CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 febbraio 2019, n. 5188
Licenziamento – Cooperativa – Falsa attestazione di condizioni lavorative insostenibili – Danno alla reputazione aziendale
Fatti di causa
1. In data 31.3.2014 G. P. V. viene licenziato dalla Cooperativa Pisana S. A. Soc. Coop. arl, a seguito della contestazione disciplinare del 21.3.2014, per avere inviato una mail il 19.3.2014 – con destinatari la società, l’amministratore unico e il responsabile del controllo (committente del servizio di gestione anche dei parcheggi a pagamento della città) – in cui, secondo l’assunto della società datrice di lavoro, erano state rappresentate falsamente condizioni lavorative insostenibili ed il mancato rispetto delle norme sul lavoro nei confronti dei dipendenti, con danno alla reputazione aziendale.
2. Il 25 settembre 2014 il V. impugna giudizialmente il licenziamento chiamando in causa la Cooperativa Pisana S. soc. coop. arl e la T. M. soc. coop arl (quale affittuari dell’azienda dal giorno successivo al licenziamento).
3. Il giudice della fase sommaria dichiara inammissibile il ricorso, con ordinanza del 18.5.2015, per intervenuta decadenza del termine per l’impugnazione giudiziale, in quanto il deposito del ricorso non era stato seguito da valida e tempestiva notifica al datore di lavoro.
4. Il 16 giugno 2015 il V. propone opposizione con atto depositato con modalità cartacee e non telematiche. Istruita la causa, il Tribunale di Pisa con pronuncia n. 99/2016 dell’8.6.2016, respinte le eccezioni di rito di inammissibilità del ricorso iniziale, rigetta l’impugnazione ritenendo legittimo il licenziamento intimato.
5. Interposto reclamo, la Corte di appello di Firenze dichiara illegittimo perché ingiustificato il licenziamento intimato al lavoratore; dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento con riconoscimento del diritto del lavoratore ad essere risarcito, da parte della società, con una indennità onnicomprensiva pari a 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; dichiara improcedibile l’ulteriore domanda di condanna azionata nei confronti della Cooperativa mentre respinge le domande azionate dal lavoratore nei confronti della società T. M.
6. A fondamento del decisum i giudici di seconde cure hanno precisato che: 1) il giudizio della fase sommaria non era improcedibile, per tardiva notifica dell’atto introduttivo del giudizio a seguito di rinnovazione disposta dal giudice, in primo luogo perché i vizi della fase sommaria non si possono riverberare nella successiva fase di opposizione e, in secondo luogo, perché l’art. 6 della legge n. 604/1966 fa esplicito riferimento, per individuare il termine da onorare per impedire la decadenza, al deposito del ricorso e non alla notifica a controparte; 2) attesa la natura di vero e proprio atto introduttivo di costituzione di parte dell’opposizione al provvedimento emesso in fase sommaria del cd. rito Fornero, non era necessario il deposito della opposizione stessa esclusivamente in via telematica, ma poteva avvenire anche in forma cartacea; 3) essendo sottoposta la società datrice di lavoro alla procedura della liquidazione coatta amministrativa, non era proponibile la sola domanda di condanna al pagamento di una indennità risarcitoria, mentre erano ammissibili le altre, ivi compresa quella relativa alla quantificazione dell’indennità ex art. 18 legge n. 300 del 1970; 4) il disposto licenziamento non aveva natura ritorsiva ma non era proporzionato al fatto sicché la tutela applicabile doveva essere quella del V comma dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, restando assorbita la doglianza sulla mancata ritualità della procedura, relativamente alla facoltà dell’incolpato di essere sentito, comunque infondata; 5) la T. M. era estranea alle domande proposte dal lavoratore.
7. Avverso la decisione di 2° grado propone ricorso per cassazione G. P. V. affidato a due motivi.
8. Resistono con controricorso sia la T. M. soc.coop. a ri che la Cooperativa Pisana S. A. se in liquidazione coatta amministrativa la quale, a sua volta, propone ricorso incidentale sulla base di quattro motivi, cui resiste il V.
