CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 ottobre 2022, n. 30955
Licenziamento – Docente – Relazione sentimentale con minorenne – Gravità della condotta – Volontarietà del comportamento
Fatti di causa
1. Con sentenza del 10 gennaio 2020, la Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da O. M., già docente del MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA (in prosieguo: MIUR), in servizio presso l’Istituto scolastico superiore L. E., per l’impugnazione del provvedimento disciplinare del 14 maggio 2018, di destituzione e di esclusione dall’accesso futuro a qualsiasi forma di pubblico impiego.
2. La Corte territoriale, per quanto ancora in discussione, rigettava il motivo d’appello con il quale il docente deduceva la mancanza di proporzionalità, ragionevolezza o congruità della sanzione irrogata.
3. Esponeva che il M. non contestava i fatti addebitatigli ovvero l’avere intrattenuto una relazione sentimentale e sessuale con un’alunna minorenne; riteneva che le circostanze addotte a sostegno della pretesa tenuità degli addebiti— ( il fatto che l’alunna avesse compiuto la maggiore età nello stesso anno scolastico, che la madre fosse consapevole della relazione, che la relazione fosse scaturita da un iniziale interessamento della minore, che quest’ultima fosse consenziente e ricambiasse i sentimenti del docente) — non fossero idonee a suffragare la tesi difensiva.
4. Osservava che il disvalore delle condotte emergeva in tutta la sua gravità considerando, da un lato, il ruolo di responsabilità e la funzione educativa assegnati al M. e, dall’altro, il fatto che gli studenti a lui affidati attraversavano un’età obiettivamente critica sotto il profilo dello sviluppo della personalità e delle modalità di interazione sociale.
5. In questo contesto, il docente era tenuto a relazionarsi agli studenti con la maturità di un soggetto adulto ed a svolgere un fondamentale ruolo educativo. Instaurare una relazione sentimentale e sessuale con un’alunna— tanto più se minorenne— significava venir meno in modo radicale ai doveri ed alle responsabilità insiti in tale ruolo e disvelava la totale incapacità di discernere la sfera professionale da quella personale e la sfera etica da quella sentimentale, giungendo il docente ad uniformarsi nei comportamenti ad un coetaneo dei propri allievi.
6. Ciò si riverberava sul rapporto fiduciario con l’amministrazione scolastica, pregiudicandolo in modo irreparabile, a maggior ragione considerando la non breve durata della relazione con l’alunna minorenne— (da ottobre 2016 a marzo 2017)— il fatto che il M. l’avesse riallacciata dopo averla interrotta a seguito di un colloquio con la madre della studentessa nonché l’aggravante della consumazione di rapporti sessuali.
7. Né poteva sostenersi ragionevolmente che i fatti fossero estranei alla sfera scolastica, perché avvenuti al di fuori degli edifici della scuola e privi di ricadute in ambito scolastico (perché non avrebbero pregiudicato il rendimento dell’alunna ed i suoi rapporti con i compagni di classe e gli altri docenti); al riguardo il giudice dell’appello evidenziava che la vicenda si era svolta nel corso dell’anno scolastico e che il M. era docente nella classe cui apparteneva la studentessa.
8. Per queste ragioni, concludeva il giudice dell’appello, le condotte erano oggettivamente inscindibili dal ruolo di docente e dai compiti formativi ed educativi; la sanzione della destituzione era, dunque, congrua e proporzionata alla gravità dei fatti commessi.
9. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza O. M., articolato in un unico motivo di censura ed illustrato con memoria, cui ha resistito con controricorso il MIUR.
10. Il PG ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. on l’unico motivo di ricorso il M. ha denunciato— ai sensi dell’articolo 360 nr.3 e nr. 5 cod. proc.civ. — la violazione e falsa applicazione: degli articoli 2106 e 2119 cod. civ.; del D.Lgs. nr. 297/1994, articoli 498 lettere a) e b), 496, 495, 494, 492; del CCNL del comparto Istruzione e ricerca del 19 aprile 2018, articoli 12 e 29; del CCNL del comparto scuola del 29 novembre 2007, articoli 91 e 95; dell’articolo 55 D.Lgs. nr.165/2001; — nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti.
