva accolto il ricorso, proposto dalla società contribuente E. S.r.L., contro avviso di accertamento IVA IRPEG IRAP annualità 2001, sulla base dei seguenti rilievi: elementi positivi di reddito non dichiarati, rettifica delle giacenze iniziali e delle rimanenze finali, indeducibilità dei costi relativi a compensi corrisposti ai consiglieri di amministrazione, ad accantonamenti a titolo di TFM in favore dei medesimi consiglieri.
Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidato a quattro motivi.
Con il primo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., <<violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, o in subordine dell’art. 36, 2° c. n. 4 D.Lgs. n. 546/92 per carenza assoluta di motivazione>>.
Con il secondo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., <<violazione degli artt. 16, 1° c. lett. c), 70, 1° c., 59, 74 e 76 TUIR (versione ante 2004), nonché dell’art. 2697 c.c.>>.
Con il terzo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e 5 c.p.c., <<violazione degli artt. 1 e 4 DPR n. 477/97. Violazione degli artt. 2700 e 2730 c.c. – Omessa o comunque insufficiente motivazione e contraddittoria motivazione>>.
Con il quarto motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., <<violazione e falsa applicazione dell’art. 62, 3° c. TUIR>>.
La società contribuente si è costituita con controricorso, deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso principale ed ha, altresì, illustrato le proprie ragioni con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta che la CTR non avrebbe preso in considerazione gli argomenti svolti con l’appello relativi alla deducibilità dell’accantonamento dell’indennità di fine mandato (TFM) dei consiglieri di amministrazione della società contribuente ed alla riduzione delle giacenze iniziali.
1.2. La censura in esame è infondata, atteso che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (cfr. ex multis Cass. n. 24155/2017).
1.3. Nel caso in esame la CTR, confermando la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente anche relativamente ai suddetti rilievi mossi dall’Ufficio finanziario, ribadendone l’infondatezza, ha motivatamente disatteso tutti i motivi di censura dell’appellante relativi alla pronuncia impugnata.
2.1. È fondato il profilo del secondo motivo di ricorso relativamente alle censure circa l’affermata deducibilità degli accantonamenti del T.F.M. in favore dei consiglieri di amministrazione della società contribuente sulla base di delibera assembleare priva di data certa.
2.2. Questa Corte, in relazione ad vicende esattamente corrispondenti a quella odierna, ove, appunto sì dibatteva della deducibilità ai fini IRPEF ed IRAP quali componenti negativi di reddito degli accantonamenti effettuati dalla società in favore dei propri amministratori al fine del trattamento di fine mandato, ha già avuto modo di chiarire che il rinvio che l’art. 70, comma 3, TUIR nel testo vigente prima del D.lgs. 344/2003 opera all’art. 16, comma 1, lett. c) TUIR, è un rinvio pieno, nel senso che ai fini della deducibilità dei relativi accantonamenti si richiede che il diritto all’indennità risulti da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto.
2.3. Donde, considerata l’inesistenza di un pregresso c (da ritenersi tale, in caso di delibera assembleare, in via alternativa ed esemplificativa, in caso di redazione di verbale di assemblea da parte di un notaio, di estratto notarile del libro delle deliberazioni dell’assemblea, di autentica notarile delle firme dei soci sul verbale di delibera, di rituale notifica del verbale di delibera all’amministratore stesso, di registrazione della delibera dei soci presso l’Ufficio del Registro, o di invio all’amministratore con raccomandata di copia della delibera in plico senza busta, tutte ipotesi che pacificamente non ricorrono nell’odierna fattispecie), la massima, che il Collegio pienamente condivide e alla luce del quale occorre regolare anche il caso in disamina, secondo cui in tema di imposte sui redditi, e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’art. 70, terzo comma, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nello stabilire che le disposizioni dei precedenti commi secondo e terzo, concernenti la deducibilità degli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza dei personale dipendente, valgono anche per gli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui alle lettere c) del comma primo dell’art. 16 dello stesso t.u. – norma quest’ultima secondo la quale l’imposta si applica separatamente alle indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma secondo dell’art. 49, se il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto, opera un rinvio non ai soli fini dell’identificazione della categoria del rapporto sottostante cui si riferisce l’indennità (nel qual caso sarebbe stato sufficiente il rinvio al secondo comma dell’art. 49 – pure menzionato alla lettera c dell’art. 16 -, che individua appunto i redditi di lavoro autonomo, fra i quali rientra quello dell’amministratore), ma altresì ai fini della sussistenza delle condizioni richieste dalla stessa lettera c) dell’art. 16, e cioè che <<il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto>> (cfr. Cass. nn. 16788/2016, 18752/2014, 10959/2007).
