CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 febbraio 2022, n. 5516
Tributi – Reddito d’impresa – Determinazione – Cessione di immobile rivalutato – Minsuvalenza – Deducibilità – Esclusione
Fatti di causa
1. In data 24.5.2011 (sent. CTR, p. 1) l’Agenzia delle Entrate notificava alla F.R.E. Srl l’avviso di accertamento n. TF3030401950/2011, attinente ad Ires ed accessori in relazione all’anno 2006 che, facendo proprie le conclusioni cui era giunta la Guardia di Finanza in Processo Verbale di Costatazione (PVC) regolarmente notificato, contestava la indeducibilità di una minusvalenza dichiarata in relazione alla cessione di un immobile, applicando i tributi conseguenziali, oltre sanzioni ed accessori.
2. La società impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli. La contribuente ricordava innanzitutto di svolgere attività principale di compravendita di immobili e, sempre per quanto ancora di interesse, lamentava il vizio di motivazione dell’atto ed il difetto di legittimazione attiva del soggetto firmatario del documento. Contestava, inoltre, la legittimità della deduzione della minusvalenza relativa all’intervenuta cessione di un immobile, del resto già affermata con propria decisione dal Gip del Tribunale di Napoli. La CTP riteneva infondata la contestazione relativa al difetto di legittimazione del firmatario dell’atto impositivo, in quanto emergeva “che il dott. Valletta, sottoscrittore dell’atto, risulta debitamente delegato a tanto con disposizione del Direttore dell’Ufficio”. Inoltre, osservava che la società aveva acquistato l’immobile in questione in anno precedente (2004) e, nell’anno 2006, aveva prima provveduto a rivalutarlo sulla base di una perizia di parte, e quindi lo aveva ceduto a titolo oneroso per un valore inferiore a quello di stima. Questa procedura risultava in contrasto con il principio contabile OIC n. 13, e doveva pertanto reputarsi illegittima. In conseguenza rigettava il ricorso della contribuente.
3. La società impugnava la decisione sfavorevole conseguita in primo grado innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, riproponendo i suoi argomenti.
3.1. La CTR osservava che l’atto impositivo risultava sottoscritto dal Capo team e dal Capo area imprese minori e lavoratori, giusta disposizione di servizio firmata da Direttore provinciale di Napoli, e non sussisteva pertanto il lamentato vizio di legittimazione del firmatario dell’atto. In ordine al contestato vizio di motivazione osservava: “Si ritiene … che la società sia stata messa in condizione di delineare compiutamente l’ambito della pretesa” (sent. CTR, p. 2). A proposito della questione attinente alla indeducibilità della plusvalenza relativa all’intervenuta cessione immobiliare, riteneva condivisibile la decisione adottata dai giudici di primo grado, ma reputava doversi correggere la motivazione. Il richiamo al principio OIC n. 13, che riguarda le rimanenze di magazzino, risultava infatti non precipuo. Doveva invece trovare applicazione il disposto di cui all’art. 101 del Dpr n. 917 del 1986 (TUIR), che consente la deduzione delle minusvalenze se realizzate a titolo oneroso. Nel caso di specie l’immobile era “stato acquistato nel 2004 per l’importo di € 1.212.418,00 e risulta patrimonializzato al 31.12.2005 ad un valore di perizia di € 2.630.000,00, per poi essere stato alienato nell’anno d’imposta oggetto di accertamento per il corrispettivo di € 2.200.000,00, generando quella che, ad avviso della contribuente, rappresenta una minusvalenza deducibile”. Tuttavia “il valore attribuito in sede di perizia, rappresenta un valore aleatorio attribuito dalla parte che ha dato origine ad una posta inesistente”, in conseguenza, “la minusvalenza realizzata nel corso del 2006 rappresenta un valore fittizio e, pertanto, indeducibile” (sent. CTR, p. 2 s.). La CTR, in conseguenza, rigettava il ricorso introdotto dalla contribuente.
4. La F.R.E. Srl ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione sfavorevole conseguita dalla CTR di Napoli, affidandosi a sette strumenti di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate.
5. Il P.M., nella persona del s.Procuratore Generale G.L., ha anche fatto pervenire le proprie conclusioni scritte, ed ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo mezzo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la contribuente contesta la nullità della sentenza per omessa pronuncia, perché la decisione adottata dalla CTR “non contiene l’esposizione della ratio decisoria”, e la motivazione risulta in realtà “solo apparente” (ric., p. 10 s.).