2. Si deduce che il D.Lgs. nr. 297/1994— (cui rinviano il CCNL del comparto scuola 21 novembre 2007, articolo 91 nonchè il CCNL del comparto Istruzione e ricerca del 19 aprile 2008)— prevede le fattispecie disciplinari agli articoli da 493 a 498, correlando a ciascuna di esse le sanzioni, secondo una scala di gradualità.
3. In particolare, l’ articolo 496 dispone la sospensione dall’insegnamento e dall’ufficio per un periodo di sei mesi e, dopo la sospensione, l’utilizzazione in compiti diversi da quelli inerenti alla funzione docente o a quella direttiva connessa al rapporto educativo, in caso di compimento di uno o più atti di particolare gravità integranti reati puniti con pena detentiva non inferiore nel massimo a tre anni per i quali sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna o sentenza di condanna di primo grado confermata in grado di appello ed in ogni altro caso in cui sia stata inflitta la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici o della sospensione dall’esercizio della potestà genitoriale, precisando che gli atti per i quali è inflitta la sanzione devono essere non conformi ai doveri specifici inerenti la funzione e denotare l’incompatibilità del soggetto a svolgere i compiti del proprio ufficio nell’esplicazione del rapporto educativo.
4. L’articolo 498, invece, punisce con la destituzione: alla lettera a), gli atti in grave contrasto con i doveri inerenti alla funzione ed, alla lettera b), l’attività dolosa che abbia portato grave pregiudizio alla scuola, alla pubblica amministrazione, agli alunni, alle famiglie.
5. Si addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto la congruità della sanzione della destituzione basandosi sulla oggettiva inidoneità a svolgere la funzione docente, senza considerare altre circostanze pacifiche in causa (come l’assenza di altri addebiti disciplinari, il comportamento tenuto, anche nel corso della fase procedimentale e l’assenza di abuso di autorità) e senza tener conto della prova a discarico, richiesta nei due gradi di merito e non ammessa.
6. Si assume che il giudice dell’appello non avrebbe concretamente indicato le ragioni per le quali egli dovesse essere considerato inadeguato anche rispetto all’esercizio di una funzione diversa da quella docente— come previsto dall’articolo 496 D.Lgs . nr. 297/1994— e non avrebbe considerato tutti gli elementi richiesti dall’articolo 498.
7.Si evidenzia, da ultimo, che solo con la contrattazione collettiva del 19 aprile 2018, successiva ai fatti di causa, all’articolo 29, era stata prevista la destituzione in caso di atti e comportamenti o molestie a carattere sessuale riguardanti gli studenti affidati alla vigilanza del personale, anche in mancanza di gravità o reiterazione.
8. Il ricorso è infondato.
9. Occorre premettere che per il personale direttivo e docente della scuola statale il codice disciplinare è dettato dagli articoli da 492 a 499 del D.Lgs. nr. 297/1994; tali norme sono rimaste in vigore anche dopo la contrattualizzazione del pubblico impiego, in quanto richiamate dall’art. 91 del CCNL comparto Scuola 29.11.2007, secondo il quale continuano ad applicarsi le norme di cui al Titolo 1^, Capo 4^ della Parte 3^ del D.Lgs. n. 297 del 1994.
10. Il richiamato decreto legislativo, agli articoli da 493 a 498, descrive, tipizzandole, le singole condotte disciplinarmente rilevanti ed a ciascuna di esse correla, secondo una scala di gradualità per gravità, le sanzioni applicabili.