9. Le parti depositano memorie illustrative.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo del ricorso principale si censura, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 5, della legge 20 maggio 1970 n. 300 (nel testo risultante dopo la legge 28.6.2012 n. 92), per non avere la Corte territoriale esattamente interpretato la suddetta disposizione che, a differenza di quanto ritenuto, consentirebbe la tutela reintegratoria ogni qualvolta sia accertata la sproporzione del licenziamento rispetto all’infrazione, sia quando l’accertamento sia mediato dalle valutazioni della contrattazione collettiva, sia infine quando la valutazione provenga direttamente, in via autonoma, come nel caso de quo, dal giudice adito.
3. Con il secondo motivo si obietta, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cc nonché, di conseguenza, dell’art. 2697 cc, in relazione all’art. 5 legge n. 604 del 1966, per avere erroneamente la Corte di merito interpretato la contestazione disciplinare, in quanto la società non aveva voluto contestare solo la continenza formale del contenuto della mail ma anche la falsità, e per avere male applicato la regola di giudizio dell’art. 2697 cc, in quanto spettava alla società provare detta falsità quale prova sulla sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo posto a base del licenziamento; si deduce, poi, la legittimazione passiva della T. M. atteso che, secondo l’art. 2112 cc, delle pendenze del cedente è tenuto a rispondere anche il cessionario.
4. Con il ricorso incidentale si lamenta, con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, 145 e 153 c.p.c. e dell’art. 6 legge n. 604 del 1966 nonché l’inammissibilità e improcedibilità dell’impugnazione del licenziamento, per avere errato la Corte territoriale nel non avere dichiarato improcedibile il giudizio relativo alla fase sommaria: in sostanza, afferma la ricorrente che: a) la prima notifica del ricorso, effettuata alla Copisa soc. coop. e non al liquidatore, pur risultando pubblica la circostanza della messa in liquidazione coatta della società, era inesistente e non nulla; b) il ricorrente non si era attivato in tempi “ragionevolmente contenuti” per reiterare la notifica correttamente; c) lo spirare del termine decadenziale doveva essere messo necessariamente in relazione con una valida vocatio in ius.
5. Con il secondo motivo del ricorso incidentale la Copisa si duole, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., della violazione e falsa applicazione dell’art. 16 bis comma 1 del d.l. n. 179/2012, conv. nella legge n. 221/2012, nonché l’inammissibilità dell’opposizione ex art. 1 comma 51 legge n. 92 del 2012 con il passaggio in giudicato dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Pisa il 18.5.2015, per non avere ritenuto la Corte di merito che l’opposizione citata andasse necessariamente depositata con le modalità telematiche perché ciò che viene in rilievo è l’attività materiale del deposito e non un atto e che l’uso dell’avverbio “esclusivamente” può avere un senso solo se non si applica il principio della sanatoria per raggiungimento dello scopo.
6. Con il terzo motivo del ricorso incidentale si deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 200 legge fallimentare (RD n. 267/1942) nonché l’improcedibilità della domanda di risarcimento del danno a seguito di intervenuta liquidazione coatta amministrativa, per avere errato la Corte territoriale, pur partendo dal presupposto esatto di non potere emettere statuizioni di condanna, nel determinare l’entità variabile del risarcimento quando, invece, la stessa avrebbe dovuto essere accertata in sede di procedura concorsuale.
7. Con il quarto motivo del ricorso incidentale si eccepisce la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 legge n. 604 del 1966, artt. 2119, 2104, 1375, 1175 cc e art. 18 comma 5 legge n. 300 del 1970, per avere errato la Corte territoriale nel ritenere che il riconoscimento da parte della società del preavviso al dipendente (dal cui rispetto era stato però esonerato) qualificasse il licenziamento intimato per giustificato motivo anziché per giusta causa, escludendo, quindi, che la condotta fosse stata idonea a fare venire meno la fiducia datoriale.
8. Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica deve essere esaminato preliminarmente il ricorso incidentale.
