CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 febbraio 2019, n. 5189
Rapporto di lavoro – Appalto – Socio lavoratore – Applicazione del trattamento economico complessivo – Carattere non discontinuo delle mansioni svolte
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Genova, con sentenza n. 61 pubblicata l’11.4.16, ha respinto l’appello proposto da S. S. F. soc. coop. (d’ora in avanti, S.) avverso la sentenza con cui la società datoriale e la committente A.M.T. s.p.a. erano state condannate, in solido, a corrispondere a S. I. le differenze retributive calcolate in base al c.c.n.l. Pulizie e Multiservizi, anziché in base ai contratti collettivi Commercio Cisal e Portieri e Custodi.
2. La Corte di merito, richiamando precedenti pronunce del medesimo ufficio, ha confermato l’applicabilità al socio lavoratore dei trattamenti economici complessivi previsti dal c.c.n.l. Multiservizi, in base alle disposizioni degli artt. 3 e 6, L. n. 142 del 2001 e dell’art. 7, comma 4, D.L. n. 248 del 2007, convertito in L. n. 31 del 2008; inoltre, in base all’art. 118, D.Lgs. n. 163 del 2006, in quanto riferibile anche agli appalti affidati da imprese private con partecipazione pubblica, quale era A.M.T. s.p.a. Ha sottolineato la maggiore rappresentatività comparativa delle organizzazioni stipulanti il c.c.n.l. Multiservizi e la diretta riferibilità del contratto al settore oggetto dell’appalto.
3. Ha precisato come il c.c.n.l. Commercio Cisal, oltre ad essere sottoscritto da una sola sigla sindacale (la Cisal), fosse riferibile alla prestazione di servizi in ogni settore merceologico (terziario – servizi) mentre il c.c.n.l. Portieri e Custodi disciplinasse i rapporti di lavoro alle dipendenze dei proprietari di fabbricati o loro consorzi, e per addetti ad amministrazioni immobiliari o condominiali.
4. Ha ribadito il contenuto dell’obbligo posto dall’art. 7, comma 4, D.L. n. 248 del 2007, convertito in L. n. 31 del 2008, e dall’art. 118, comma 6, D.Lgs. n. 163 del 2006, come concernente l’applicazione del trattamento economico complessivo e non solo di quello base, dovendosi tener conto anche degli accordi locali. Ha ritenuto pacifico il carattere non discontinuo delle mansioni svolte dal lavoratore ed ha escluso che i conteggi eseguiti dal c.t.u. comprendessero somme relative a periodi oggetto della diffida accertativa della D.P.L.
5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S., affidato a sei motivi, cui ha resistito con controricorso il sig. S.
6. A.M.T. s.p.a. è rimasta intimata.
7. Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la S. ha censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 118, D.Lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 12 delle preleggi, per avere la Corte di merito interpretato la disposizione citata come relativa a fattispecie anche diverse dal subappalto, in contrasto col criterio ermeneutico letterale (nel caso di specie riferito in particolare alla rubrica della norma) e con quello logico-teleologico.
2. Col secondo motivo la società ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2070 c.c., degli artt. 36 e 39 Cost., degli artt. 118, comma 6, D.Lgs. n. 163 del 2006, 3 e 6, L. n. 142 del 2001, 7, comma 4, L. n. 31 del 2008, del c.c.n.l. Commercio Cisal e del c.c.n.l. Portieri e Custodi.
3. Ha sostenuto come la Corte di merito avesse male applicato l’art. 118 citato, dando rilievo al requisito della maggiore diffusione del c.c.n.l. Multiservizi a livello nazionale e locale, laddove la disposizione citata non richiede alcuna comparazione in base alla maggiore diffusione dei contratti ma unicamente che si tratti di “contratti collettivi in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni”.
4. Ha affermato come la Corte d’appello avesse male applicato l’art. 7, L. n. 31 del 2008 nell’affermare l’obbligatorietà del trattamento retributivo previsto dal c.c.n.l. Multiservizi in quanto sottoscritto dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative a livello nazionale, trattandosi di requisito soddisfatto anche dal c.c.n.l. Portieri e Custodi, richiamato dal Regolamento cooperativo.