11. Questa Corte ha già affermato (Cassazione civile sez. lav., 07/03/2017, nr.5706) che, a fronte di previsioni di fonte legale che correlano le sanzioni a condotte in parte assimilabili tra loro, salvo l’elemento della maggiore o minore gravità (cfr. lett. a artt. 494, 495 e art. 498; art. 495, lett. d e art. 498, lett. f) e che, perfino in relazione a condotte non conformi ai doveri specifici inerenti alla funzione e che denotano l’incompatibilità a svolgere i compiti del proprio ufficio nell’esplicazione del rapporto educativo, prevedono (art. 496) che il dipendente possa essere mantenuto in servizio— seppur in funzioni diverse da quelle correlate al rapporto educativo— il giudice del merito deve formulare il giudizio valoriale di gravità delle condotte addebitate al docente— e di proporzionalità della sanzione espulsiva— operando un giudizio di sussunzione della condotta in fatto ricostruita nell’ambito dell’uno o degli altri illeciti disciplinari.
12. Il giudizio di riferibilità delle condotte addebitate al docente alla fattispecie normativa, in sostanza, costituisce un ineliminabile punto di partenza per un adeguato giudizio valoriale sulla gravità della condotta e, quindi, sulla proporzione della sanzione espulsiva.
13. A tale principio deve essere data continuità in questa sede. 14. Nella fattispecie di causa, tuttavia, la Corte territoriale ha operato tale sussunzione, ritenendo integrata, come si desume dall’articolato percorso motivazionale, la ipotesi di «atti che siano in grave contrasto con i doveri inerenti la funzione», prevista dall’articolo 498, lettera a) del D.Lgs. nr. 297/1994 come illecito sanzionato con la destituzione.
15. E’ altresì chiara la diversità di tale fattispecie rispetto a quella di cui al precedente articolo 496, che punisce con la sanzione conservativa della sospensione per un periodo di sei mesi e dell’utilizzazione, decorso il tempo di sospensione, in compiti diversi dalla funzione docente, il compimento di specifici atti che— pur se di particolare gravità ed integranti reato — siano «non conformi ai doveri specifici inerenti la funzione docente» e denotino «l’incompatibilità del soggetto a svolgere i compiti del proprio ufficio nell’esplicazione del rapporto educativo».
16. Vi è, dunque, nel caso sanzionato con la destituzione una violazione grave e diretta dei doveri inerenti la funzione mentre nel precedente articolo 496 la sanzione conservativa si fonda su un semplice giudizio di «incompatibilità» tra il fatto di reato e la funzione docente.
17. Il giudizio di sussunzione operato nella sentenza impugnata appare, pertanto, corretto giacché la condotta addebitata, per quanto accertato nella sentenza impugnata, era direttamente legata alla qualità del M. di docente nella classe cui apparteneva l’alunna minorenne sicchè è consistita in una grave violazione dei doveri inerenti alla funzione educativa.
18. Il giudice dell’appello, all’esito del giudizio di sussunzione, neppure è venuto meno al suo dovere di verificare la gravità della violazione dal punto di vista concreto, tenendo conto di tutte le circostanze di fatto rilevanti; va, infatti, osservato — come più volte affermato da questa Corte e dalla Corte Costituzionale (Cass. nr. 5706/2017 citata e giurisprudenza ivi richiamata) — che anche con riferimento alle ipotesi, quali quella in esame, di illeciti disciplinari tipizzati dal legislatore, deve escludersi la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell’irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto addebitato.
19. Il giudice del merito ha in concreto operato il giudizio di proporzionalità ed a tal fine ha valorizzato: l’età minore della alunna, la durata della relazione, il fatto che essa fosse stata riallacciata dopo l’intervento della madre dell’allieva, la consumazione di rapporti sessuali e, dunque, tanto l’oggettiva gravità della condotta che la volontarietà del comportamento del docente.
20. La decisone assunta è, dunque, essente dalle censure mosse in ricorso.
21. Le spese di causa, liquidate, in dispositivo, seguono la soccombenza.
22. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art. co. 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 5.000 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.