9. Il primo motivo non è fondato.
10. Giova richiamare alcune circostanze in punto di fatto per meglio comprendere la vicenda.
11. Il licenziamento a G. P. V. è stato intimato il 31.3.2014 ed è stato impugnato in via stragiudiziale il 23/29 aprile 2014. Il 25.9.2014 è stato depositato nella cancelleria del Tribunale di Pisa il ricorso con cui il recesso veniva impugnato giudizialmente. Il 3.10.2014 il giudice designato ha fissato con decreto l’udienza di discussione, con comunicazione via pec al difensore del ricorrente. L’8.10.2014 il ricorso con il pedissequo decreto venivano portati all’UNEP di Pisa per la notifica alla controparte. Il 13.10.2014 la relata era negativa perché la sede legale della società era chiusa e non era stata possibile la notifica al legale rapp.te non essendo quest’ultimo indicato nell’atto. All’udienza dell’11.11.2014 il ricorrente chiedeva al giudice un nuovo termine per la notifica che veniva concesso.
12. La società lamenta, da un lato, che l’originario ricorrente non si era attivato, nei modi (anche con notifica via pec) e in tempi ragionevolmente contenuti per ripetere correttamente la notifica e, dall’altro, che tale omissione aveva determinato la decadenza del proposto giudizio di impugnazione del licenziamento.
13. Ciò premesso, ritiene questa Corte che le argomentazioni dei giudici di seconde cure sopra riportati siano corrette.
14. In primo luogo, va rilevato che effettivamente è idoneo, ai fini della conservazione dell’efficacia della impugnazione stragiudiziale del licenziamento, ai sensi del novellato art. 6 della legge n. 604/1966, il mero deposito nella cancelleria del giudice del ricorso ex art. 1 comma 48 e ss della legge n. 92 del 2012 e non anche la notifica al datore del lavoro o la messa a conoscenza di quest’ultimo del ricorso medesimo (cfr. in termini, Cass. 15.11.2018 n. 29429; Cass. 14.7.2016 n. 14390).
15. Ne consegue che, nella fattispecie in esame, non si è verificata alcuna decadenza del diritto di impugnare il licenziamento essendo stato depositato il ricorso nei termini prescritti dalla legge.
16. In secondo luogo, deve ribadirsi il principio, affermato in sede di legittimità e cui si intende dare continuità, secondo il quale, nel rito di cui all’art. 1 commi 48 e ss. della legge n. 92 del 2012 (così come in quello del lavoro), ove risulti omessa o inesistente la notifica del ricorso introduttivo del giudizio e del decreto di fissazione dell’udienza, è ammessa l’assegnazione di un nuovo termine perentorio, ex art. 291 comma 1 c.p.c., per il rinnovo della stessa, non ostandovi le esigenze di celerità che lo ispirano né il principio della ragionevole durata del processo, atteso che l’eventuale inammissibilità o improcedibilità del ricorso non ne precludono la riproposizione, con una ulteriore dilatazione del tempo necessario ad ottenere una pronuncia di merito (cfr. Cass. 1.2.2017 n. 2621).
17. In modo esatto, quindi, non è stata rilevata, dai giudici di seconde cure, l’improcedibilità della fase sommaria del giudizio di impugnazione ed è stata ritenuta legittima la concessione di un termine ex art. 291 c.p.c. per ripetere la notifica.
18. Anche il secondo motivo del ricorso incidentale non è meritevole di accoglimento per le considerazioni che seguono ad integrazione delle argomentazioni della Corte territoriale.
19. Nel cd. rito Fornero, il giudizio di primo grado è unico a composizione bifasica, con una prima fase ad istruttoria sommaria, diretta ad assicurare una più rapida tutela del lavoratore, ed una seconda fase, a cognizione piena, che della precedente costituisce una prosecuzione (cfr. Cass. 21.11.2017 n. 27655; Cass. 6.9.2018 n. 21720; Cass. 30.9.2016 n. 19552).
20. L’art. 16 bis comma 1 d.l. n. 179 del 2012, conv. con mod. nella legge n. 221 del 2012, su cui si basa il motivo in esame, stabilisce che «a decorrere dal 30.6.2014 nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche».
21. La problematica, sottesa alla doglianza che si sta scrutinando, consiste nello stabilire se l’opposizione, avverso l’ordinanza che ha chiuso la fase sommaria, debba essere proposta esclusivamente con le forme telematiche di cui al citato art. 16 bis comma 1 ovvero anche in forma cartacea.