5. Ha dedotto l’erronea applicazione delle disposizioni sopra richiamate di cui alle leggi n. 142 del 2001, n. 31 del 2008 e al D.Lgs. n. 163 del 2006, per avere la Corte di merito escluso la compatibilità con le stesse del c.c.n.l. Commercio Osai sulla base della non perfetta coincidenza del settore merceologico di tale contratto collettivo con quello contenuto nell’oggetto sociale di S., sebbene le norme citate non contenessero un simile precetto e sebbene l’effettiva attività di S. coincidesse con una parte del settore contemplato dal c.c.n.l. Cisal.
6. Secondo la società ricorrente, inoltre, la statuizione della Corte di merito sulla non compatibilità del c.c.n.l. Portieri e Custodi con le disposizioni citate poggerebbe sull’erronea interpretazione del contratto collettivo (artt. 1 e 17) come relativo ad un settore merceologico diverso dall’attività oggetto dell’appalto (di guardiania di immobili di proprietà dell’appaltante), con la conseguenza di avere la Corte d’appello anche trascurato il dato della sottoscrizione di detto contratto da parte delle tre sigle Cgil, Cisl e UN, al pari del c.c.n.l. Multiservizi.
7. Col terzo motivo di ricorso S. ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2070 c.c. e degli artt. 36 e 39 Cost., per avere la Corte d’appello imposto alla società datoriale l’applicazione del c.c.n.l. Multiservizi nei rapporti con i soci lavoratori, sancendo in tal modo l’estensione dell’efficacia del predetto contratto a soggetti non vincolati, secondo un meccanismo diverso da quello previsto dall’art. 39 Cost. Ha sottolineato come la previsione, da parte di alcuni contratti collettivi, di condizioni economiche meno favorevoli per i lavoratori non comportasse automaticamente la non congruità di tali trattamenti rispetto all’art. 36 Cost. e come nel caso di specie ogni verifica di congruità fosse stata omessa dalla Corte d’appello.
8. Col quarto motivo la società ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 115 c.p.c.in relazione al principio del diritto alla prova e al principio di non contestazione, in riferimento all’art. 118, D.Lgs. n. 163 del 2006.
9. Ha sostenuto la falsa applicazione del principio di non contestazione in riferimento ad un parametro, la maggiore diffusione del contratto collettivo, non previsto dalle norme citate e quindi non rilevante ai fini della decisione; ha dedotto la violazione del diritto alla prova, compreso nel principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., per la mancata ammissione della prova testimoniale dedotta al fine di dimostrare come i contratti collettivi (Commercio Cisal e Portieri e Custodi) fossero applicati, come richiesto dall’art. 118 cit., anche nel territorio di Genova da aziende affidatane di servizi analoghi a quelli svolti da S. presso A.M.T. s.p.a.
10. Col quinto motivo la società ricorrente ha censurato la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 6, L. n. 142 del 2001, art. 7, L. n. 31 del 2008, dell’articolo unico del R.D. n. 2657 del 1923, anche in relazione all’art. 32 bis c.c.n.l. Multiservizi.
11. Ha sostenuto come la Corte di merito avesse errato nella determinazione del quantum di differenze retributive non avendo considerato come la modifica, ad opera della L. n. 30 del 2003, dell’art. 6, comma 2, L. n. 142 del 2001, avesse ampliato le ipotesi di deroga regolamentare col solo limite del trattamento economico minimo, rilevando il c.c.n.l. quale parametro esterno per determinare tali condizioni minime.
12. Ha argomentato la violazione del R.D. n. 2657 del 1923 nel computo delle ore di straordinario a partire dalla quarantunesima ora, anziché dalla quarantaseiesima, sostenendo di aver allegato fin dal primo grado (capitoli 2 e 23 della memoria di costituzione, di cui ha riportato alcuni estratti) il carattere discontinuo dell’attività svolta da S.