2.4. E’ fondato anche il profilo del secondo motivo di ricorso con cui si lamenta che la CTR abbia erroneamente ritenuto legittima la maggiorazione forfettaria delle rimanenze in misura pari al 20% ai fini dell’accertamento del reddito della società per l’anno 2000.
2.5. Risulta sia stato contestato, dall’Ufficio, il valore delle rimanenze finali dell’annualità 2000 in relazione all’operata sottovalutazione delle rimanenze per l’anno di imposta 1999, con riguardo alla quale la contribuente deduce la sussistenza di un errore di ordine elaborativo – informatico che aveva impedito l’applicazione della maggiorazione ed a cui era stato posto rimedio con successiva dichiarazione integrativa ai sensi della legge 289/2002.
2.6. La valutazione delle rimanenze (cd. <<giacenze di magazzino>>), come noto, è un’operazione tecnico-contabile necessitata dall’esigenza di determinare periodicamente i risultati di un’attività imprenditoriale e si risolve nell’attribuzione di un valore alle stesse, previa rilevazione (conta fisica) delle giacenze effettive, che può essere compiuta utilizzando una pluralità di metodi tra loro alternativi.
2.7. Orbene, in materia di determinazione del reddito d’impresa, l’art. 59, cit. TUIR, nel testo vigente all’epoca (2000) cui si riferisce il presente giudizio, dispone, al comma 1, che <<le rimanenze finali … concorrono a formare il reddito per un valore … non inferiore a quello determinato a norma delle disposizioni che seguono >; quindi è stabilito, al comma 3 (relativamente agli esercizi successivi a quello in cui per la prima volta si siano formate) che, <<se la quantità delle rimanenze è aumentata rispetto all’esercizio precedente, le maggiori quantità … costituiscono voci distinte per esercizi di formazione>>; infine, il comma 6 dispone che <<le rimanenze finali di un esercizio nell’ammontare indicato dal contribuente costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo>>.
2.8. Il complesso di queste disposizioni fonda, in campo tributario, il cd. principio di continuità dei valori di bilancio, per cui le rimanenze finali di un esercizio costituiscono esistenze iniziali dell’esercizio successivo, e le reciproche variazioni – come meglio precisato dalla norma citata, dopo la suddetta modifica legislativa – <<concorrono>> a formare il reddito dell’esercizio (cfr. Cass. nn. 17298/2014; 11748/2008).
2.9. Quel che rileva, quindi, come punto di partenza del computo non è il primo anno di accertamento, bensì il primo esercizio in cui le rimanenze si verificano, anche se, in seno al giudizio tributario, a delimitare il perimetro della lite sono i dati che emergono dagli avvisi di accertamento (cfr. Cass. n. 3344/2013 in motivazione).
2.10. Orbene, la CTR ha annullato il recupero a tassazione derivante dalla rettifica delle rimanenze finali relative all’anno 2000 per adeguarle a quelle originariamente esposte nell’annualità 1999 senza tener conto che:
a) la società non aveva provveduto a fornire il prospetto previsto dall’art. 14, comma 1, della L. n. 289/2002 (<<Le società di capitali e gli enti equiparati, le società in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle ad esse equiparate, nonché le persone fisiche e gli enti non commerciali, relativamente ai redditi d’impresa posseduti, che si avvalgono delle disposizioni di cui all’articolo 8, possono specificare in apposito prospetto i nuovi elementi attivi e passivi o le variazioni di elementi attivi e passivi, da cui derivano gli imponibili, i maggiori imponibili o le minori perdite indicati nelle dichiarazioni- stesse; con riguardo ai predetti imponibili, maggiori imponibili o minori perdite non si applicano le disposizioni del comma 4 dell’articolo 75 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, e del terzo comma dell’articolo 61 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni. Il predetto prospetto è conservato per il periodo previsto dall’articolo 43, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e deve essere esibito o trasmesso su richiesta dell’ufficio competente>>), con conseguente irrilevanza, ai fini dell’accertamento in oggetto dell’intervenuto condono per l’annualità 1999;
b) non aveva in altro modo specificamente indicato la consistenza dei costi di produzione delle rimanenze in funzione della maggiorazione del 20 % del loro costo (<<i prodotti in corso di lavorazione e i servizi in corso di esecuzione al termine dell’esercizio sono valutati in base alle spese sostenute nell’esercizio stesso>>, art. 59, comma 5, TUIR vigente ratione temporis), essendosi limitata la contribuente, secondo quanto riportate dalla stessa CTR, a generiche dichiarazioni circa l’incidenza <<sui prodotti in corso di lavorazione del “costo del lavoro (con esclusione del personale amministrativo)” e delle “spese di fabbricazione (comprese quelle generali con esclusione delle commerciali di vendita)>>.