22. I dati testuali contenuti nell’art. 1 commi 51 e 53 della legge n. 92 del 2012 sono ad avviso del collegio inequivocabili nel richiedere, per il passaggio dalla prima alla seconda fase del giudizio di primo grado in questione, la necessità di una specifica costituzione in giudizio.
23. Il richiamo della prima norma, per quanto attiene alla parte ricorrente, ad un ricorso contenente i «requisiti di cui all’articolo 414 del codice di procedura civile», da «depositare innanzi al Tribunale» delinea la medesima fattispecie processuale di cui appunto all’art. 414 c.p.c. (ricorso) e 415 c.p.c. (deposito del medesimo), ovverossia gli stessi incombenti che caratterizzano, nel rito del lavoro, la costituzione in giudizio della parte ricorrente.
24. Non diversamente il successivo comma 53 stabilisce specifiche modalità, ancora analoghe a quelle proprie del rito del lavoro, per la costituzione in tale fase anche dell’opposto.
25. Il giudizio di primo grado, pur unitario, si articola dunque in due fasi procedimentali e l’introduzione della seconda fase richiede un’autonoma costituzione in giudizio delle parti, sicché non ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 16 bis, comma 1, d.l. n. 179 del 2012 cit. e l’introduzione della fase di opposizione fisiologicamente ha corso mediante atti e forma cartacea, come è accaduto nel caso di specie.
26. Essendo peraltro pacifico, e ciò a completezza del quadro giuridico- processuale, che «il deposito per via telematica dell’atto introduttivo del giudizio (…) non dà luogo ad una nullità della costituzione dell’attore, ma ad una mera irregolarità» (Cass. 12.5.2016 n. 9772), sanata ove vi sia raggiungimento dello scopo, sicché anche l’eventuale proposizione dell’opposizione di cui all’art. 1, comma 51 della legge n. 92 del 2012 nel cd. rito Fornero attraverso le forme digitali non avrebbe avuto parimenti alcun effetto invalidante rispetto al procedere del giudizio di primo grado, se pervenuto correttamente nella sfera di conoscenza del destinatario e non vi sia stata alcuna lesione dei diritti di difesa e del contraddittorio di controparte.
27. Il terzo motivo è infondato.
28. La pronuncia dei giudici di secondo grado -i quali stante la documentata ammissione della società alla procedura di liquidazione coatta amministrativa (decretata in data 6.11.2014 ai sensi dell’art. 2545 cc) hanno ritenuto improcedibile la sola domanda di condanna al risarcimento del danno mediante pagamento di una indennità risarcitoria- è conforme all’indirizzo espresso da questa Corte (cfr. Cass. 21.6.2018 n. 16443), condiviso da questo Collegio, in virtù del quale è stato considerato che, in tema di indennità risarcitoria ex art. 18 St. lav., come novellato dall’art. 1 comma 42 della legge n. 92 del 2012, qualora risulti l’interesse del lavoratore all’accertamento del diritto di credito risarcitorio, in via non meramente strumentale alla partecipazione al concorso nella procedura di amministrazione straordinaria bensì alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa, spetta al giudice del lavoro la cognizione delle domande di impugnazione del licenziamento, di reintegrazione nel posto di lavoro e di accertamento dell’indennità risarcitoria.
29. Nel caso in esame è indubitabile che la causa petendi ed il petitum di cui alla domanda del V., all’epoca proposta, riguardavano il rapporto (e non la ammissione del suo credito nello stato passivo) e, in particolare la tutela della sua posizione nell’impresa sia in funzione di una possibile ripresa dell’attività, sia per la coesistenza di diritti non patrimoniali e previdenziali, estranei alla realizzazione della par condicio (Cass. n. 2975 del 2017; Cass. n. 24363 del 2017).