13. Col sesto motivo di ricorso la società ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., carenza di interesse ad agire rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, in relazione all’illegittima duplicazione dei titoli per le differenze retributive riconosciute al sig. S. nel periodo 26.5.09 – 28.2.10 in quanto già oggetto di diffida accertativa.
14. I primi tre motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente in quanto investono, da diversi punti di vista, l’interpretazione e l’applicazione della disciplina dettata sul trattamento economico dei soci lavoratori di cooperativa.
15. Al riguardo sono necessarie alcune premesse.
16. La L. n. 142 del 2001, nell’ottica di estendere ai soci lavoratori di cooperativa le tutele proprie del lavoro subordinato, ha disposto all’art. 3, comma 1, che: “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo”.
17. Sulla stessa linea si colloca la previsione dell’art. 6, comma 2, della medesima legge che, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 9, lett. f), L. n. 30 del 2003, ha stabilito come il rinvio ai contratti collettivi nazionali operasse solo per il “trattamento economico minimo di cui all’articolo 3, comma 1”, escludendo che il regolamento cooperativo potesse contenere disposizioni derogatorie in peius rispetto a tale trattamento minimo.
18. In questo contesto è intervenuto il D.L. n. 248 del 2007, convertito in L. n. 31 del 2008, che all’art. 7 comma 4 ha previsto: “Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria”.
19. Tale previsione, come si legge in Corte Cost. n. 51 del 2015, è stata adottata all’indomani del Protocollo d’intesa, sottoscritto il 10 ottobre 2007 da Ministero del lavoro, Ministero dello sviluppo economico, AGCI, Confcooperative, Legacoop, CGIL, CISL, UIL, in cui il Governo assumeva l’impegno di avviare «ogni idonea iniziativa amministrativa affinché le cooperative adottino trattamenti economici complessivi del lavoro subordinato, previsti dall’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, non inferiori a quelli previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto dalle associazioni del movimento cooperativo e dalle organizzazioni sindacali per ciascuna parte sociale comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nel settore di riferimento» (punto C). L’obiettivo condiviso dai firmatari del Protocollo è di contestare l’applicazione di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni datoriali e sindacali di non accertata rappresentatività, che prevedano trattamenti retributivi potenzialmente in contrasto con la nozione di retribuzione sufficiente, di cui all’art. 36 Cost., secondo l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza in collegamento con l’art. 2099 cod. civ.”.
20. L’art. 7 in esame, al pari dell’art. 3, L. n. 142 del 2001, richiama i trattamenti economici complessivi minimi previsti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, quale parametro esterno e indiretto di commisurazione del trattamento economico complessivo ai criteri di proporzionalità e sufficienza della retribuzione, previsti dall’art. 36 Cost., di cui si impone l’osservanza anche al lavoro dei soci di cooperative.
21. Il fatto che nel tempo sia stata attribuita alla contrattazione collettiva, nel settore privato e poi anche nel settore pubblico, il ruolo di fonte regolatrice nell’attuazione della garanzia costituzionale di cui all’art. 36 Cost., non impedisce al legislatore di intervenire a fissare in modo inderogabile la retribuzione sufficiente, attraverso, ad esempio, la previsione del salario minimo legale, suggerito dall’OIL come politica per garantire una “giusta retribuzione” (ed oggetto dell’art. 1, comma 7, lett. g) delle legge delega n. 183 del 2014, in questa parte rimasta inattuata) oppure, come avvenuto nella materia in esame, attraverso il rinvio alla contrattazione collettiva.
22. L’attuazione per via legislativa dell’art. 36 Cost., nella perdurante inattuazione dell’art. 39 Cost., non comporta il riconoscimento di efficacia erga omnes del contratto collettivo ma l’utilizzazione dello stesso quale parametro esterno, con effetti vincolanti (cfr. Corte Cost. n. 51 del 2015).
23. L’art. 7, L. n. 31 del 2008 presuppone un concorso tra contratti collettivi nazionali applicabili in un medesimo ambito (“in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria”) e attribuisce riconoscimento legale ai trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria e quindi presumibilmente capaci di realizzare assetti degli interessi collettivi più coerenti col criterio di cui all’art. 36 Cost., rispetto ai contratti conclusi da associazioni comparativamente minoritarie nella categoria.
