CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 ottobre 2020, n. 22728
Tributi – Accertamento – Plusvalenza tassabile derivante dalla cessione di un immobile – Determinazione – Valore risultante da definizione agevolata effettuata dall’acquirente ex art. 11, Legge n. 289 del 2002 – Illegittimità
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 150/38/13 della CTR della Lombardia, depositata il 25/09/2013, veniva confermato il rigetto del ricorso proposto dai contribuenti, contro l’avviso di accertamento n. R1P019I01569/2009, ad essi notificato il 29/12/2009 in qualità di eredi di C. B., con il quale veniva recuperato a tassazione una maggiore IRPEF relativa all’anno 2002 (pari ad € 36.444,00 oltre interessi), a titolo di plusvalenza relativa alla vendita di un terreno, ceduto al prezzo di € 113.620,00.
A seguito della mancata indicazione nella dichiarazione del redditi della plusvalenza conseguente a tale cessione, l’Agenzia delle entrate aveva infatti accertato la maggiore imposta, dopo aver notificato il questionario n. Q00339/07 del 31/08/2007, in risposta al quale la de cuius aveva depositato documentazione, ritenuta tuttavia incompleta. L’Agenzia assumeva quale corrispettivo l’importo di € 142.026,00, determinato a seguito di definizione agevolata, effettuata dall’acquirente ai sensi dell’art. 11 l. n. 289 del 2002, a definizione del procedimento di rettifica dell’imposta di registro avviato nei soli suoi confronti, e determinava la plusvalenza, pari all’intero valore come sopra determinato, senza dedurre né il costo iniziale né di costi incrementativi. Con riferimento a tale contestazione i ricorrenti presentavano istanza di accertamento con adesione, la cui procedura si concludeva senza alcun riscontro da parte dell’Ufficio, sicché, notificato l’avviso di accertamento, proponevano ricorso avverso quest’ultimo, che veniva rigettato in primo e in secondo grado, nel contraddittorio con l’Agenzia delle entrate.
Avverso la sentenza della CTR i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è difesa con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata con riferimento all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., per omessa pronuncia circa la dedotta violazione dell’art. 7, comma 1, l. n. 212 del 2000, formulata sin dal primo grado di merito, non essendo stato allegato all’avviso di accertamento impugnato né l’atto di rettifica dell’imposta di registro relativo alla compravendita sopra menzionata, notificato al solo acquirente, né l’atto di definizione agevolata, di cui si era avvalso quest’ultimo, che l’Ufficio aveva posto a base della valutazione della plusvalenza contestata.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’illegittimità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, discusso tra le parti (nuova formulazione), o in alternativa per insufficiente motivazione (formulazione previgente, ove ritenuta applicabile al processo per cassazione in materia tributaria), per omessa valutazione del costo di acquisto del terreno rivenduto e degli ulteriori costi dedotti e documentati, che dimostravano l’assenza di alcuna plusvalenza.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce, in via gradata, la violazione dell’art. 38, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per avere la CTR attribuito rilevanza, ai fini della determinazione del valore del bene compravenduto, alla definizione agevolata, effettuata dall’acquirente con riferimento all’imposta di registro, effettuata non in contraddittorio con l’alienante e comunque inerente al valore di mercato del bene e non al prezzo effettivamente conseguito, rilevante ai fini dell’imposta di registro ma non ai fini IRPEF.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce, sempre in via gradata, la violazione dell’art. 68, comma 2, d.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per avere la CTR ritenuto corretta la tassazione a titolo di plusvalenza l’intero valore del terreno, senza considerare il costo sostenuto dall’alienante quando l’ha acquistato e le spese inerenti.
2. Il primo motivo di ricorso deve essere respinto, per i motivi che vengono di seguito evidenziati.
Si deve precisare che, dagli atti, risulta che i ricorrenti avevano prospettato già in primo grado la censura di cui all’art. 7 l. n. 212 del 2000, riproposta in appello, in relazione alla quale nessuna statuizione risulta adottata dalla CTR, sebbene si trattasse di questione che astrattamente avrebbe potuto determinare una diversa statuizione di merito.
