CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 luglio 2022, n. 22778
Lavoro – Somministrazione – Trasformazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Esclusione – Diritto al percorso di stabilizzazione mediante stipulazione di un contratto a termine – Mutatio libelli
Fatto
1. Con sentenza del 2 novembre 2017, la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato l’appello di M.D.V. avverso la sentenza di primo grado, di reiezione delle sue domande: a) di riconoscimento del diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro somministrato svolto presso la B. s.r.l. in rapporto di lavoro a tempo indeterminato in forza dell’Accordo Quadro sulla Competitività stipulato il 7 gennaio 2013 tra la predetta società, P. s.r.l. e le OO.SS.; b) di riconoscimento del diritto alla stipulazione di un contratto di apprendistato stabilizzante (avendo concluso il primo contratto di somministrazione prima del 31 maggio 2010) ovvero di un contratto a termine (avendo superato con il rapporto di lavoro somministrato la soglia dei 36 mesi), quali percorsi di stabilizzazione del personale somministrato previsti dal citato Accordo Quadro con “l’obiettivo di non disperdere le competenze sviluppate nel corso degli anni”; c) in via ulteriormente gradata, di nullità dell’apposizione del termine a tutti i contratti di lavoro, in successione dal primo (del 28 settembre 2009) all’ultimo (del 7 dicembre 2011 prorogato fino al 24 aprile 2013) senza indicazione delle ragioni di carattere organizzativo, tecnico, produttivo o sostitutivo, né rispetto dei limiti quantitativi previsti dall’art. 10, settimo comma d.lgs. 276/2003.
2. In via preliminare, essa ha dato atto della devoluzione delle sole domande di riconoscimento del diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro somministrato svolto presso la B. s.r.l. in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, in subordine, del diritto al percorso di stabilizzazione mediante stipula di un contratto a termine, ove necessario al completamento di 36 mesi di lavoro per attuare le finalità di non disperdere il bagaglio di competenze presenti in azienda, acquisite nel corso degli anni, con condanna della società alla conversione con la sua decorrenza dal giugno 2013 o, in subordine ulteriore, dalla stipula del contratto di durata fino al compimento di 36 mesi di servizio, con condanna della medesima alla riammissione in servizio e al pagamento delle retribuzioni maturate fino all’effettiva riassunzione o al risarcimento del danno pari all’importo delle retribuzioni spettanti in misura di giustizia.
3. Essa ha inoltre ritenuto fondata l’eccezione della società di mutatio libelli in relazione alla domanda subordinata di diritto al percorso di stabilizzazione mediante stipulazione di un contratto a termine, ove necessario per il completamento di 36 mesi di lavoro, così da attuare la finalità di non disperdere il bagaglio di competenze presenti in azienda acquisite nel corso degli anni.
4. In ordine alla domanda di accertamento del diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro somministrato a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la Corte aquilana ha escluso l’assunzione di un obbligo da parte di B. s.r.l., quanto piuttosto di un impegno “a contrattualizzare un massimo di 50 unità riservandosi discrezionalità nell’assunzione (“gradimento”)”.
4.1. In particolare, essa ha ritenuto: irrilevante la maturazione dei 36 mesi di servizio con contratti di somministrazione non continuativi, per la previsione dall’Accordo Quadro di acquisizione del diritto all’assunzione dei lavoratori, che avessero prestato attività, presso la stessa azienda anche con mansioni equivalenti, per un periodo di lavoro complessivo superiore a 66 mesi, anche non consecutivi, delle tipologie contrattuali sia di lavoro a tempo determinato, sia di somministrazione a tempo determinato (requisito non in possesso dell’appellante); inapplicabile la conversione ai contratti con scadenza nell’anno 2013; la necessaria vigenza del rapporto di lavoro al momento della conversione, così dovendo essere intesa la “trasformazione” del rapporto (nel settembre 2013): non riguardando pertanto il predetto, per la scadenza del suo contratto il 24 aprile 2013, in epoca anteriore alla trasformazione.
