CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 febbraio 2022, n. 5517
Tributi – Contenzioso tributario – Appello – Sentenza – Motivazione apparente – Nullità
Fatti di causa
1. In data 23.11.2012 (ric., p. 2) l’Agenzia delle Entrate notificava all’A.G. Spa l’avviso di accertamento n. TMB037E00647/2012, attinente ad Ires, Iva ed Irap, in relazione all’anno 2007, mediante il quale l’Amministrazione finanziaria richiedeva il pagamento di maggiori tributi per Euro 2.513.586,00 oltre accessori, in conseguenza dell’omessa contabilizzazione di componenti positivi (transfer pricing), nonché a causa di costi dichiarati, ma ritenuti non di competenza, o non inerenti, o comunque non deducibili.
2. La società impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano e contestava, per quanto ancora di interesse, il vizio di motivazione dell’avviso di accertamento, l’infondatezza di tutti i rilievi proposti dall’Agenzia delle Entrate, l’omessa indicazione del responsabile dell’intero procedimento c.d. impoesattivo, nonché il difetto di legittimazione del firmatario dell’atto impositivo e l’illegittimità dell’elevato valore dell’aggio imposto, peraltro null’affatto commisurato alla modesta prestazione richiesta all’esattore. La CTP rigettava per larga parte il ricorso proposto dalla società, accogliendolo solo in riferimento al ricalcolo dei costi per autovetture dichiarati.
3. Avverso la decisione adottata dalla CTP spiegavano appello, principale la contribuente ed incidentale l’Agenzia delle Entrate, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che rigettava entrambi.
4. La pronuncia della CTR è stata impugnata per cassazione dalla A.G. Spa, che si affida a cinque motivi di ricorso. Resiste mediante controricorso l’Amministrazione finanziaria.
4.1. Ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte il P.M., nella persona del s.Procuratore Generale G.L., che ha domandato dichiararsi inammissibili il primo ed il quinto motivo di impugnazione, e per il resto ha chiesto rigettarsi il ricorso proposto dalla contribuente.
4.1.1. Successivamente la A.G. Spa ha depositato memoria, insistendo nel domandare l’accoglimento delle proprie ragioni di censura ed evidenziando, a proposito dell’aggio riconosciuto all’Incaricato per la riscossione, di cui al quarto motivo di ricorso, che la normativa è cambiata, essendo risultato necessario adeguarsi alle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, ed avendo la legge 30.12.2021, n. 234, modificato l’art. 17 del D.Lgs. n. 112 del 1999, con la conseguenza che si impone un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa vigente per quanto attiene al periodo antecedente l’entrata in vigore dell’innovazione (1.1.2022).
Ragioni della decisione
1. Mediante il primo motivo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente contesta la nullità della sentenza adottata dal giudice dell’appello, in conseguenza della violazione del disposto di cui all’art. 36, comma secondo, e 62, comma primo, del D.Lgs. n. 546 del 1992, anche in relazione all’art. 111, comma sesto, Cost. per non avere la CTR adottato una motivazione propria della decisione, essendosi limitata ad aderire alle valutazioni espresse dal giudice di primo grado, a sua volta ampiamente riproduttive del contenuto dell’atto impositivo, redigendo il giudice dell’appello, in definitiva, una motivazione puramente apparente.
2. Mediante il suo secondo strumento di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la società censura la violazione degli artt. 42, commi 1 e 3, del Dpr n. 600 del 1973, e 62, comma primo, del D.Lgs. n. 546 del 1992, per non avere la CTR rilevato il vizio di legittimazione del soggetto firmatario dell’avviso di accertamento, neppure appartenente alla carriera direttiva.
3. Mediante il terzo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., la ricorrente critica la decisione adottata dalla CTR per essere incorsa nella violazione dell’art. 36, comma 4 ter, del Dl. n. 248 del 2007, come conv., e dell’art. 29, comma 1, lett. g), del Dl. n. 78 del 2010, come conv., nonché dell’art. 62, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, per avere il giudice dell’appello ritenuto infondata la questione relativa all’indicazione nell’atto impositivo del solo “funzionario responsabile del procedimento di accertamento, senza tener minimamente conto che l’atto impositivo comprende anche il procedimento di formazione del titolo esecutivo, del precetto e della notificazione” (ric., p. 60).