2.11. Ne consegue la ricorrenza della dedotta violazione di legge (art. 59, cit. TUIR), con riferimento al richiamato principio di continuità dei valori di bilancio, dal momento che – ferma restando la variazione delle rimanenze finali 1999 per effetto della dichiarazione integrativa ai fini del condono previsto dalla L. n. 289/2002 – analogo aumento del costo delle rimanenze finali 2000 non era possibile in quanto l’entità di dette rimanenze finali non era stata affatto giustificata.
2.12. Questa Corte ha invero reiteratamente affermato che <<nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova spetta all’amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, mentre grava sul contribuente l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri o a costi deducibili, ed in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa svolta>> (cfr. Cass. nn. 27043/2014; 22542/2014; 11205/2007), sicché una volta che l’ufficio abbia contestato l’attendibilità della posta, illustrando le ragioni <<per le quali quella voce debba considerarsi indeducibile>> (cfr. Cass. n. 7867/1997), <<scatta l’onere del contribuente di proporre elementi in senso contrario>> (cfr. Cass. n. 10148/2000), gravando su di lui <<l’onere della prova dell’esistenza e dell’inerenza>> (cfr. Cass. n. 27458/2013) dei costi portati in deduzione, da assolversi mediante l’allegazione dei <<fatti che vi danno luogo>> (16198/2001), all’uopo non risultando bastevole <<che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa>> (cfr. Cass. n. 21184/2014).
2.13. Disattendendo l’attendibilità della posta (aumento dei costi di produzione delle rimanenze) in ragione del fatto che non vi era una prova documentale della sua effettività, ovvero della composizione dei costi di produzione che avevano determinato la variazione in aumento del valore delle rimanenze, l’Ufficio aveva proceduto a contestare la legittimità dell’operata operazione contabile, dando idonea prova che essa non poteva considerarsi certa.
2.14. A fronte di questo sarebbe stato perciò onere probatorio della parte, nella dinamica distributiva che regola in questa materia il governo della prova in sede di accertamento, prima, ed in sede contenziosa, dopo, dare attendibile prova del contrario mediante l’allegazione degli idonei elementi di conoscenza documentale atti a comprovare che la maggiorazione del 20% del costo di produzione delle rimanenze era stata nella specie effettuata correttamente, in difetto del che l’impugnata sentenza, che ha ritenuto l’insussistenza di elementi positivi di reddito non dichiarati, pur in assenza di una prova attendibile circa la corretta e legittima <<valorizzazione delle rimanenze di magazzino al 31.12.2000 effettuata … con aumento del 20% del loro costo di esercizio>, risulta palesemente errata e carente di motivazione, meritevole perciò di cassazione.
3.1. E’ fondato anche il terzo motivo di ricorso.
3.2. Il d.p.r. n. 441 del 1997, <<regolamento recante norme per il riordino della disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto>> (a suo tempo regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53), all’art. 4, secondo comma, prevede che <<le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui alla lettera d) dell’articolo 14, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29-9-1973, n. 600, o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’ imposta oggetto del controllo>>.