5. Infine, “solo per completezza”, la Corte territoriale ha verificato il rispetto, da parte della società, dell’obbligo di stabilizzazione di 50 unità al massimo.
5. Con atto notificato il 2 maggio 2018, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui la società ha resistito con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
6. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel senso dell’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. In via preliminare deve essere esclusa (rinunciata l’iniziale eccezione dalla società controricorrente con la memoria finale; trattandosi comunque di verifica in via officiosa) l’inammissibilità del ricorso, per tardività della sua notificazione telematica in orario successivo alle ore 21 dell’ultimo giorno valido (2 maggio 2018).
1.1. Essa è infatti tempestiva, per essere la ricevuta di accettazione stata generata prima delle ore 21: in applicazione anche in questa ipotesi del principio di scissione soggettiva degli effetti della notificazione, conseguente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale, con la sentenza della Corte costituzionale n. 75 del 2019, dell’art. 16-septies d.l. 179/2012, conv. con mod. nella l. 221/2012, nella parte in cui prevedeva che la notificazione eseguita con modalità telematiche, la cui ricevuta di accettazione sia generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24, si perfezioni per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento della generazione (Cass. 21 febbraio 2020, n. 4712).
2. Con i primi tre motivi il ricorrente deduce: nullità della sentenza per mancanza di motivazione e violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. e in subordine per violazione di legge ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.; quindi, motivazione apparente, perplessa e obiettivamente incomprensibile integrante violazione di legge ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.; infine, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, integrante errore di motivazione sul fatto. Tutti vertono sull’accoglimento dell’eccezione di mutatio libelli, per un’acritica adesione della Corte aquilana all’eccezione della società appellata,avendo il lavoratore in primo grado proposto la domanda ritenuta modificata in appello, come risultante dalle rispettive conclusioni nei due gradi di merito riportate, sulla base del primo comma, punto f) e del secondo comma e negli ulteriori passaggi dell’Accordo Quadro (illustrati dal penultimo capoverso di pg. 11 al primo periodo di pg. 13 e ancora ai primi due capoversi di pg. 14 del ricorso), in realtà avendo ridotto (e non, come erroneamente ritenuto, modificato) la domanda di accertamento del diritto di stabilizzazione dei contratti di somministrazione.
Egli si duole per l’erroneità delle argomentazioni della sentenza impugnata (esposte alla sua pg. 5), puntualmente trascritte (ai p.ti a – h, di pgg. 17 e 18 del ricorso), non condividendole “poiché ciascuna di esse e nella loro totalità sono gravemente antigiuridiche per vizi in procedendo e in iudicando” (così al secondo capoverso di pg. 18 del ricorso).
3. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.
4. Non sussistono i vizi denunciati di motivazione né apparente, né perplessa e obiettivamente incomprensibile. Tale è, infatti, una motivazione che, sebbene graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie ipotetiche congetture (Cass. 23 maggio 2019, n. 13977; Cass. 1 marzo 2022, n. 6758).
La Corte territoriale ha anzi adeguatamente argomentato in proposito (al primo capoverso di pg. 5), in riferimento alle conclusioni del lavoratore (specificamente riportate al primo periodo di pg. 2 e al primo periodo di pg. 3 della sentenza).
Ma neppure si configura l’omesso esame denunciato: non trattandosi, in realtà, di un fatto storico secondo la previsione del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053), quanto piuttosto di una valutazione giuridica in ordine alla ricorrenza o meno di una mutatio libelli.
4.1. D’altro canto, la domanda formulata dal lavoratore in grado di appello, di accertamento del proprio diritto al percorso di stabilizzazione mediante stipula di contratto a termine, ove necessario per “il completamento di 36 mesi di lavoro”, è obiettivamente diversa rispetto a quella originaria di riconoscimento del diritto alla stipulazione di un contratto a termine “(avendo superato” con il rapporto di lavoro somministrato “la soglia dei 36 mesi)”, quale percorso di stabilizzazione del personale somministrato.