2. Mediante il secondo motivo di ricorso, anch’esso introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod.proc. civ., la contribuente critica ancora la nullità della sentenza adottata dalla CTR, perché non riporta le ragioni di fatto e di diritto della decisione adottata, e si limita ad affermazioni apodittiche.
3. Con il terzo strumento di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente censura la violazione dell’art. 42 del Dpr n. 600 del 1973 e dell’art. 7 della I. n. 212 del 2000, per non avere il giudice dell’appello rilevato la pur contestata illegittimità dell’atto impositivo, motivato soltanto per relationem con riferimento al PVC.
4. Mediante il quarto motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., l’impugnante lamenta la violazione dell’art. 42, comma 3, del Dpr. n. 600 del 1973, per non avere la CTR rilevato che la prova della regolarità della delega, ai fini della sottoscrizione dell’atto impositivo, non è stata fornita dall’Amministrazione finanziaria.
5. Con il quinto strumento di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente contesta la violazione dell’art. 101 del Dpr n. 917 del 1986 (TUIR), in cui è incorso il giudice dell’appello per non aver riconosciuto la deducibilità della minusvalenza derivante alla società dalla vendita dell’immobile nell’anno 2006, del resto già affermata dal giudice penale.
6 Mediante il sesto motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la società censura la violazione dell’art. 7 del Dpr n. 917 del 1986 (TUIR), per avere la CTR ritenuto legittima la contestazione del valore del bene immobile per cui è causa, operata dall’Agenzia delle Entrate in relazione all’anno 2006, mentre la rivalutazione del bene era stata contabilizzata nell’anno 2005, e solo in relazione a tale anno poteva essere oggetto di contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria.
7. Con il settimo strumento di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente critica nuovamente la nullità della sentenza adottata dalla CTR, questa volta per non aver pronunciato sulla questione, che le era stata sottoposta, relativa alla violazione del divieto di doppia imposizione del bene immobile per cui è causa, che era stato rivalutato nell’anno precedente, ed in ordine a tale procedimento era stato assolto ogni onere fiscale.
8. La contribuente lamenta con il primo motivo di impugnazione la mancata indicazione, nella sentenza della CTR, della sua ratio deciderteli, finendo in tal modo per proporre, il giudice dell’appello, una motivazione solo apparente. Mediante il secondo strumento di impugnazione, analogamente, la ricorrente contesta ancora la nullità della sentenza adottata dalla CTR, perché non riporta, innanzitutto, le ragioni di fatto e di diritto della decisione adottata, e si limita a proporre affermazioni apodittiche, in particolare in materia di criticato difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato.
8.1. I due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione, ed anche esigenze di chiarezza espositiva. Innanzitutto, nelle parti in cui si lamenta, di fatto, una omessa pronuncia della CTR, i motivi di ricorso appaiono inammissibili, perché è onere del ricorrente per cassazione indicare in quale sede processuale, e mediante quali formule, abbia proposto le proprie contestazioni nel corso delle fasi di merito, e come abbia diligentemente coltivato le proprie censure, in modo di consentire a questa Corte di legittimità di assolvere al compito che le compete, di procedere al controllo della tempestività, congruità ed adeguata coltivazione delle censure proposte dalle parti, prima ancora di procedere ad esaminarne la decisività.
Pertanto le contestazioni proposte dalla ricorrente secondo cui avrebbe provveduto “a più riprese” ad evidenziare “l’illegittimità dell’atto impositivo, in quanto del tutto carente di motivazione” (ric., p. 11), senza alcuna indicazione di dove e come tali critiche siano state proposte, originano censure inammissibili.
8.2. Mediante il secondo motivo di ricorso, poi, la ricorrente lamenta pure che la decisione adottata dalla CTR, in materia di contestato vizio di motivazione dell’atto impositivo, si limita all’ “apodittica asserzione secondo la quale la Società sarebbe stata posta in condizione di delineare compiutamente l’ambito della pretesa”. Invero, anche questa contestazione non risulta ammissibile. In realtà la critica appare evidentemente rivolta a contestare un vizio di insufficienza della motivazione, che è comunque presente, proponendo una censura che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., non è più consentita.
