CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 settembre 2022, n. 27534

Rapporto di lavoro – Dipendente bancario – Periodi di attività svolta all’estero – Natura retributiva degli emolumenti – Computabilità nell’imponibile per T.f.r.

Fatto

1. Con sentenza 19 giugno 2018, la Corte d’appello di Milano ha rigettato le domande di R.C.C. di condanna della datrice B. MPS s.p.a. al risarcimento, in proprio favore, del danno pensionistico eventuale e futuro in riferimento alla previdenza integrativa e all’A.G.O.; nel resto, rigettando l’appello della B. avverso la sentenza di primo grado, che, nella parte non riformata: l’aveva condannata al pagamento, in favore del lavoratore (assunto il 12 settembre 1973 e licenziato per giusta causa l’8 marzo 2008), della somma di € 155.266,99 per differenze tra quanto dovuto a titolo di T.f.r. e quanto liquidato per anticipazioni e accantonato presso la Cassa di Previdenza aziendale; accertato il versamento da parte della B. a detta Cassa della contribuzione in misura inferiore a quella dovuta per i periodi di servizio all’estero.

2. A parte la indicata riforma parziale, la Corte territoriale ha condiviso quanto accertato dal Tribunale, escludendo l’apparente motivazione della sentenza in ordine alla computabilità degli emolumenti di volta in volta concordati tra le parti, in occasione dei periodi di attività del lavoratore all’estero (a Barcellona, Madrid, New York e Parigi), nell’imponibile per T.f.r., per la coerenza delle previsioni del CCNL con quelle dell’art. 2120 c.c., nonché il suo rigetto delle eccezioni di nullità del ricorso per mancata notificazione dei conteggi ed omesso deposito del testo integrale del CCNL, di prescrizione e di decadenza, ai sensi dell’art. 2113 c.c., delle richieste patrimoniali oggetto dell’accordo transattivo tra le parti e confermando la natura non occasionale, ma continuativa delle erogazioni.

3. Infine, essa ha rilevato l’assenza di contestazione dalla B. delle conclusioni contabili della C.t.u.

4. Con atto notificato il 17 dicembre 2018, B. MPS s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione con sette motivi, cui il lavoratore ha resistito con controricorso.

5. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel senso del rigetto del ricorso.

6. Entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente escluso la nullità del ricorso introduttivo del lavoratore per mancata notificazione dei conteggi e deposito del testo integrale del CCNL, non essendo possibile, contrariamente a quanto da essa ritenuto, individuare gli elementi a fondamento della domanda.

2. Esso è inammissibile.

3. Il motivo difetta di specificità, in assenza di trascrizione delle parti del ricorso di primo grado tali da ritenerlo incomprensibile nell’individuazione di causa petendi e petitum, e pertanto nullo, in violazione del principio di specificità, prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c. (anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU del 28 ottobre 2021, Succi e altri c. Italia, per un’interpretazione non eccessivamente formalistica del principio di “autonomia” del ricorso, tale da non incidere pertanto sulla sostanza stessa del diritto in contesa: Cass. s.u. 18 marzo 2022, n. 8950), operante anche nell’ipotesi di error in procedendo (Cass. 30 settembre 2015, n. 19410; Cass. 8 giugno 2016, n. 11738; Cass. 25 settembre 2019, n. 23834), quale è la doglianza, ancorché non correttamente formulata.

3.1. Inoltre, l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente argomentato (Cass. 18 maggio 2012, n. 7932; Cass. 21 dicembre 2017, n. 30684; Cass. 17 aprile 2019, n. 10724), come appunto nel caso di specie (per le ragioni esposte al primo capoverso di pg. 9 della sentenza): dovendosi, in ogni caso, ribadire che, nel rito del lavoro, perché il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado sia nullo per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui essa si fonda, non è sufficiente l’omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, essendo necessario che attraverso l’esame complessivo dell’atto sia impossibile l’individuazione esatta della pretesa dell’attore e il convenuto non possa apprestare una compiuta difesa (Cass. 8 febbraio 2011, n. 3126, con affermazione del principio ai sensi dell’art. 360bis, primo comma c.p.c.).