Sicché, essa costituisce una modificazione della domanda, posto che esorbita dai limiti di una consentita emendatio libelli il mutamento, come appunto nel caso di specie, della causa petendi che consista in una vera e propria modifica dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, tale da introdurre nel processo un tema di indagine e di decisione nuovo perché fondato su presupposti diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo del giudizio, così da porre in essere una pretesa diversa da quella precedente (Cass. 7 luglio 1978, n. 3409; Cass. 12 dicembre 2018, n. 32146).
5. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 5, comma 4bis d.lgs. 368/2001, violazione e falsa applicazione degli artt. 66 CCNL richiamato nell’Accordo Quadro, 1362 ss. c.c., per illegittimità della previsione contrattuale, ai fini del diritto alla trasformazione del rapporto da contratto di somministrazione a tempo determinato a contratto di lavoro a tempo indeterminato, del requisito di oltre 66 mesi, anche non consecutivi, di periodi di lavoro con contratti di lavoro sia a tempo determinato sia di somministrazione a tempo determinato. Essa si pone, infatti, in contrasto con l’art. 5, comma 4bis citato, che stabilisce per la conversione del rapporto il limite massimo di trentasei mesi; dolendosi poi il lavoratore della ritenuta inapplicabilità della conversione nei propri confronti, essendo egli (per la cessazione il 24 aprile 2013 del suo ultimo contratto di lavoro in somministrazione) in servizio al momento della conversione (nell’anno 2013) e della negata trasformazione del contratto di somministrazione in contratto a tempo indeterminato, da parte della Corte territoriale, sul rilievo di esclusione di un obbligo, contenuto nell’Accordo Quadro sulla competitività, di completamento a tali fini del periodo di trentasei mesi, basato sull’erronea interpretazione della clausola di pg. 10 dell’Accordo medesimo, esigente per la conversione un periodo di lavoro somministrato complessivamente superiore a 36 mesi; infine, egli censura di infondatezza, per violazione dell’art. 24 Cost, i rilievi finali di “mancata contestazione della gestione ed attuazione dell’accordo sindacale” e di “carenza di diritto e legittimazione a lamentarsi”.
6. Esso è inammissibile.
7. La questione è infatti nuova, non essendo stata trattata nella sentenza impugnata, né avendo il ricorrente allegato, come invece avrebbe dovuto per non incorrere nella inammissibilità della censura, la sua avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito e neppure indicato, in virtù del principio di specificità prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c. sotto il profilo dell’autonomia del ricorso (interpretata alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU 28 ottobre 2021, S. e altri c. I.: Cass. 4 marzo 2022, n. 7264; Cass. 18 marzo 2022, n. 8950), in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto: giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; Cass. 9 agosto 2018, n. 20694).
Ed infatti, per la prima volta nell’odierna sede di legittimità, il lavoratore, che ha fondato la propria pretesa sull’Accordo Quadro sulla Competitività stipulato il 7 gennaio 2013 tra B. s.r.l., P. s.r.l. e le OO.SS., ne ha denunciato la violazione dell’art. 5, comma 4bis d.lgs. 368/2001: peraltro, espressamente inapplicabile al contratto di somministrazione a tempo determinato, in quanto disciplinato dalle norme del contratto di lavoro a tempo determinato, “nei limiti di compatibilità”, a norma dell’articolo 22, secondo comma d.lgs. 276/2003 (che recita: “In caso di somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n.368, per quanto compatibile, e in ogni caso con esclusione delle disposizioni di cui all’articolo 5, commi 3 e seguenti. … “). E pertanto regolato dai principi della Direttiva n. 1999/70/CE, appunto sul lavoro a termine e non della Direttiva n. 2008/104/CE riguardante invece la disciplina prevista dal lavoro in somministrazione, sul cui art. 5, quinto comma sono recentemente intervenute, in via interpretativa di conformità al diritto eurounitario, le sentenze della Corte di Giustizia UE 14 ottobre 2020, in causa C-681/2018, JH c. KG e 17 marzo 2022, in causa C-232/20, D.: prive ovviamente di rilevanza nel caso di specie.
8. Dalle argomentazioni sopra svolte discende allora il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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