30. Sicché al giudice del lavoro (quale giudice del rapporto), oltre alla verifica sulla domanda di accertamento di illegittimità del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro, compete anche l’accertamento dell’entità dell’indennità risarcitoria, che in tema di licenziamento disciplinare in considerazione del modificato regime operato dalla legge n. 92 del 2012 comporta una valutazione dei profili di selezione e di commisurazione della tutela ex art. 18 St. lav. nuova rispetto a quella in precedenza disciplinata, restando inibita solo la pronuncia di condanna che resta di competenza del giudice fallimentare (quale giudice del concorso) sotto il profilo della insinuazione nello stato passivo e di verifica del diritto di credito per la partecipazione al concorso.
31. Il quarto motivo del ricorso incidentale ed il primo motivo del ricorso principale, da trattarsi congiuntamente per connessione logicogiuridica, sono infondati.
32. La Corte territoriale ha posto a fondamento della propria decisione, sulla tutela accordata ex art. 18 legge n. 300 del 1970, come novellato dalla legge n. 92 del 2012, l’assunto secondo il quale è stata la stessa società Copisa, riconoscendo il preavviso contrattuale, a qualificare il licenziamento intimato per giustificato motivo, anziché per giusta causa.
33. Tale accertamento non può essere sindacato in sede di legittimità perché sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi (cfr. Cass. 11. 10.2005 n. 19742) in ordine al carattere di grave negazione degli elementi fondamentali del rapporto e in specie di quello fiduciario.
34. Ritenendo, poi, la sanzione non proporzionata, la Corte di merito ha ritenuto applicabile il quinto comma dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, dichiarando risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento ritenuto ingiustificato e riconoscendo al lavoratore una indennità onnicomprensiva pari a 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
35. Le conclusioni della Corte di appello sono conformi all’orientamento di legittimità (cfr. Cass 25.5.2017 n. 13178; Cass. 16.7.2018 n. 18823) per il quale l’art. 18 St. lav., come modificato dall’art. 1 comma 42 della legge n. 92 del 2012, riconosce al quarto comma la tutela reintegratoria in caso di insussistenza del fatto contestato, nonché nella ipotesi in cui il fatto contestato sia sostanzialmente irrilevante sotto il profilo disciplinare o non imputabile al lavoratore; la non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra nel suddetto comma 4° quando questa risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, che stabiliscano per esso una sanzione conservativa, diversamente verificandosi le “altre ipotesi” di non ricorrenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per le quali il comma 5° dell’art. 18 prevede la tutela indennitaria forte.
36. L’art. 18 citato, infatti, ha introdotto una graduazione delle sanzioni riconoscendo al comma 4°, la tutela reintegratoria per le ipotesi di maggiore evidenza e, prevedendo, invece, al comma 5°, la tutela risarcitoria per le “altre ipotesi”, quali il difetto di proporzionalità non codificato dalla contrattazione collettiva.
37. Il secondo motivo del ricorso principale, infine, presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
38. Infatti, va sottolineato che l’interpretazione degli atti di autonomia privata è riservata al giudice del merito ed è sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione o per violazione delle regole di ermeneutica contrattuale (ex aliis Cass. 20.5.2004 n. 9628). Tale violazione dei criteri interpretativi non è stata specificata nella censura di talché quest’ultima si rivela inammissibilmente formulata.
39. E’, invece, infondata nella parte in cui viene dedotta un’errata applicazione della regola di giudizio dell’art. 2697 cc perché, a fronte di dichiarazioni (“spremere come limoni i dipendenti e annientamento psicologico e fisico delle risorse”) le quali -con accertamento in fatto incensurabile in sede di legittimità in quanto correttamente e congruamente motivate- sono state ritenute lesive del decoro dell’impresa datoriale e gratuitamente scorrette e, quindi, in violazione del dovere scaturente dall’art. 2105 cc (cfr. Cass. 6.6.2018 n. 14527; Cass. 18.9.2013 n. 21362), era il lavoratore a dovere offrire di avere esercitato una facoltà legittima e non il datore di lavoro a dovere offrire la prova della falsità delle affermazioni fatte dal dipendente.
40. Alla stregua di quanto sopra esposto, sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati.
41. La soccombenza reciproca induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio anche per ciò che concerne la soc. T. M. attestata, in sostanza, sulla medesima posizione processuale di Copisa se in liquidazione coatta amministrativa.
42. Ai sensi dell’alt. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa le spese processuali del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte de! ricorrente e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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