CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 aprile 2022, n. 12795
Licenziamento per giusta causa – Provvedimenti organizzativi e modifiche dell’orario di lavoro all’insaputa del superiore gerarchico – Emolumenti indebiti – Valutazione di proporzionalità della sanzione
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Reggio Calabria, confermando la sentenza del Tribunale della medesima sede, ha – con sentenza n. 622 depositata il 24.6.2019 – respinto la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato da T. s.p.a., in data 29.7.2016, a S.C., per aver adottato – in qualità di Quadro apicale Q1 responsabile della produzione della Direzione generale di Reggio Calabria – provvedimenti organizzativi e modifiche dell’orario di lavoro di sua iniziativa e all’insaputa del superiore gerarchico nonché per aver percepito emolumenti indebiti.
2. La Corte di appello ha rilevato che il reclamo proposto dal lavoratore aveva ad oggetto solamente alcuni dei numerosi fatti contestati dal datore di lavoro, fatti che erano stati accertati dal Tribunale e concernenti non la falsità delle autorizzazioni rilasciate dal Direttore generale sui cambi di orario richiesti dal C. stesso quanto altri eventi (ossia i servizi fuori sede e lo svolgimento di prestazioni lavorative in giornate di riposo e/o di festività infrasettimanali) dai quali il lavoratore aveva tratto specifici emolumenti e in relazione ai quali la falsità non poteva che essere stata effettuata nel suo interesse (ancorché non materialmente eseguita da lui, alla luce delle risultanze della perizia grafologica svolta in primo grado); ha aggiunto che l’atto di reclamo non considerava, inoltre, altre condotte addebitate nella contestazione disciplinare, quali la percezione di indennità di trasferta previa esibizione di giustificativi incompatibili con gli orari di lavoro, la località di emissione; sia i primi che i secondi eventi erano stati comprovati ed erano gravi per la connotazione truffaldina e, comunque, dolosa, e rappresentavano un chiaro indice del concorso morale prestato nelle ulteriori falsità contestate con riguardo ai cambi di orario; la Corte territoriale concludeva, pertanto, per la legittimità del licenziamento intimato a fronte della abnorme gravità delle condotte tenute dal C.
3. Per la cassazione di tale sentenza il C. ha proposto ricorso affidato a sei motivi, illustrati da memoria. La società ha resistito con controricorso.
4. Il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità, e in subordine, il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 57, 60, 61, 62, 64 del CCNL Mobilità/Area contrattuale Attività ferroviarie 20.7.2012 non avendo, la Corte territoriale, accolto i motivi di reclamo che deducevano la sussunzione dei comportamenti contestati al C. negli articoli del CCNL che prevedevano sanzioni conservative; ed invero alcuni fatti dolosi (simulazione dello stato di malattia e ingiurie o accuse infondate verso altri dipendenti dell’azienda, atti diretti a trarre un vantaggio non spettante a danno dell’azienda, art. 60, lett. b, f, h; qualsiasi negligenza o inosservanza di leggi o regolamenti o degli obblighi di servizio deliberatamente commesse, anche per procurare indebiti vantaggi a sé o a terzi, art. 62) sono contemplati dalla contrattazione collettiva nell’ambito delle sanzioni di tipo conservativo e la Corte territoriale avrebbe violato gli artt. 1363 e 1371 erroneamente interpretando le clausole contrattuali.
2. Con il secondo motivo si denunzia, ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 cod.civ., 64 CCNL Mobilità per mancanza dell’elemento psicologico del dolo in capo al lavoratore, nonché degli artt. 115, 421 cod.proc.civ. e 111 Cost. per aver omesso, la Corte territoriale, di accertare il concorso morale del lavoratore mediante i suoi poteri istruttori officiosi; si deduce altresì omesso esame di un fatto decisivo in relazione alla circostanza, asseritamente provata in primo grado, della necessità di due livelli di controllo per ottenere il pagamento dei rimborsi delle spese di trasferta, dei giorni festivi lavorati e dei cambi orario. Si deduce che, l’art. 64 CCNL, che ricalca l’art. 2119 cod.civ., richiede – per integrare una condotta punibile con la sanzione più severa – la ricorrenza dell’elemento psicologico del dolo e la Corte territoriale ha effettuato mere supposizioni in ordine al concorso morale del C. alla falsificazione delle autorizzazioni per i cambi di orario.
3. Con il terzo ed il quarto motivo di ricorso si denunzia omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., avendo, la Corte territoriale, omesso di esaminare la circostanza che il servizio di Antiaggressione, presso la Direzione regionale Calabria, era svolto da personale (risorsa M.) della stessa Direzione, circostanza esclusa dal Tribunale, che ha deciso fondando la propria decisione sulla deposizione dell’unico teste di parte datoriale (M.), contestato di falsità, ed erroneamente interpretando la comunicazione organizzativa n. 423/2013.