Sicché, la censura si risolve in una lettura interpretativa meramente contrappositiva rispetto a quella del giudice di merito.

4. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 2935 c.c. ed omesso esame di fatti decisivi del giudizio, per avere la Corte territoriale, sull’erroneo presupposto della decorrenza della prescrizione dalla cessazione del rapporto di lavoro, rigettato la relativa eccezione, in riferimento ad emolumenti computabili nel T.f.r. esclusi in base ad accordi conclusi tra le parti, in quanto qualificati rimborsi spese, senza alcuna spiegazione.

5. Con il terzo, essa deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost., 1362, 2120, 2113 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto nulli gli accordi tra le parti per violazione dell’art. 2120 c.c. ed inapplicabile la decadenza stabilita dall’art. 2113 c.c. sull’erroneo presupposto interpretativo, nell’inosservanza del criterio di letteralità e di rispetto della volontà delle parti, di esclusione dal T.f.r. di voci retributive, avendo invece le parti semplicemente determinato le modalità di richiesta dei rimborsi di spesa da parte del dipendente in missione, nonché i limiti di richiesta e di erogazione.

6. Con il quarto motivo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 2120 c.c., 39 Cost., 109 – 132 CCNL ABI 2004 aree professionali e quadri e succ., 21 – 28 CCNL ABI 2008 Dirigenti e succ. mod., applicati “sul trattamento estero”, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c., per avere la Corte territoriale, nel ritenere nulli gli accordi tra le parti, erroneamente incluso i rimborsi delle spese all’estero nel computo del T.f.r., non considerando, da una parte, il dettaglio delle voci che la contrattazione collettiva dell’area impiegatizia include o meno in esso (art. 132 CCNL) e, dall’altra, la tassativa esclusione, a detti fini, della contrattazione dei dirigenti (art. 29) delle somme corrisposte a titolo di rimborso spese ai dipendenti trasferiti o in missione.

7. Con il quinto, essa deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 c.c., 29 CCNL ABI 2008 Dirigenti, nullità del procedimento ed omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, per erronea interpretazione della disciplina collettiva dei dipendenti bancari sul T.f.r. nell’escludere l’assenza di alcuna deroga all’art. 2120 c.c., essendovi invece espressamente contenuta l’esclusione degli emolumenti corrisposti a titolo di rimborso spese al dirigente impiegato in trasferta o missione all’estero, con grave carenza motiva.

8. Con il sesto motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 c.c., in relazione alle intese contrattuali tra le parti (cd. “lettere-contratto”), 2120 c.c., 29 CCNL applicato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c., per erronea interpretazione delle lettere-contratto e delle norme di legge e di CCNL denunciate, da cui si ricava la natura di rimborso spese degli emolumenti in questione, in particolare dell’alloggio, per la finalità compensativa di esborsi, che il lavoratore non avrebbe sostenuto se non fosse stato trasferito e nell’interesse del datore di lavoro, indice della natura non retributiva.

9. Essi congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.

10. In via preliminare, deve essere ritenuta l’inammissibilità delle censure relative ad omesso esame di fatto(i) decisivi(i), neppure configurabili come tali, per la preclusione derivante dall’ipotesi di c.d. “doppia conforme” (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994) in ordine alle questioni devolute, rigettate da entrambi i giudici di merito.

11. Tutte le altre censure, nella varia formulazione illustrata, in ordine anche al lamentato erroneo rigetto delle eccezioni di prescrizione e di decadenza ai sensi dell’art. 2113 c.c., sono incentrate sulla contestazione della natura retributiva, anziché risarcitoria, degli emolumenti continuativamente erogati al lavoratore per il periodo di attività prestato all’estero