Il motivo di ricorso appare comunque infondato. Costituisce un principio generale del processo quello secondo cui non deve pronunciarsi la nullità di un atto quando lo stesso abbia raggiunto il proprio scopo (art. 156, comma terzo, cod. proc. civ.). In questo caso la CTR ha inteso farne applicazione, osservando che la contribuente era stata comunque posta in grado di difendersi compiutamente, ed aveva infatti proposto complete e specifiche contestazioni. Questa affermazione deve ritenersi condivisibile.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso devono in definitiva essere dichiarati inammissibili.
9. Mediante il terzo strumento di ricorso la contribuente critica la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la CTR non rilevando che l’atto impositivo notificatole non contiene una propria ratio deciderteli, limitandosi “a far proprie, pedissequamente e acriticamente, le risultanze dei verbali di costatazione” (ric., p. 16) redatti dalla Guardia di Finanza.
Occorre premettere che è circostanza non contestata la regolare notificazione alla società dei verbali relativi alle verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza nei suoi confronti. Può quindi rilevarsi come questa Corte di legittimità abbia avuto occasione di ribadire che “in tema di avviso di accertamento, la motivazione “per relationem” con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura“, Cass. sez. V., 20.12.2018, n. 32957 (Conf. Cass. sez. V, 20.12.2017, n. 30560).
Il terzo motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve essere respinto.
10. Con il quarto mezzo d’impugnazione la ricorrente contesta il vizio di legittimazione del soggetto firmatario dell’atto impositivo impugnato, in quanto nell’avviso di accertamento neppure risultava indicata l’esistenza di un atto di delega, e comunque l’Amministrazione finanziaria non ha fornito la prova che il sottoscrittore fosse stato regolarmente delegato. In materia la CTR ha rigettato le critiche proposte dalla parte, osservando che “per quanto attiene alla pretesa nullità per sottoscrizione da parte di soggetti non legittimati, si precisa che l’accertamento è sottoscritto dal Capo team e dal Capo area imprese minori e lavoratori autonomi giusta disposizione di servizio firmata dal Direttore provinciale di Napoli” (sent. CTR, p. 2).
In proposito la parte contesta che “l’indicazione della delega nell’atto impositivo risulta assolutamente imprescindibile” (ric. p. 20).
Questo argomento risulta non condivisibile, non rinvenendosi la fonte normativa dell’affermazione. Vero è piuttosto che, come recentemente e condivisibilmente ribadito da questa Corte di legittimità, “in tema di avviso di accertamento, se il contribuente contesta la legittimazione del soggetto, diverso dal dirigente, alla sottoscrizione dell’atto, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare, in omaggio al principio di cd. vicinanza della prova, il corretto esercizio del potere producendo, anche nel corso del secondo grado di giudizio, la relativa delega, che pure è solo di firma e non di funzioni” Cass. sez. V, 17.7.2019, n. 19190.
10.1. Nel caso di specie, l’atto impositivo risulta firmato da B.C. (Capo Team 4) e da V.V. (Capo area imprese minori e lavoratori autonomi). l’Agenzia delle Entrate ha quindi prodotto la disposizione di servizio n. 1/2001, sottoscritta dal Capo dell’Ufficio, che conferma la disposizione di servizio n. 2/2010. La ricorrente contesta, però, che non vi è alcuna “identificazione di tali soggetti” delegati, non vi è alcun riferimento “ai limiti del potere di firma e alle tipologie di atti per le quali” (ric., p. 22) la delega è stata conferita. Può allora ancora ricordarsi come questa Corte abbia già avuto occasione di chiarire che “la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni: ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto“, Cass. sez. V, 29.3.2019, n. 8814.
10.2. Quanto alla critica della contribuente secondo cui il contenuto della delega sarebbe rimasto comunque ignoto, perché l’Amministrazione finanziaria avrebbe prodotto un ordine di servizio avente soltanto la funzione di prorogare un altro ordine di servizio, però non prodotto, con la conseguenza che il reale testo della delega conferita sarebbe rimasto comunque non rivelato, la critica appare mal proposta, e perciò non scrutinabile. La società, infatti, non ha cura di riportare il testo dell’ordine di servizio acquisito in atti, e neppure indica in quale sede processuale, e mediante quali formule, abbia proposto questa specifica critica, e come l’abbia diligentemente coltivata.
Il quarto motivo di ricorso si rivela pertanto in parte inammissibile, e per il resto infondato, e deve perciò essere rigettato.
