CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 marzo 2018, n. 6896
Licenziamento disciplinare – Rifiuto a recarsi in trasferta – Rifiuto sistematico e pervicace delle trasferte – Specifica previsione nel contratto di lavoro individuale – Disponibilità alle trasferte periodiche quale elemento essenziale della prestazione lavorativa – Sussiste
Fatti di causa
Con ricorso al Tribunale di Foggia, D.N., operaio alle dipendenze della I. s.r.l. dal 20/11/2000, conveniva in giudizio la società per sentir accertare l’illegittimità del licenziamento intimatogli in data 18/10/2005. Il Tribunale accoglieva la domanda rilevando che rispetto ai fatti contestati (e cioè al rifiuto a recarsi in trasferta presso il cantiere di Pescara), espunta ogni valutazione in ordine a due episodi precedenti dello stesso tipo non formalmente contestati, la sanzione del licenziamento fosse nel complesso sproporzionata. Proposta impugnazione da parte della società, la Corte d’appello di Bari, in riforma della decisione di primo grado, riteneva, al contrario, giustificato il licenziamento. Al riguardo sottolineava, sulla base dell’esito di una disposta c.t.u., che le condizioni fisiche del lavoratore, addotte a sostegno del rifiuto di recarsi in trasferta, non fossero risultate tali da impedirgli l’allontanamento dal nucleo familiare per la durata della trasferta.
Evidenziava, inoltre, che, sia pure in modo generico, la recidiva fosse stata contestata dalla società al dipendente così da provocarne il contraddittorio in sede disciplinare e comunque riteneva che il pregresso comportamento (ancorché non contestato e sanzionato) rilevasse ai fini della valutazione complessiva della gravità dell’inadempienza. Sosteneva che, pur se l’art. 18 (rectius 17) del c.c.n.I. settore legno prevedeva la sanzione conservativa in caso di trasgressione all’osservanza delle norme di cui al medesimo contratto o di commissione di atti in pregiudizio alla disciplina, alla morale, all’igiene, al puntuale andamento del lavoro e pur se ai sensi della lett. h) dell’art. 19 (rectius 18) del medesimo c.c.n.I. il licenziamento poteva scattare solo in caso di recidiva in una qualunque delle mancanze contemplate dall’art. 18 (rectius 17) ‘quando siano stati comminati almeno due provvedimenti di sospensione’, nella specie i comportamenti contestati al N. fossero connotati da particolare gravità. Ciò specie alla luce del contratto di assunzione e dell’espressa clausola di accettazione della disponibilità a trasferte periodiche presso cantieri esterni, trasferte che, pertanto, rappresentavano un elemento essenziale della prestazione lavorativa.
Contro la sentenza di appello ricorre D.N. con sei motivi.
La società è rimasta intimata.
Non sono state depositate memorie.
Ragioni della decisione
1. Occorre preliminarmente rilevare che la notifica del ricorso per cassazione è stata effettuata all’avv. S.V.M. che, per quanto si rileva dal ricorso (pag. 5), avrebbe sostituito l’originario difensore della I. s.r.l., avv. V.A. (pag. 5 del ricorso). Nella sentenza impugnata è, però, indicato quale difensore dell’appellante, l’avv. A..
Questa Corte non dispone degli atti non essendo stato acquisito il fascicolo d’appello.
Tuttavia, per quanto si evidenzierà ai punti che seguono circa l’infondatezza del ricorso, superflua è la fissazione di un termine per l’acquisizione del fascicolo e l’eventuale rinnovazione della notifica, nell’ipotesi di nullità di quella già effettuata, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (cfr. Cass. 17 giugno 2013, n. 15106; Cass. 30 ottobre 2013, n. 24540; Cass., Sez. U., 22 marzo 2010, n. 6826; Cass. 19 agosto 2009, n. 18410).
2.1 Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del c.c.n.I. settore legno, sughero, mobile, arredamento e boschivi forestali del 21/11/1999 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.). Assume che la sentenza impugnata è fondata sull’erroneo presupposto che il lavoratore avesse l’obbligo di prestare lavoro in trasferta. Rileva che proprio la lettera di assunzione ed il riferimento ivi contenuto tanto alla ‘disponibilità’ del lavoro in trasferta quanto al rispetto delle procedure (collettive) correnti escludano tale obbligo. Sostiene che limiti al potere datoriale di variare il luogo di esecuzione, in via temporanea e nel rispetto dell’ultima parte dell’art. 2103 cod. civ., si ricavino dal c.c.n.I. che, nella nota a verbale dell’art. 9 (della regolamentazione per gli operai), prevede, in relazione al maggiore impegno e gravosità del lavoro in trasferta, la possibilità di intese particolari, locali e aziendali, in rapporto al variare delle situazioni in atto.