11.1. Giova allora in proposito richiamare il consolidato indirizzo di questa Corte, secondo cui, ai fini di determinazione della base di computo del trattamento di fine rapporto, ai sensi dell’art. 2120, secondo comma c.c. e in mancanza di una deroga espressa contenuta nella contrattazione collettiva, la natura di retribuzione di un emolumento aggiuntivo corrisposto al lavoratore per lo svolgimento di lavoro all’estero o in altra sede lavorativa è desumibile da indici sintomatici, inclusi quelli emergenti in sede di conclusione del contratto individuale, che denotino la non occasionalità dell’emolumento, dovendosi invece attribuire natura non retributiva alle voci che abbiano la finalità di tenere indenne il lavoratore da spese che non avrebbe incontrato se non fosse stato trasferito, sostenute nell’interesse dell’imprenditore; sicché, in particolare, all’elargizione per abitazione corrisposta a un funzionario bancario trasferito con familiari conviventi, deve attribuirsi natura retributiva, desunta dal carattere periodico dell’erogazione, dalla corresponsione in misura fissa e senza documentazione giustificativa, dal suo essere condizionata al permanere dell’abitazione e all’avvenuto assoggettamento a retribuzione (Cass. 31 agosto 2018, n. 21519; Cass. 3 giugno 2019, n. 12123 e n. 15124).

E ancora, in materia di trattamento economico aggiuntivo attribuito al lavoratore che presti la propria opera all’estero, questa Corte riconosce natura retributiva alle somme erogate a titolo di rimborso spese, qualora si tratti di spese effettuate dal lavoratore per adempiere, sia pur indirettamente, agli obblighi della prestazione lavorativa, essendo irrilevante il carattere forfettario o meno del rimborso, ma piuttosto rilevante, in via esclusiva, il collegamento sinallagmatico della spesa sostenuta dal lavoratore con la prestazione lavorativa all’estero: risolvendosi la corresponsione dell’importo in un adeguamento della retribuzione per le maggiori spese in considerazione delle condizioni ambientali in cui il lavoratore presta la sua attività (Cass. 18 marzo 2009, n. 6563, che ha confermato la natura retributiva alle spese relative all’alloggio, al rimborso dei viaggi aerei, alle spese di iscrizione e frequenza nelle scuole dei figli trasferiti all’estero in quanto attribuzioni patrimoniali dirette alla salvaguardia della retribuzione). Si ritiene pertanto che il trattamento estero abbia natura retributiva, tanto in presenza di una funzione compensativa della maggiore gravosità del disagio morale e ambientale, quanto nel caso in cui sia correlato alle qualità e condizioni personali concorrenti a formare la professionalità indispensabile per prestare lavoro fuori dai confini nazionali; avendo invece natura riparatoria il rimborso spese per la permanenza all’estero, che costituisca la reintegrazione di una diminuzione patrimoniale derivante da una spesa effettiva sopportata dal lavoratore nell’esclusivo interesse del datore, restando normalmente collegato ad una modalità della prestazione lavorativa richiesta per esigenze straordinarie, priva dei caratteri della continuità e determinatezza (o determinabilità) e fondata su una causa autonoma rispetto a quella retributiva (Cass. 22 luglio 2016, n. 15217; Cass. 27 luglio 2018, n. 20011).

11.2. Occorre altresì ribadire l’insegnamento di questa Corte per cui, in assenza di precise ed univoche clausole contrattuali pattuite in vista del trasferimento e comunque, a prescindere dall’assetto riconducibile alla qualificazione delle parti (in ipotesi di disciplina legale da ritenere prevalente sulla concreta previsione delle stesse quanto alla inclusione nel trattamento di fine rapporto), in mancanza di deroga espressa da parte della contrattazione collettiva ai sensi dell’art. 2120, secondo comma c.c., ai fini della individuazione della natura di retribuzione ovvero di rimborso spese di una voce del trattamento corrisposto per lo svolgimento di lavoro all’estero, deve aversi riguardo ad indici sintomatici, che consentano una valutazione della suddetta natura in via induttiva, senza trascurare, in tale indagine, anche elementi che emergano in sede di stipulazione del contratto individuale, che assumono, per quanto detto, valore orientativo ai fini considerati; così, per l’identificazione dei caratteri propri della retribuzione rilevano sicuramente: a) la continuità, periodicità ed obbligatorietà della somma corrisposta o del beneficio riconosciuto; b) l’assenza di giustificativi di spesa; c) la natura compensativa del disagio o della penosità della prestazione resa; d) il rapporto di necessaria funzionalità con la prestazione lavorativa; e) la funzione di salvaguardia del livello retributivo e di adeguamento ai maggiori oneri derivanti dal nuovo ambiente di lavoro, assumendo significato, quale ulteriore indice sintomatico della natura retributiva, il prelievo contributivo effettuato, la cui mancanza non può tuttavia deporre nel senso di connotare quale esborso l’indennità riconosciuta e di escluderne la natura retributiva (Cass. 5 ottobre 2018, n. 24594, in motivazione, sub p.ti 11 e 12).