11. Mediante il suo quinto motivo di ricorso la contribuente critica la violazione di legge in cui sostiene essere incorsa la CTR, per aver ritenuto illegittima la deduzione della minusvalenza conseguita mediante cessione dell’immobile nell’anno 2006 a prezzo inferiore rispetto a quello di stima dichiarato nell’anno 2005.
La CTR ha osservato in proposito: “Si ritiene che l’appostamento in bilancio dell’immobile tra i beni strumentali al valore di mercato di € 2.630.000,00 derivante dalla perizia di stima di parte, non risponda al requisito dell’onerosità, in fase di determinazione del valore, di cui all’art. 86 del TUIR, requisito previsto quale condizione per la deducibilità ai sensi dell’art. 101 TUIR … il valore attribuito in perizia rappresenta un valore aleatorio attribuito dalla parte che ha dato origine ad una posta inesistente … la minusvalenza realizzata nel corso del 2006 rappresenta un valore fittizio e, pertanto, indeducibile” (sent. CTR, p. 2 s.).
11.1. In proposito, condividendosi l’esito della valutazione effettuata dal giudice dell’appello, sembra peraltro corretto seguire l’impostazione proposta dal P.M. nelle sue conclusioni scritte.
L’immobile in ordine al quale si controverte è stato acquistato dalla società odierna ricorrente per il prezzo di Euro 1.212.418,00 (sent. CTR, p. 2; la ricorrente indica la cifra di Euro 1.417.582,00, la differenza non è rilevante ai presenti fini) il 18.3.2004, e contabilizzato tra gli immobili-merce, insieme ad altri ingenti acquisti, pressoché contemporanei. Merita di essere ribadito, al proposito, che la F.R.E. Srl svolge, quale propria attività principale, la compravendita di immobili.
Il 31.12.2005, quando lo stesso risulta ancora contabilizzato tra i beni-merce, l’immobile viene quindi rivalutato in base alle risultanze di una perizia di parte, priva di qualsivoglia controllo pubblicistico, all’affermato valore di mercato di Euro 2.600.000,00. Il giorno dopo, il 1°.1.2006, con l’anno nuovo viene mutata la contabilizzazione, sempre dello stesso bene immobile, che viene iscritto quale bene strumentale.
11.2. Già a questo punto della vicenda è possibile rilevare irregolarità idonee a fondare, oltre perplessità sulla regolarità dell’operazione, pure indizi di artificiosa predisposizione delle condizioni per realizzare un’evasione fiscale. Invero, come rilevato dal P.M., la rivalutazione degli immobili è consentita per quelli che siano strumentali all’esercizio dell’impresa, ma non per i beni-merce, mentre, quando la rivalutazione è stata effettuata dalla società, l’immobile era ancora contabilizzato quale bene-merce. Inoltre, la rivalutazione deve essere accompagnata dal versamento di un’imposta sostitutiva.
11.3. Non solo. La contabilizzazione di un bene nell’una oppure nell’altra categoria, ai fini fiscali, non è una valutazione lasciata all’arbitrio di ogni singolo contribuente. I beni sono strumentali o perché tali risultano per natura, oppure perché sono funzionali allo svolgimento dell’attività d’impresa ma, nel caso di specie, la società ricorrente neppure allega che ricorressero le condizioni di legge per la classificazione dell’immobile tra i beni strumentali della propria impresa. Si evidenzia ancora che, nell’ipotesi in esame, una società avente quale principale attività la compravendita immobiliare ha acquistato un immobile e lo ha contabilizzato tra i beni-merce; quindi lo ha rivenduto dopo solo un paio d’anni (29.6.2006), per un importo centinaia di migliaia di Euro superiore a quello di acquisto, ma ritiene deducibile una pretesa minusvalenza, che deriverebbe dall’aver rivalutato (irregolarmente) il bene ed averlo successivamente contabilizzato (senza rivelare la ragione giustificativa) tra i beni strumentali. Tutta l’operazione posta in essere dalla ricorrente, nell’assenza di ogni allegazione delle ragioni giustificative della stessa da parte della società, che non sono state esposte neppure nel pur ampio ricorso per cassazione proposto dalla parte, ed a maggior ragione nell’assenza di ogni prova della sua regolarità, appare finalizzata esclusivamente al conseguimento di un indebito vantaggio fiscale, e devono quindi condividersi le conclusioni proposte dalla CTR secondo cui “la minusvalenza realizzata nel corso del 2006 rappresenta un valore fittizio e, pertanto, indeducibile” (sent. CTR, p. 2 s.).