Il motivo è inammissibile nella parte in cui il rilievo si fonda anche sulla ‘lettera del contratto di assunzione’ senza che di tale documento sia trascritto il contenuto ovvero sia indicata la sede del giudizio di merito in cui lo stesso venne prodotto.
Inoltre l’interpretazione della clausola negoziale doveva essere censurata con la violazione delle regole ermeneutiche, cosa che nella specie non è avvenuta.
Per il resto si osserva che il richiamo alla disposizione del c.c.n.I. è inconferente rispetto al decisum.
Ed infatti la Corte d’appello non ha posto a fondamento della decisione la violazione di un obbligo di trasferta oggetto di una predeterminata previsione negoziale collettiva (e dunque non c’è il lamentato ‘falso presupposto’) quanto piuttosto l’ingiustificatezza di un rifiuto sistematico e pervicace delle trasferte che avevano formato oggetto di specifica previsione nel contratto individuale (pag. 12 della sentenza ed il riferimento all’espressa clausola secondo cui: ‘l’accettazione della sua posizione, in relazione alla sua qualifica, implica la sua disponibilità per il periodo di validità del presente contratto, alle trasferte periodiche nei nostri cantieri esterni nel rispetto delle procedure correnti’) e rappresentavano un elemento essenziale della prestazione lavorativa. Così ha ricondotto tale comportamento alla generale violazione delle disposizioni impartite dall’imprenditore (artt. 2086 e 2104 cod. civ.). Significativo è il passaggio della sentenza in cui è evidenziato che l’attività dell’azienda fosse pacificamente espletata su scala internazionale e che il comportamento addebitato ben avrebbe potuto rientrare nell’alveo dell’art. 18, co. 2, lett. a) del c.c.n.I. (insubordinazione ai superiori) o dell’art. 18 co. 1 (gravi infrazioni alla disciplina ed alla diligenza del lavoro).
Si consideri, peraltro, che, come da questa Corte già affermato, la trasferta si distingue dal trasferimento in quanto è caratterizzata dalla temporaneità dell’assegnazione del lavoratore ad una sede diversa da quella abituale, nell’interesse e su disposizione unilaterale del datore di lavoro, essendo irrilevante che egli abbia manifestato la propria disponibilità e che svolga mansioni identiche a quelle espletate presso l’abituale sede di lavoro (cfr. Cass. 27 novembre 2002, n. 16812; Cass. 25 ottobre 2001, n. 13193).
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 18, co. 2, lett. a), del c.c.n.l. settore legno, sughero, mobile, arredamento e boschivi forestali del 21/11/1999 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.). Sostiene, riproponendo le argomentazioni di cui al primo motivo, che, non sussistendo un obbligo di trasferta, non possa esservi insubordinazione.
Il motivo è infondato per le stesse ragioni illustrate con riguardo al primo motivo.
Nella specie l’insubordinazione non è stata senz’altro ricollegata alla violazione di un obbligo specificamente previsto ma al ripetuto ed ingiustificato contravvenire del lavoratore alle direttive organizzative aziendali a fronte di una disponibilità alle trasferte che, in ragione delle caratteristiche dell’attività svolta dalla società, costituiva un elemento essenziale della prestazione lavorativa. Era tale disponibilità manifestata già all’atto dell’assunzione che, in uno con l’esigenza di espletamento dell’attività su scala internazionale e con cantieri esterni – circostanza, questa, non in contestazione -, legittimava la richiesta datoriale.
Si aggiunga, quanto alla lamentata violazione delle procedure negoziali previste dall’art. 9 del c.c.n.I. (già oggetto di censura in sede di primo motivo) ed alla evidenziata adozione del provvedimento di licenziamento quando tali procedure negoziali erano ancora in corso, che il rilievo è inammissibile non evincendosi dalla sentenza che la relativa questione sia stata posta dal lavoratore né avendo il ricorrente spiegato quando ed in che termini ciò sia avvenuto (cfr. Cass. 2 settembre 2014, n. 18523).
2.3 Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 3 della Cost. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.). Sostiene che il fatto attribuito e le giustificazioni addotte denotassero una speciale tenuità dell’addebito e censura la sentenza impugnata per la non corretta applicazione del principio costituzionale di proporzionalità.
