CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 dicembre 2018, n. 33304
Licenziamento collettivo – Carenza della comunicazione di avvio della procedura di mobilità – Vizio
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 620 depositata il 18.3.2016 la Corte di appello di Bari, in riforma della pronuncia del Tribunale di Foggia (che aveva dichiarato decaduta la parte dall’impugnazione del licenziamento), ha respinto la domanda di S.M. proposta per la declaratoria di illegittimità del licenziamento collettivo intimato dalla società L.D.M. s.p.a., in data 15.12.2011, nell’ambito di una procedura di mobilità.
2. La Corte distrettuale, alla luce delle risultanze documentali tempestivamente versate in atti (e previa declaratoria di inammissibilità della produzione di documenti esibiti dal lavoratore all’udienza di discussione), ha ritenuto infondato il dedotto vizio di carenza della comunicazione di avvio della procedura di mobilità, ritenendo “chiaro ed inequivoco” il testo della lettera del 6.9.2010 trasmessa alle OO.SS. territoriali, a quelle aziendali e alla Direzione provinciale del lavoro, ove risultavano ben esplicitati i motivi dell’eccedenza di organico, il personale occupato e quello interessato alla procedura di riduzione, i tempi di attuazione del programma, l’impossibilità di adottare misure alternative.
3. Per la cassazione della sentenza impugnata il lavoratore propone ricorso fondato su due motivi, illustrati da memoria. La società oppone difese con controricorso.
Ragioni della decisione
4. Con i due motivi di ricorso il ricorrente denunzia violazione degli artt. 210, 213, 420, 421, 437 cod.proc.civ., nonché degli artt. 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, 2697 cod.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, erroneamente dichiarato, all’udienza del 25.2.2016, tardiva ed inammissibile la richiesta di esibizione documentale (informative/accesso agli atti rese dalla Direzione del lavoro e dall’Ufficio del lavoro presso l’amministrazione provinciale) e, conseguentemente, trascurato la verifica del rispetto dei requisiti previsti dalla legge in materia di licenziamenti collettivi, con particolare riferimento all’avvio della procedura di consultazione con i sindacati ex art. 4 legge n. 223 del 1991 (non correttamente comunicata a tutti i destinatari previsti dalla legge) ed al suo svolgimento (da non confondere con la distinta procedura per il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria).
5. Il ricorso è inammissibile.
La censura concernente la produzione del documento in sede di appello è inammissibile in quanto prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto delle “informative/accesso agli atti rese dalla locale Direzione del lavoro”, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del principio dall’art. 366 cod.proc.civ., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 cod.proc.civ., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. S.U. 3 novembre 2011, n. 22726). Invero, posto che la Corte territoriale sottolinea come la lettera della società del 6.9.2010 deve validamente ritenersi quale atto di avvio della procedura di mobilità (esaustivo nel contenuto e inoltrato a tutti i destinatari della procedura) e che i vizi formali dedotti dal lavoratore attenevano soltanto alla lettera dell’1.7.2011, il ricorrente avrebbe dovuto indicare, nonché trascrivere, quantomeno la parte significativa della “lettera informativa” della Direzione provinciale del lavoro al fine di consentire il vaglio di decisività.
6. In ogni caso, secondo principio consolidato, nel rito del lavoro, l’omessa indicazione dei documenti prodotti nell’atto di costituzione in giudizio, e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza dal diritto di produrli, salvo che si siano formati successivamente alla costituzione in giudizio o la loro produzione sia giustificata dall’evoluzione della vicenda processuale, sicché, il giudice ne può ammettere la produzione, ai sensi dell’art. 421 c.p.c. e, in appello, ai sensi dell’art.437 c.p.c., secondo una valutazione discrezionale insindacabile in sede di legittimità, ove ritenga tali mezzi di prova comunque ammissibili, perché rilevanti e indispensabili ai fini del decidere (cfr. Cass- S.U. n. 8202 del 2005; Cass. n. 6188 del 2009; Cass. n. 11607 del 2010; Cass. n. 14820 del 2015).
Nell’ambito della decadenza per tardività della produzione delle prove precostituite, debbono ricondursi altresì i documenti che la parte – pur potendo agevolmente acquisirli prima della costituzione in giudizio – abbia ritenuto di ottenere solamente nel corso del giudizio, in quanto tale comportamento rappresenta un palese aggiramento delle norme processuali (tese a comporre, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte, le esigenze, di rango costituzionale, di ragionevole durata del processo con il principio di ricerca della verità materiale) nonché una chiara violazione del dovere di lealtà e correttezza che impronta il rito del lavoro.
7. Come risulta dalla sentenza impugnata il lavoratore aveva dedotto, con il ricorso introduttivo del giudizio, la mancata comunicazione della lettera di avvio della procedura di mobilità alla Direzione provinciale del lavoro e la società aveva precisato (producendo la relativa documentazione) che la lettera di avvio della procedura doveva intendersi quella adottata il 6.9.2010, inoltrata a tutti i destinatari coinvolti.
Era, dunque, onere del lavoratore, in ossequio al principio dispositivo, depositare tempestivamente (contestualmente al deposito del ricorso introduttivo del giudizio o, a seguito della costituzione della controparte, alla prima udienza) la documentazione a supporto delle allegazioni introduttive del giudizio (da intendersi anche solo la richiesta di informazioni alla Direzione del lavoro, non potendo imputare alla parte eventuali ritardi di processi istruttori interni all’ente).
Né risulta sia stata avanzata al giudice di primo grado tempestiva istanza, ex artt. 210 o 213 cod. proc. civ., di esibizione nei confronti della Direzione provinciale del lavoro con riguardo a eventuali comunicazioni ricevute dalla società D.M. (cfr. sulla differenza tra istanza di esibizione e richiesta di informazioni alla P.A., rispettivamente ex art. 210 e 213 cod.proc.civ., Cass. n. 1484 del 2014, ove – in particolare – si rileva che in caso di richiesta presentata solamente in appello la parte è tenuta a provare di non aver potuto produrre nel giudizio di primo grado, per causa ad essa non imputabile, i documenti oggetto della richiesta di esibizione). Inoltre, il potere di cui all’art. 213 cod. proc. civ., di richiedere d’ufficio alla P.A. le informazioni scritte relative ad atti e documenti della stessa che sia necessario acquisire al processo, non può essere esercitato per acquisire atti o documenti della P.A. che la parte è in condizioni di produrre (Cass. n. 6101 del 2013).
8. Le censure (di cui al secondo motivo) concernenti le carenze della sentenza impugnata in ordine alla verifica della legittimità dell’atto di avvio della procedura di mobilità sono inammissibili in quanto generiche, avendo la Corte territoriale, da una parte, illustrato che la lettera della società del 6.9.2010 doveva qualificarsi come comunicazione di avvio della procedura di mobilità, rispettosa dell’obbligo di trasparenza imposto dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991 (in quanto i dati comunicati dal datore di lavoro erano completi) e, dall’altra, rilevato che il ricorso introduttivo del giudizio appuntava le censure esclusivamente sulla (distinta) lettera del datore di lavoro dell’1.7.2011.
Questa Corte ha affermato che compete al giudice del merito verificare – con accertamento di fatto non censurabile nel giudizio di legittimità ove assistito da idonea motivazione – l’adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura (ex aliis, Cass. n. 15479 del 2007; Cass. n. 8971 del 2014; Cass. n. 7940 del 2015).
9. In conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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