24. Come si legge nella sentenza della Corte Cost. n. 51 del 2015, “nel l’effettua re un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l’articolo censurato (art. 7, D.L. n. 248 del 2007, ndr. ) si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative”, (in tal senso anche Cass. n. 17583 del 2014; n. 19832 del 2013).
25. Dall’assetto come ricostruito non deriva alcun rischio di lesione del principio di libertà sindacale e del pluralismo sindacale. La scelta legislativa di dare attuazione all’art. 36 Cost., fissando standard minimi inderogabili validi sul territorio nazionale, a tal fine generalizzando l’obbligo di rispettare i trattamenti minimi fissati dai contratti collettivi conclusi dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria, non fa venir meno il diritto delle organizzazioni minoritarie di esercitare la libertà sindacale attraverso la stipula di contratti collettivi, ma limita nei contenuti tale libertà, dovendo essere comunque garantiti livelli retributivi almeno uguali a quelli minimi normativamente imposti. Parimenti, le singole società cooperative potranno scegliere il contratto collettivo da applicare ma non potranno riservare ai soci lavoratori un trattamento economico complessivo inferiore a quello che il legislatore ha ritenuto idoneo a soddisfare i requisiti di sufficienza e proporzionalità della retribuzione.
26. Nella fattispecie oggetto di causa, i regolamenti della società cooperativa S. succedutisi negli anni 2007 e 2009 facevano riferimento, al fine di individuare il trattamento economico dei soci lavoratori, rispettivamente al c.c.n.l. Commercio Cisal e al c.c.n.l. Portieri e Custodi.
27. La Corte d’appello, data la pluralità di contratti collettivi astrattamente riferibili al settore oggetto dell’appalto A.M.T. s.p.a. (concernente la “guardiania di immobili di proprietà dell’appaltante”), ha individuato quale parametro del trattamento economico minimo obbligatoriamente applicabile ai soci lavoratori della cooperativa S., quello previsto dal c.c.n.l. Multiservizi.
28. Più esattamente, la Corte di merito ha ritenuto che quest’ultimo contratto collettivo rispondesse ai requisiti individuati sulla base di interpretazione integrata delle disposizioni sopra richiamate, in quanto stipulato dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e attinente alla categoria oggetto dell’appalto in questione.
29. La non utilizzabilità, quale parametro del trattamento economico minimo, del c.c.n.l. Cisal è stata motivata in ragione della coincidenza solo parziale del settore e della sottoscrizione dello stesso da parte di una sola sigla sindacale, la Cisal, con conseguente difetto del requisito di sottoscrizione da parte delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative quale garanzia di realizzazione di un assetto di interessi più coerente con l’art. 36 Cost.
30. Parimenti, la Corte di merito ha escluso l’utilizzabilità del c.c.n.l. Portieri e Custodi (esattamente “contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti da proprietari di fabbricati”), quale parametro ai fini del trattamento economico minimo, in quanto relativo ad un settore non sovrapponibile a quello oggetto dell’appalto A.M.T. s.p.a.. L’art. 1 del c.c.n.l. suddetto definisce il proprio ambito di applicazione come volto a disciplinare il rapporto dei lavoratori dipendenti da proprietari di fabbricati e da quelli addetti ad amministrazioni immobiliari o condominiali. Tale contratto, se pure sottoscritto dalle sigle sindacali confederali dei lavoratori (Cgil, Cisl e Uil), risulta stipulato, per parte datoriale, da un’unica organizzazione sindacale, la Confederazione italiana della proprietà edilizia (Confedilizia), il che non soddisfa il corrispondente requisito previsto dall’art. 7, L. n. 31 del 2008.
31. La decisione d’appello si fonda su una corretta interpretazione ed applicazione delle disposizioni sopra richiamate e dei contratti collettivi esaminati e si sottrae pertanto alle censure di violazione di legge mosse dalla società ricorrente.