Il motivo è inammissibile nella parte in cui fa riferimento a risultanze del giudizio di merito ed a circostanze fattuali che non emergono dalla sentenza impugnata e rispetto alle quali il rilievo è privo della necessaria specificazione.
La valutazione della condotta del dipendente è stata correttamente compiuta tenendo conto dell’incidenza della stessa sul vincolo fiduciario (considerate anche le pregresse analoghe inadempienze), delle esigenze poste dall’organizzazione produttiva e delle finalità delle regole di disciplina postulate da detta organizzazione.
Del resto ai fini della proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione inflitta rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante in tal senso la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza (cfr. Cass. 24 novembre 2016, n. 24023; Cass. 16 ottobre 2015, n. 21017; Cass. 4 marzo 2013, n. 5280; Cass. 13 febbraio 2012, n. 2013).
2.4 Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 18, co. 2, lett. a), del c.c.n.I. settore legno, sughero, mobile, arredamento e boschivi forestali del 21/11/1999 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.). Lamenta che, nella specie, sia stata ritenuta sussistente la recidiva con riguardo a precedenti addebiti non contestati.
Il motivo non si confronta con il decisum.
Nella specie, infatti, la Corte territoriale non ha fatto riferimento ai precedenti comportamenti del dipendente per ritenere integrata la fattispecie del c.c.n.I. prevedente espressamente la possibilità del licenziamento (due recidive e due sospensioni) ma per una autonoma valutazione della complessiva gravità della condotta, sotto il profilo psicologico delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità, o meno, del correlativo provvedimento sanzionatorio dell’imprenditore (si veda, sulla legittimità della considerazione anche di fatti non contestati quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti a base del licenziamento, al fine della valutazione della complessiva gravità, Cass. 9 giugno 2017, n. 14453).
2.5 Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.). Lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto di far applicazione della disciplina generale in tema di giusta causa e giustificato motivo soggettivo pur di fronte ad un licenziamento disciplinare e di una contrattazione collettiva regolante le mancanze sanzionabili e le relative sanzioni.
Il motivo propone una lettura dell’art. 2119 cod. civ. ‘in abbinamento con le disposizioni del contratto sulle sanzioni disciplinari’ senza tuttavia specificare da quale di tali disposizioni per la medesima infrazione (valutata come grave in sé, a prescindere da una recidiva formalmente contestata) sarebbe stata prevista una sanzione meno grave del licenziamento.
E’ invero solo richiamato un passaggio motivazionale della sentenza impugnata in cui, al contrario, è evidenziato come il licenziamento per insubordinazione ingiustificata sarebbe potuto rientrare nell’alveo della previsione di cui all’art. 18, lett. a) del c.c.n.I. o comunque in quella di cui al primo comma della medesima disposizione il quale correla, in chiave generale, in sintonia con la previsione legale di cui all’art. 2119 cod. civ., la fattispecie del licenziamento per mancanze alle ‘gravi infrazioni alla disciplina ed alla diligenza del lavoro’.
Ed allora nessun rilievo può essere mosso alla Corte territoriale che, valutato il comportamento del N. in termini di plateale contravvenzione alle direttive organizzative aziendali e dunque attribuito allo stesso una connotazione di grave inadempienza alle obbligazioni contrattuali e di lesione del vincolo fiduciario, ne ha correttamente verificato la rispondenza tanto alla previsione legale quanto alla tipizzazione della contrattazione collettiva (previsione generale di cui all’art. 18, primo comma ed ipotesi esemplificativa di cui alla successiva lett. a).
2.6 Con il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7, co. 1, della I. n. 300/1970 nonché omesso esame di un fatto decisivo del giudizio. Lamenta che la Corte territoriale avrebbe omesso del tutto di verificare l’adempimento dell’onere di affissione del codice disciplina da parte della società.
Il motivo è inammissibile.
Non si evince se la questione sia stata posta in primo grado e riproposta in sede di costituzione in appello.
3. Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.
4. Nulla va disposto in ordine alle spese processuali non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
5. La circostanza che il ricorrente risulti ammesso a beneficiare del gratuito patrocinio lo esonera, allo stato, dal versamento dell’ulteriore somma dovuta ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, co. 1 – quater, a titolo di contributo unificato (cfr. Cass. 25 novembre 2014, n. 25005 e Cass. 2 settembre 2014, n. 18523).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 – quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza, allo stato, dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
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