CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 dicembre 2021, n. 41020
Licenziamento disciplinare – Dipendente Inps – Condotta negligente e imprudente – Gravi irregolarità nella liquidazione di prestazioni per invalidità civile
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 440/2019, pubblicata in data 08/10/2019, la Corte d’appello di Catanzaro, decidendo sul reclamo proposto da D.P.M. nei confronti dell’INPS, ex art. 1, comma 58, I. n. 92/2012, confermava la pronuncia del Tribunale che aveva respinto la domanda dell’opponente M. intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli dall’istituto previdenziale.
2. Il M. (dipendente dell’Agenzia INPS di Castrovillari con qualifica di B1) era stato licenziato per aver tenuto una condotta negligente e imprudente, gravemente colposa, nell’attività a cui era adibito ed in particolare per gravi irregolarità nella liquidazione di prestazioni per invalidità civile e, più precisamente, di ratei maturati e non riscossi.
In particolare, al predetto era stato addebito il mancato controllo delle procedure già evase ed una serie numerosa di liquidazioni indebite dei ratei maturati e non riscossi di pensioni di invalidità civile ed altre prestazioni oggetto di accertamenti ispettivi, che avevano anche fatto emergere, in alcuni dei fascicoli trattati dal M., false certificazioni a corredo delle domande, retrodatazioni delle date dei verbali di visite mediche e delle date di presentazione delle domande in sede amministrativa e, ancora, contraffazioni ed alterazioni di documenti necessari all’ottenimento delle prestazioni poi risultate indebite.
3. Decidendo sull’opposizione, il Tribunale di Cosenza aveva innanzitutto respinto le eccezioni del ricorrente sulla presunta violazione del suo diritto di difesa, ritenendo rispettate le formalità inerenti all’istaurazione del contraddittorio, alla contestazione e alla motivazione del provvedimento.
Aveva, quindi, ritenuto pacifico che il ricorrente era adibito al disbrigo delle pratiche di liquidazione dei ratei di prestazione maturati e non riscossi e che era, anzi, unico responsabile delle relative procedure, dalla fase istruttoria alla fase finale del calcolo dell’ammontare del dovuto, irrilevante essendo la firma apposta, all’esito del controllo meramente formale, dai direttori responsabili dell’agenzia di Castrovillari che si erano nel tempo avvicendati. Aveva rilevato che lo stesso ricorrente non aveva contestato la sussistenza, nella loro materialità, delle condotte che gli erano state ascritte e l’ingente danno economico subito dall’istituto per effetto delle stesse, ossia l’indebita liquidazione di ratei maturati e non riscossi di prestazioni di invalidità civile, in quanto già liquidate agli aventi diritto.
Aveva considerato la condotta del ricorrente gravemente colposa per la totale mancanza anche del livello minimo della comune diligenza e della prudenza che, rapportate al suo ruolo di responsabile e al danno causato alla P.A., rendevano la sanzione del licenziamento equa e proporzionata.
In particolare, secondo il Tribunale, la sanzione espulsiva era l’unica possibile in ragione della reiterazione di condotte illecite, illegittime o gravemente omissive tenute dal ricorrente con colpa grave (molto lontana non solo da una particolare perizia nel disbrigo delle pratiche, ma anche da quel minimo di diligenza richiesto nel controllo della documentazione posta a corredo delle domande di liquidazione, ai limiti del dolo) e che determinavano, visti gli ingenti danni economici arrecati all’Istituto, il venir meno del rapporto fiduciario tra quest’ultimo e il proprio dipendente stante l’impossibilità di fare affidamento sul futuro esatto adempimento delle prestazioni lavorative.
Il Tribunale stigmatizzava il fatto che il M. era ben consapevole di disporre una seconda liquidazione di prestazioni già liquidate e di omettere qualsiasi attività di consultazione dei fascicoli precedentemente formati sulle medesime procedure, il cui esame avrebbe chiaramente evidenziato che una liquidazione era stata già disposta.
Rilevava che quanto verificatosi sarebbe stato facilmente evitabile attraverso un controllo, anche non approfondito, almeno del fascicolo afferente alla prima liquidazione, controllo per il quale non erano chieste capacità o doti specifiche, trattandosi del riscontro di anomalie “indiscutibilmente palesi”.