4. Con il quinto motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., avendo, la Corte territoriale, omesso di considerare che T. ha tratto un vantaggio dalle condotte del C. che protraeva la presenza giornaliera in servizio dalle 8,00 alle 19,00-20,00, facendo risparmiare alla società indennità di orario straordinario.
5. Con il sesto motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., avendo, la Corte territoriale, omesso di considerare che la variazione del PGOLPiano giornaliero orario lavoro dei Quadri della Direzione regionale Calabria era stata autorizzata, a causa delle croniche carenze di organico, come regola dai Direttori regionali predecessori del dott. M..
6. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per plurimi motivi.
6.1. In ordine alla ipotetica sussunzione delle plurime condotte tenute dal C. nell’ambito delle clausole del CCNL che prevedono l’intimazione di sanzioni conservative, si tratta di questione che non risulta affatto affrontata nella sentenza impugnata e il ricorrente non indica in quale atto difensivo e in quale momento processuale la questione sarebbe stata introdotta, le ragioni del suo rigetto ed i motivi con i quali è stata riproposta al giudice del gravame, con ciò non osservando gli oneri di autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass. n. 23675 del 2013; Cass. n. 23073 del 2015, Cass. n. 20694 del 2018).
6.2. La violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione si rinviene, altresì, con riguardo alle clausole contrattuali invocate, in quanto parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso – per esteso, e non mediante accenno dell’oggetto – il contenuto delle numerose disposizioni negoziali invocate in materia di codice disciplinare, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.proc.civ. Ed invero, seppur la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., come modificato dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché, anch’essa comporta, in sede di legittimità, la riconducibilità del motivo di impugnazione all’errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione, senza che sia necessario indicare, a pena di inammissibilità, i criteri ermeneutica violati, tuttavia il CCNL privatistico (a differenza della fonte normativa) non è conoscibile se non con la collaborazione (onere di allegazione e di produzione) delle parti (ex plurimis, Cass. n. 19507 del 2014, in motivazione).
7. Il secondo motivo di ricorso è in parte inammissibile e per la parte residua infondato.
7.1. Deve, in primo luogo, rimarcarsi che in tema di ricorso per cessazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (ex aliis: Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
7.2. Nella specie è evidente che il ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge (nonché dell’art. 64, lett. k, del CCNL, che, peraltro, non viene trascritto ma ne viene riportato riassuntivamente il contenuto, in violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione) in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) bensì un viziomotivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma n. 5 cod.proc.civ., che – nella versione ratione temporis applicabile – lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).
7.3. Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione della sentenza impugnata è conforme ai principi affermati da questa Corte in base ai quali, ai fini della valutazione di proporzionalità della sanzione, è insufficiente un’indagine che si limiti a verificare se il fatto addebitato è riconducibile alle disposizioni della contrattazione collettiva che consentono l’irrogazione del licenziamento, essendo sempre necessario valutare in concreto se il comportamento tenuto, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la prosecuzione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, con particolare attenzione alla condotta del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti e a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza (ex plurimis, Cass. n. 13411 del 2020; Cass. n. 18195 del 2019; Cass. n. 26010 del 2018; Cass. n. 2013 del 2012 e, precedentemente, in senso analogo, tra le tante, Cass. nn. 13574, 7948, 5095 del 2011).
7.4. La sentenza impugnata ha ampiamente esaminato i fatti controversi e, conformemente al giudice di primo grado, ha valutato la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto delle plurime condotte tenute dal C., alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnando rilievo all’intensità dell’elemento intenzionale assunto nei diversi comportamenti accertati (“falsi giustificativi” in ordine a “servizi fuori sede e prestazioni lavorative in giornate di riposo e/o festività infrasettimanali”, indebita percezione dell’indennità di trasferta, tutte condotte ritenute “gravi per la connotazione truffaldina e, comunque, dolosa”; concorso morale con riguardo alle falsità relative ai cambi orario), al grado di affidamento richiesto dalle mansioni (Quadro apicale, Responsabile di struttura operativa complessa), alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo.
8. I restanti motivi del ricorso sono inammissibili.
8.1. I motivi sono inammissibili in quanto trascurano di considerare che il n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod.proc.civ., che viene invocato a sostegno delle doglianze, per i giudizi di appello instaurati dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134, di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, non può essere invocato, rispetto ad un appello o reclamo promosso nella specie dopo la data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012), con ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter, ultimo comma, cod.proc.civ., in base al quale il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014).
8.2. In questi casi il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod.proc.civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. n. 26774 del 2016, conf. Cass. n. 20944 del 2019), mentre nulla di ciò viene specificato nelle censure.
8.3. Va, inoltre, rammentato che l’interpretazione di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 27415 del 2018) ha chiarito come l’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per Cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).
9. In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese di lite sono liquidate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
10. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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