3.3. Come osservato da questa Corte, <<la norma si riferisce alle cd. differenze inventariali ovvero a quelle differenze che si possono registrare nelle giacenze di magazzino tra le quantità dei beni iscritti nell’inventario annuale e quelle che si possono verificare in corso d’anno per effetto di cali fisici, errato utilizzo dei codici identificativi all’atto del carico e/o dello scarico, ammanchi, distruzioni e fatti analoghi, che l’imprenditore è autorizzato a far constare a mente del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 14, comma 1, lett. d), a voce del quale nelle scritture ausiliare di magazzino “possono inoltre essere annotati, anche alla fine del periodo d’imposta, i cali e le altre variazioni di quantità che determinano scostamenti tra le giacenze fisiche effettive e quelle desumibili dalle scritture di carico e scarico”. Ancorché, dunque, le variazioni nella consistenza del magazzino in questo caso non siano da porsi in relazione a finalità di evasione dell’imposta, in quanto esse, come comunemente si afferma, si connettono ad un fenomeno del tutto fisiologico nell’andamento dell’impresa, nondimeno il legislatore non per questo ha ritenuto che non dovesse trovare applicazione la presunzione di cessione più generalmente stabilita per i beni che non si rinvengono presso i luoghi in cui l’impresa svolga la propria attività o quelli ad essi assimilati, sicché in applicazione della norma più sopra citata anche per le differenze inventariali trova applicazione la presunzione anzidetta. E, dunque, trattandosi come questa Corte ha già avuto occasione di ribadire nel vigore del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53 – ma il principio è stato riaffermato anche con riguardo al D.P.R. n. 441 del 1997 (26477/14; 6663/14; 2845712) – di “presunzioni legali relative, annoverabili tra quelle cosiddette “miste”, che consentono, cioè, la dimostrazione contraria da parte del contribuente, ma unicamente entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova ivi tassativamente prefigurati e stabiliti ad evidenti fini antielusivi” (21517/05), è onere della parte provare che la contrazione registratasi nella consistenza del magazzino non sia frutto di cessioni o acquisizione non contabilizzate, prova che, come pure ricordato, non può essere data con qualunque mezzo, ma solamente con le prove tassativamente indicate dagli artt. 1 e 2 del citato D.P.R. (13210/12)>> (cfr. Cass. n. 10915 del 2015, in motivazione; conf, Cass. n. 377 del 2016) e, dunque, soltanto se il contribuente dimostri che i beni non rinvenuti <<sono stati impiegati nella produzione, perduti o distrutti>> (art. 1, comma 20 , lett. b) ovvero <<sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito, comodato o in dipendenza di contratti estimatori, di contratti di opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o altro titolo non traslativo della proprietà>> (lett. b) e sempre che la perdita – dovuta anche ad eventi fortuiti, accidentali e non imputabili a volontà del contribuente – sia attestata da documentazione o dichiarazione sostitutiva di notorietà, trasmessa entro trenta giorni dall’evento ad un organo della PA, ovvero la cessione gratuita o la distruzione o trasformazione dei beni sia comunicata nel breve termine di cinque giorni alla Guardia di Finanza (cfr. Cass. n. 13120 del 2012; id. n. 377 del 2016).
3.4. Risulta, quindi, evidente l’errore nel quale è incorsa la CTR laddove ha escluso l’operatività nella fattispecie della presunzione legale, di cui si è detto, sul rilievo che le differenze inventariali fossero giustificate dalla <<contabilizzazione con il metodo della commessa>>, ritenuto <<attendibile in quanto trattasi di prodotti in corso di lavorazione che proprio perché tali non potevano essere ceduti se non si concludeva il ciclo produttivo>>, con motivazione, adottata dalla CTR per negare ogni rilevanza all’assunto dell’Ufficio, che si rivela anche manifestamente lacunosa.
3.5. Le riportate argomentazioni, invero, non possono costituire elementi di valutazione idonei a superare la presunzione legale di cessione e di acquisto di beni senza fattura posta dall’art. 4 d.p.r. n. 441 del 1997, <<atteso che la presunzione di cessione di cui al D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1 e 3 non trova in ciò alcuna limitazione quanto al campo della sua efficacia, con la conseguenza che essa è pienamente operante nei suoi risvolti impositivi se il contribuente non si offra di superarla nei modi consentiti>> (cfr. Cass. n. 10915 del 2015) dagli arti. 1 e 2 del d.p.r. n. 441 del 1997, tra i quali non è possibile annoverare gli elementi nella specie utilizzati dal giudice di appello, il quale, pertanto, in sede di rinvio (a seguito di cassazione della sentenza gravata per l’accoglimento del motivo in esame), in applicazione dei suddetti principi, dovrà accertare se la società verificata abbia superato la presunzione legale di cessione con le modalità probatorie prescritte dalle disposizioni da ultimo citate.
4.1. E’ infondato il quarto motivo di ricorso, con cui l’Agenzia sì limita a lamentare che la CTR avrebbe ammesso la deducibilità dei compensi corrisposti ai consiglieri di amministrazione della società contribuente, pur trattandosi di società di capitali e non di società dì persone.
4.2. In tema di reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 62, comma 3, richiamato dal successivo art. 95, comma 1, vigenti “ratione temporis”, risultano infatti deducibili anche i compensi spettanti agli amministratori delle società di capitali (cfr. 9036/2013, 3243/2013).
5. Sulla base di tutte le considerazioni che precedono il ricorso dell’Agenzia delle Entrate va accolto limitatamente al secondo ed al terzo motivo, respinti gli altri, sicché la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR dell’Abruzzo, in diversa composizione, che provvederà ad applicare i superiori principi ed anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate limitatamente al secondo ed al terzo motivo, respinti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, in diversa composizione, che provvederà a regolare anche le spese del giudizio di legittimità.
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