32. Non possono trovare ingresso in questa sede censure che investono accertamenti in fatto, ad esempio sul grado di rappresentatività delle organizzazioni sindacali stipulanti, sull’oggetto dell’attività di S. e sulla coincidenza tra questo e il settore dei contratti collettivi esaminati, e che si collocano al di fuori del vizio di violazione di legge e nell’ambito del vizio motivazionale, nel caso di specie neanche articolato secondo lo schema del nuovo art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (cfr. Cass., S.U., n. 8053 del 2014), applicabile ratione temporis.
33. Il quarto motivo di ricorso è anch’esso infondato rilevando la maggiore o minore diffusività del contratto collettivo unicamente quale indice della misura della rappresentatività delle organizzazioni sindacali stipulanti, requisito quest’ultimo espressamente contemplato dall’art. 7, L. n. 31 del 2008 e oggetto nel caso di specie di accertamento in fatto della Corte d’appello non sindacabile in questa sede di legittimità.
34. Sul quinto motivo di ricorso, deve anzitutto rilevarsi come nella fattispecie in esame non si faccia questione di deroghe in peius introdotte dal regolamento adottato dalla società cooperativa (cfr. art. 6, L. n. 142 del 2001) bensì di individuazione del trattamento economico utilizzabile quale parametro di una retribuzione proporzionata e sufficiente per i soci lavoratori.
35. Le disposizioni su cui si basa la decisione della Corte di merito, in particolare l’art. 3, L. 142 del 2001 e l’art. 7, L. n. 31 del 2008, dichiarano applicabile ai soci lavoratori di cooperativa il “trattamento economico complessivo” non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva sottoscritta dalle organizzazioni sindacali dotate dei requisiti di maggiore rappresentatività comparativa e l’art. 118, comma 6, cit. impone di “osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore nel settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni”.
36. Dal combinato disposto delle norme appena richiamate emerge come il parametro rappresentato dal trattamento economico minimo previsto dalla contrattazione collettiva debba intendersi “complessivo”, quindi inclusivo della retribuzione base e delle altre voci aventi natura retributiva, ed inoltre come tale trattamento rappresenti un limite al di sotto del quale non sia possibile scendere, neanche per effetto di specifiche disposizioni derogatorie contenute nel regolamento cooperativo che, in quanto di minor favore rispetto alla contrattazione collettiva di categoria normativamente assunta a parametro dell’art. 36 Cost., sarebbero nulle.
37. Questa Corte (Cass. n. 17583 del 2014; n. 19832 del 2013) ha già affermato come “In tema di società cooperative, nel regime dettato dalla legge 3 aprile 2001, n. 142, al socio lavoratore subordinato spetta la corresponsione di un trattamento economico complessivo (ossia concernente la retribuzione base e le altre voci retributive) comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, la cui applicabilità, quanto ai minimi contrattuali, non è condizionata dall’entrata in vigore del regolamento previsto dall’art. 6 della legge n. 142 del 2001, che destinato a disciplinare, essenzialmente, le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soci e ad indicare le norme, anche collettive, applicabili, non può contenere disposizioni derogatorie di minor favore rispetto alle previsioni collettive di categoria”.
38. Non appare fondata la dedotta violazione di legge in materia di lavoro discontinuo, oggetto sempre del quinto motivo di ricorso, non essendo ammissibili in questa sede di legittimità censure sull’accertamento in fatto, compiuto dalla sentenza impugnata, quanto al carattere non discontinuo dell’attività svolta.
39. Neppure può trovare accoglimento il sesto motivo di ricorso avendo la Corte d’appello, con accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, escluso qualsiasi duplicazione per non essere stata azionata dal lavoratore la diffida accertativa di cui al D.Lgs. n. 124 del 2004, art. 12, avente valore di titolo esecutivo.
40. Per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto.
41. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità nei confronti del lavoratore controricorrente segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo. Non luogo a provvedere sulle spese nei confronti di A.M.T. s.p.a., rimasta intimata.
42. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti del controricorrente che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarre in favore degli avvocati A. Ca., B. C., S. B..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.
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