Tuttavia, questa Corte ha più volte, e condivisibilmente, affermato che, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzati nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito, ove si tratti di questione che richiede ulteriori accertamenti in fatto, quando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello, determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito (così Cass., Sez. 5, n. 16171 del 28/06/2017 e Cass., Sez. 5, n. 9693 del 19/04/2018, nonché Cass., Sez. 2, n. 2313 del 01/02/2010).
Tale evenienza si verifica nel caso di specie.
È noto che, secondo l’art. 7 l. n. 212 del 2000, «Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama».
La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare all’avviso di accertamento gli atti indicati nello stesso deve essere inteso in relazione alla finalità di integrare le ragioni, che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo, ai sensi dell’art. 3, comma 3, l. n. 241 del 1990, sicché detto obbligo riguarda i soli atti che non sono stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso, con esclusione peraltro di quelli a cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, potranno poi essere utilizzati ai fini della prova della pretesa impositiva (così Cass., Sez. 5, n. 24417 del 05/10/2018). Inoltre, il disposto dell’art. 7 l. n. 212 del 2000 deve essere interpretato alla luce dell’intero sistema in cui si inserisce, tenendo in particolare presente, oltre al principio del raggiungimento dello scopo, anche il disposto dell’art. 10 l. n. 212 del 2000, ove è stabilito che «I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede». Pertanto, alla luce del principio di ragionevolezza, espresso dall’art. 3 Cost., nonché del principio di solidarietà economica e sociale, di cui all’art. 2 Cost., che deve ispirare i rapporti reciproci – anche tributari – fra Pubblica Amministrazione e cittadino, la parte del rapporto tributario, sia essa il contribuente o la pubblica amministrazione, non può lamentare violazioni formali che non abbiano inciso realmente, e in negativo, sulla sua sfera giuridica (v. Cass., Sez. 5, n. 11052 del 09/05/2018).
La possibilità, per il contribuente, di denunciare vizi fondati sulla pretesa violazione di norme procedimentali non tutela infatti l’interesse all’astratta regolarità dell’attività amministrativa, ma garantisce solo l’eliminazione dell’eventuale pregiudizio dal medesimo contribuente subito in conseguenza della denunciata violazione di norme, che siano espressione del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione (v. ancora Cass., Sez. 5, n. 11052 del 09/05/2018).
Nel caso di specie, i ricorrenti hanno dedotto la violazione dell’art. 7 l. n. 212 del 2000, perché all’avviso di accertamento impugnato non era stato allegato né l’atto di rettifica dell’imposta di registro, dovuta in relazione alla compravendita che avrebbe determinato la plusvalenza accertata, notificato solo all’acquirente, né l’atto con il quale quest’ultimo aveva definito il relativo accertamento ai sensi dell’art. 11 l. n. 289 del 2002.
Risulta tuttavia dalle stesse allegazioni dei ricorrenti che la dante causa iure successionis di questi ultimi, colei che aveva stipulato l’atto in questione, a seguito della mancata indicazione nella dichiarazione del redditi relativa all’anno 2002 della plusvalenza conseguente alla compravendita, aveva ricevuto il questionario n. Q00339/07 del 31/08/2007, in risposta al quale aveva depositato documentazione, ritenuta incompleta dall’Ufficio, il quale ha così considerato quale corrispettivo della compravendita da quest’ultima ricevuto, l’importo di € 142.026,00, determinato a seguito della menzionata definizione effettuata dall’acquirente.
Con riferimento a tale contestazione i ricorrenti hanno dedotto di avere presentato istanza di accertamento con adesione, la cui procedura si è però conclusa senza alcun riscontro da parte dell’Ufficio.
Non può dunque ritenersi che i medesimi ricorrenti non avessero avuto conoscenza dell’esistenza e del contenuto degli atti di cui lamentano la mancata allegazione all’avviso di accertamento impugnato, tenuto conto che tali atti erano stati posti a fondamento della contestazione a loro già resa nota e in relazione alla quale avevano avviato la procedura di accertamento con adesione. L’allegazione dei menzionati atti all’avviso di accertamento impugnato non avrebbe dunque portato alla loro conoscenza nulla di nuovo. Per queste ragioni il motivo deve essere respinto.