4. In sede di reclamo, la Corte territoriale escludeva che potessero avere efficacia, per così dire, esimente l’assenza di un fascicolo telematico della precedente liquidazione (il che costringeva all’esame del fascicolo cartaceo di non pronta reperibilità) o le responsabilità del direttore di sede che, pur dotato di superiori competenze, aveva comunque autorizzato le liquidazioni senza rilevare alcuna irregolarità.
Quanto al primo aspetto, la Corte d’appello riteneva che la difficoltà di consultazione dei fascicoli cartacei non rappresentava una valida giustificazione dell’omissione, in quanto, a ben vedere, la scarsa sistematicità con cui questi erano conservati era da ascrivere al medesimo ricorrente, in quanto addetto allo specifico servizio.
Aggiungeva che, ove la responsabilità per la corretta conservazione dei fascicoli delle pratiche già liquidate fosse stata di altri, sarebbe stato naturale attendersi la corrispondente segnalazione da parte del medesimo lavoratore al direttore della sede, di cui, però, non v’era menzione né traccia in atti.
Quanto al secondo aspetto, riteneva che a nulla valesse invocare le omissioni del direttore di sede che, a dire del reclamante, avrebbe autorizzato le liquidazioni senza avvedersi delle irregolarità, poi emerse e segnalate in sede ispettiva; e sottolineava che il direttore di sede aveva agito sul presupposto che l’impiegato preposto all’istruttoria della pratica avesse visionato la documentazione che era nella sua disponibilità (le irregolarità, in sostanza, avrebbero dovuto essergli segnalate dallo stesso impiegato, cosa che non era avvenuta).
Aggiungeva che il ricorrente non aveva contestato i gravi fatti addebitatigli ed escludeva che potessero ascriversi ai sistemi informatici o alla scarsa formazione del dipendente.
Evidenziava che, dalle allegazioni dell’INPS, era emerso che il ricorrente aveva evaso una mole notevole di pratiche, 742, e che di tali lavorazioni ben 507 liquidazioni erano risultate indebite, con un enorme danno economico per la PA (complessivi euro 3.856.634,48) e che, in particolare, vi erano state due successive liquidazioni di ratei maturati e non riscossi riferite al medesimo dante causa ma erogate, ciascuna per l’intera quota del 100%, a soggetti diversi non aventi diritto alle stesse.
Conclusivamente, confermava l’adeguatezza e la proporzionalità della sanzione irrogata.
5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.P.M. con un unico motivo, poi ulteriormente illustrato con memoria.
6. L’INPS ha proposto difese con regolare controricorso.
7. Il PG ha presentato conclusioni scritte insistendo per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso D.P.M. denuncia violazione ed errata applicazione dell’art. 55 quater del d.lgs. n. 165/2001 nella parte in cui sancisce il rispetto del principio di gradualità e del principio di proporzionalità delle sanzioni, non avendo la Corte territoriale valutato la non intenzionalità del comportamento, il grado della colpa, la responsabilità del dipendente in confronto a quella del direttore di sede, la mancanza di precedenti disciplinari nell’ambito del biennio e il concorso, nella medesima violazione, di più dipendenti.
Lamenta, ancora, il mancato apprezzamento di ulteriori fattori, a lui non imputabili, come la scarsa accessibilità dei fascicoli cartacei, l’insufficiente funzionamento del sistema informatico e la responsabilità finale del direttore di sede, che firmava l’autorizzazione per la liquidazione. Censura la sentenza impugnata per aver trascurato i fatti concreti, sul piano soggettivo ed oggettivo, sostenendo che anche in caso di condotta contemplata tra le ipotesi di licenziamento per giusta causa il giudice debba effettuare un accertamento sulla gravità e sull’entità dei comportamenti ascritti al dipendente e sul profilo soggettivo della condotta (dolo o colpa). Il ricorrente critica, ancora, la sentenza impugnata per non aver considerato che egli non aveva precedenti disciplinari, era inquadrato nel profilo B1 (con conseguente inferiore grado di affidamento richiesto in relazione a tale qualifica) ed era, infine, sottoposto al controllo del suo superiore gerarchico.