11.3. Infine, è noto che l’accertamento della natura retributiva o risarcitoria del trattamento economico aggiuntivo, riconosciuto al lavoratore che presti la propria opera all’estero, sia riservato al giudice di merito (Cass. 22 novembre 2010, n. 23622; Cass. 21 aprile 2016, n. 8086).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato la natura retributiva del trattamento economico, riconosciuto al lavoratore per la sua erogazione continuativa nei periodi di prestazione della sua attività all’estero, sulla base di ragioni congruamente argomentate, in corretta applicazione dei principi di diritto su enunciati (dal terz’ultimo capoverso di pg. 9 al primo di pg. 11 della sentenza).

12. Con il settimo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 51, ottavo comma d.p.r. 917/1986, 12, primo comma l. 153/1969, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c., per avere la Corte territoriale meramente aderito a decisioni alternative a quelle citate dalla B., di interpretazione restrittiva (limitata alla sola materia fiscale) della previsione di incidenza sul T.f.r. per il 50% delle indennità percepite dal lavoratore trasferito all’estero.

13. Anch’esso è infondato.

14. La Corte d’appello di Milano ha esattamente applicato (al secondo capoverso di pg. 11 della sentenza) il principio giurisprudenziale, secondo cui, ai fini di individuare la base imponibile per determinare i contributi previdenziali dovuti, in relazione alla posizione di lavoratori italiani che prestano attività lavorativa all’estero, occorre considerare la retribuzione effettivamente corrisposta e non le retribuzioni convenzionali individuate con i decreti ministeriali richiamati dall’art. 4, primo comma d.l. n. 314/1987, conv. nella l. 398/1987, non essendo applicabile l’art. 48, comma 8bis d.p.r. 917/1986 (poi divenuto 51 per effetto del d. lgs. 344/2003) introdotto dall’art. 36, primo comma l. 342/2000, in quanto operante esclusivamente a fini fiscali e non incidendo sulla determinazione della retribuzione imponibile a fini contributivi (Cass. 6 settembre 2016, n. 17646, in motivazione p.ti da 4.2. a 4.5.3.; Cass. 30 maggio 2018, n. 13674; Cass. 25 febbraio 2022, n. 6294).

Ed infatti, il principio affermato consegue a ragioni di ordine sistematico giacché l’art. 36 l.342/2000 risponde a logiche peculiari del sistema fiscale, richiamando il limite temporale dei 183 giorni e la nozione di residenza fiscale, estranea alla materia previdenziale. Inoltre, il suo contenuto, che fa riferimento ai decreti ministeriali previsti dall’ art. 4 d.l. n. 317/1987, non mette in discussione l’impianto complessivo del sistema previdenziale in cui tali decreti ministeriali operano e che fu costituito, sul presupposto della sentenza della Corte costituzionale del 30 dicembre 1985, n. 369, al fine di tutelare il lavoratore italiano inviato all’estero in Paesi con i quali l’Italia non abbia stipulato una convenzione di sicurezza sociale;

sicché, l’ipotesi è comunque estranea alla fattispecie in esame (Cass. 19 dicembre 2017, n. 30427, in motivazione p.to 7).

15. Dalle argomentazioni sopra svolte discende allora il rigetto del ricorso, la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la B. alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.