3. Con riferimento alle altre censure, assume rilievo assorbente l’esame del terzo motivo di impugnazione che, risultando fondato, deve essere accolto.
Come sopra evidenziato, i ricorrenti hanno dedotto che la CTR ha violato l’art. 38, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, perché ha attribuito rilevanza, per la determinazione del valore del bene compravenduto ai fini IRPEF dell’alienante, alla definizione agevolata relativa all’imposta di registro, effettuata dal solo acquirente, senza contraddittorio con l’altra parte del contratto, e comunque riferita al valore di mercato del bene, e non al prezzo effettivamente conseguito, rilevante per l’imposta di registro ma non ai fini IRPEF.
La materia attiene alla disciplina delle plusvalenze, contenuta nell’art. 68 d.P.R. n. 917 del 1986 (Testo Unico delle imposte sui redditi).
In generale, con riferimento agli accertamenti in rettifica delle dichiarazioni reddituali delle persone fisiche, l’art. 38, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, stabilisce che «L’incompletezza, la falsità e l’inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione, salvo quanto stabilito nell’art. 39, possono essere desunte dalla dichiarazione stessa, dal confronto con le dichiarazioni relative ad anni precedenti e dai dati e dalle notizie di cui all’articolo precedente anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti».
L’art. 5, comma 3, d.lgs. n. 147 del 2015, entrato in vigore in pendenza del presente giudizio, ha poi specificato, con disposizioni che interessando anche gli accertamenti relativi alle plusvalenze, che «Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5 bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347»
La giurisprudenza di questa Corte è concorde nel ritenere che le disposizioni contenute nell’articolo appena riportato hanno efficacia retroattiva, trattandosi di norma di interpretazione autentica, aggiungendo che, con esso, si è esclusa la possibilità per l’Amministrazione di procedere all’accertamento in via induttiva della plusvalenza patrimoniale, realizzata a seguito della cessione di immobili o di aziende, solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino tale accertamento (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 2816 del 06/02/2020; Cass., Sez. 5, n. 12131 del 08/05/2019; Cass., Sez. 5, n. 9513 del 18/04/2018). In alcune pronunce questa stessa Corte ha anche precisato che ciò è giustificato dal fatto che la base imponibile ai fini IRPEF è data – non già dal valore del bene ceduto, come avviene per l’imposta di registro, ma – dalla differenza tra corrispettivo percepito nel periodo d’imposta e prezzo di cessione, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo (v. ancora Cass., Sez. 5, n. 2816 del 06/02/2020; Cass., Sez. 5, n. 27614 del 30/10/2018; Cass., Sez. 5, n. 19227 del 02/08/2017).
Nel caso di specie, la CTR ha ritenuto corretta, nei confronti della venditrice, la ripresa a tassazione IRPEF della plusvalenza derivante dalla cessione di un immobile, effettuata in base al prezzo di mercato risultante dalla definizione operata dall’acquirente ai fini dell’imposta di registro, affermando che spettava alla venditrice dimostrare di avere venduto a un prezzo inferiore, mentre invece il sopravvenuto art. 5, comma 3, d.lgs. n. 147 del 2015, come interpretato dalla giurisprudenza richiamata, non consente di determinare in via induttiva la realizzata plusvalenza solo sulla base di tale dato.
4. In conclusione, deve essere accolto il terzo motivo di ricorso e, rigettato il primo e assorbiti gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata, nei limiti del motivo accolto.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, sussistono i presupposti per la decisione della causa nel merito, con accoglimento del ricorso originariamente proposto dai contribuenti in primo grado.
5. In considerazione dell’incidenza sull’esito del giudizio dello ius supervenies, le spese dell’intero procedimento devono essere interamente compensate.
13. Tenuto conto del tenore della decisione (cfr. ad esempio Cass., Sez. 5, n. 1343 del 18/01/2019), non sussistono i presupposti per le statuizioni di cui all’articolo 1, comma 1 quater, dell’articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
– accoglie il terzo motivo di ricorso e, rigettato il primo e assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso dei contribuenti.
– compensa interamente le spese di lite dei gradi di merito e del presente giudizio di legittimità.
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