Evidenzia che il licenziamento, quale provvedimento espulsivo, risponde al principio di extrema ratio decisoria e che nell’ambito di tale provvedimento vige un divieto assoluto di automatismo sanzionatorio agli illeciti disciplinari.
2. Il motivo non è fondato.
2.1. La Corte territoriale ha disatteso il secondo ed il terzo motivo di reclamo formulati dal M. (ritenuto assorbito il primo), motivi incentrati, come evidenziato nello storico di lite, dall’omessa considerazione di due fattori, per così dire, esimenti della condotta del M..
Ciò ha fatto con una argomentazione chiara e sulla base delle risultanze di causa, confermando adeguatezza e proporzionalità del licenziamento vista la gravità dei comportamenti commessi, caratterizzati da colpa grave, se non da dolo.
2.2. Con il proprio ricorso il M. denuncia la violazione di norme di diritto senza, però, formulare le censure così come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, trascurando di considerare che il vizio ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’elencazione delle norme di diritto asseritamente violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere il proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. Cass. 12 gennaio 2016, n. 287; Cass. 15 gennaio 2015, n. 635; Cass. 10 dicembre 2014, n. 25419; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038). Nella specie, i motivi, nonostante la veste formale della denuncia di violazione e falsa applicazione di legge, nella sostanza censurano quelli che sono stati accertamenti in fatto della Corte territoriale concernenti il contesto in cui si iscrivono gli addebiti che hanno portato al licenziamento del M., accertamenti non sindacabili in sede di legittimità (sui limiti del novellato n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. v. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054).
2.3. Il ricorrente, inoltre, ripropone i rilievi già vagliati dalla Corte d’appello in punto di gravità degli addebiti, con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede.
2.4. Quanto al grado di affidamento proprio della qualifica e della posizione lavorativa del ricorrente, è sufficiente rimarcare che anche la Corte territoriale ha confermato che per il controllo sulle pratiche (che avrebbe fatto emergere anomalie Indiscutibilmente palesi’) non erano chieste capacità o doti specifiche, ma un minimo di ordinaria diligenza.
Anche l’aspetto del controllo dei superiori gerarchici sull’operato del M. è stato vagliato dai giudici di merito, che ne hanno escluso ogni autonoma rilevanza sottolineando (oltre alla gravità dei comportamenti del lavoratore, alla reiterazione delle condotte, alla non contestazione dei fatti addebitati) il ruolo del M. quale responsabile della procedura (dalla fase istruttoria a quella di liquidazione).
2.5. Né sussiste la denunciata violazione dell’art. 55 quater del d.lgs. 165/2001, atteso che, ad onta di tale riferimento normativo, in realtà il ricorso si limita a sollecitare una diversa valutazione di fatti già ampiamente e motivatamente apprezzati dalla sentenza impugnata.
2.6. Sulla proporzionalità e adeguatezza della sanzione, i giudici di appello hanno evidenziato che le argomentazioni del ricorrente non erano tali da intaccare il giudizio di gravità del giudice di prime cure.
2.7. È pur vero che, in tema di licenziamento per giusta causa, anche in materia di pubblico impiego contrattualizzato è da escludere qualunque sorta di automatismo a seguito dell’accertamento dell’illecito disciplinare, sussistendo l’obbligo per il giudice di valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, e, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta (Cass. 26 settembre 2016, n. 18858; Cass. 10 dicembre 2016, n. 24574; Cass. 6 aprile 2018, n. 9314; Cass. 10 giugno 2021, n. 16393).
2.8. Nondimeno, nella specie non è stato applicato alcun automatismo, ma è stato motivatamente confermato il giudizio di gravità formulato dal Tribunale, secondo cui il comportamento tenuto dal M., per la sua gravità e per i danni arrecati all’istituto previdenziale, ha compromesso in modo irreversibile la fiducia del datore di lavoro.
3. In conclusione, il ricorso va rigettato.
4. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
5. Va dato atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma-1 quater, del d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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