11.4. Per completezza sembra ancora opportuno ricordare, in ordine all’argomento proposto dalla contribuente secondo cui la legittima deduzione della minusvalenza è stata affermata dal Gip di Napoli il quale, in data 6.9.2011 ed accogliendo la richiesta del P.M., ha disposto archiviarsi il procedimento penale intentato nei confronti del legale rappresentante della società per le ipotesi di reato previste e punite dall’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000, che il giudizio tributario e quello penale hanno presupposti e regole diverse, avendo questa Corte di legittimità chiarito che “in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi” neppure “alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario“, Cass. sez. VI-V, 28.6.2017, n. 16262.
Il quinto motivo di ricorso appare pertanto infondato, e deve essere respinto.
12. Con il suo sesto motivo di ricorso la contribuente contesta la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la CTR non avendo rilevato l’illegittimità dell’avviso di accertamento, nella parte in cui ha disconosciuto il valore dichiarato del bene con riferimento all’anno 2006, mentre la rivalutazione del bene era stata operata e dichiarata nell’anno 2005, e solo in relazione a tale anno poteva essere contestata.
12.1. Mediante l’avviso di accertamento per cui è causa, l’Agenzia delle Entrate ha contestato l’indeducibilità di una minusvalenza dichiarata dalla società in relazione alla vendita di un immobile pacificamente avvenuta nell’anno 2006. Non appare contestabile, pertanto, che pure il presupposto impositivo sia maturato nell’anno 2006, ed in relazione a quell’anno dovesse essere contestato.
Ancor prima, invero, non si rinviene nell’ordinamento tributario vigente la previsione che la indebita rivalutazione di un cespite patrimoniale possa essere contestata soltanto in relazione all’anno d’imposta in cui è stata dichiarata.
Il sesto motivo di ricorso appare quindi infondato e deve essere rigettato.
13. Mediante il settimo mezzo di impugnazione, la società lamenta l’omessa pronuncia della CTR in materia di violazione del divieto di doppia imposizione che sarebbe conseguito dall’avviso di accertamento impugnato.
A quanto è dato comprendere, la ricorrente sostiene che, avendo provveduto alla rivalutazione del bene immobile, provvedendo ad onorare il corrispondente onere fiscale, quando aveva poi proceduto alla rivendita, conseguendo una minusvalenza di cui era stata però esclusa la deducibilità dall’Amministrazione finanziaria, dalla vicenda sarebbe conseguito l’effetto che gli oneri fiscali sostenuti dalla società in dipendenza della rivalutazione risultavano indebiti. La CTR si sarebbe resa responsabile di una omessa pronuncia in relazione a questa contestazione. Anche questa censura risulta mal proposta. Secondo i principi cui si è già operato riferimento esaminando il primo ed il secondo motivo di ricorso, argomenti da intendersi qui riprodotti, non è consentito proporre un ricorso per cassazione affermando che “già in primo grado, l’esponente ha eccepito che la contestazione dell’Agenzia avrebbe condotto ad un’illegittima duplicazione d’imposta, in quanto il maggior reddito derivante dall’indicazione del valore di perizia del bene era già stato assoggettato a tassazione nel 2005” (ric., p. 31). La ricorrente avrebbe dovuto integrare le proprie contestazioni indicando in quale atto del primo grado del giudizio aveva proposto la sua critica, e mediante quale formula, e quindi illustrare come l’avesse diligentemente coltivata.
13.1. La contribuente osserva poi che “nonostante le puntuali argomentazioni fornite dall’esponente, i giudici di prime cure non si sono espressi. Nell’atto di appello, pertanto, l’esponente ha ribadito tale eccezione, secondo quanto esposto” (ric., p. 32), ma non chiarisce le sue puntuali argomentazioni in che cosa consistessero, né in relazione al primo, né in relazione al secondo grado del giudizio. Non è pertanto possibile riscontrare le critiche della ricorrente, secondo la quale la sentenza della CTR sarebbe affetta da nullità per non aver pronunciato su una domanda tempestivamente introdotta in primo grado, diligentemente coltivata e ritualmente riproposta in grado di appello.
Il settimo motivo di impugnazione difetta pertanto di specificità, e deve essere dichiarato inammissibile.
14. In definitiva il ricorso per cassazione proposto dalla contribuente deve essere respinto.
14.1. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo. Risulta dovuto anche il versamento del c.d. doppio contributo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso proposto dalla F.R.E. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, che condanna al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate, e le liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.
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