4. Con il suo quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente lamenta la violazione dell’art. 29, comma 1, del Dl. n. 78 del 2010, come conv., in combinato disposto con l’art. 17 del D.Lgs. n. 112 del 1999, nonché dell’art. 2 del D.Lgs. n. 112 del 1999, anche in relazione agli artt. 3, 53 e 97 Cost., nonché dell’art. 54 T.U.E., dell’art. 49 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 107 T.F.U.E., in cui è incorsa la CTR per aver ritenuto legittima l’elevata misura dell’aggio applicato dall’Agente della riscossione, “senza minimamente tener conto del servizio reso” (ric., p. 61).
5. Mediante il suo quinto strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la ricorrente censura la nullità della sentenza, in conseguenza della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., “ovvero violazione o falsa applicazione dell’art. 29 del D.I n. 78 del 2010”, come conv., per avere l’impugnata CTR omesso di pronunciare sul contestato vizio dell’atto impositivo impugnato, in conseguenza dell’omesso riferimento alla sospensione ex lege di centottanta giorni, “in violazione dell’art. 29 del Dl. n. 78 del 2010” (ric., p. 64), nonché in relazione alla mancata indicazione delle modalità di calcolo degli interessi.
6. Con il suo primo motivo di ricorso, la società contesta la nullità della impugnata sentenza adottata dalla CTR della Lombardia, per aver proposto una motivazione soltanto apparente, essendosi limitata a richiamare il contenuto della decisione di primo grado, a sua volta ampiamente riproducente il contenuto dell’atto impositivo, senza operare alcuna autonoma valutazione.
Deve in primo luogo rilevarsi che la ricorrente ha avuto cura di indicare in qual modo abbia proposto le sue censure sin dal ricorso introduttivo (ric., p. 5 ss.), e come le abbia diligentemente coltivate. Il motivo di ricorso risulta pertanto ammissibile.
6.1. Invero, nella impugnata decisione i giudici dell’appello hanno espresso una valutazione su alcune delle questioni devolute alla loro cognizione, ma lo hanno fatto – con l’eccezione della problematica relativa alla deducibilità dei costi per le auto aziendali, in relazione alla quale il rilievo proposto dall’Amministrazione finanziaria è stato annullato dalla CTR, e su questa pronuncia si è anche formato il giudicato, in assenza di impugnazione – operando riferimento a quanto deciso dalla CTP ed alla stessa motivazione dell’avviso di accertamento, aggiungendo richiami non completamente pertinenti a pronunce alla giurisprudenza della Suprema Corte, senza però rivelare adeguatamente le ragioni della propria adesione agli argomenti proposti dalla CTP e dall’Amministrazione finanziaria, e soprattutto senza assicurare un’adeguata analisi delle repliche proposte dalla parte. Quindi il giudice dell’appello ha riassuntivamente affermato che l’appellante ha riproposto, nel secondo grado del giudizio, “i medesimi motivi” già introdotti innanzi alla CTP, mentre “i motivi di appello … devono riguardare la sentenza della Commissione tributaria e non l’avviso di accertamento … in buona sostanza”, nel ricorso della società “manca la specifica motivazione e cioè, oltre alla precisazione delle parti della sentenza che si intende appellare, anche l’indicazione del perché esse siano errate, e del come, invece, avrebbero dovuto essere” (sent. CTR, p. VI).
6.1.1. Nel caso di specie, però, la contribuente aveva illustrato con ampia esposizione le ragioni di replica alle tesi sostenute dall’Agenzia delle Entrate, già nel primo grado del giudizio, e lamentava che le sue argomentazioni non fossero state esaminate con completezza dalla CTP, pertanto le ha riproposte, ma neppure il giudice dell’appello ha ritenuto di esaminare adeguatamente le tesi della ricorrente, riportandosi a quanto sostenuto nell’avviso di accertamento nonché alla lacunosa pronuncia di primo grado.
6.2. Tanto rilevato, deve ancora osservarsi che le questioni sostanziali poste in questo giudizio non appaiono di poco momento, e richiedono una specifica analisi da parte del giudice del merito, cui sono devolute le valutazioni in proposito. A titolo esemplificativo, può segnalarsi che in materia di transfer pricing occorre procedere ad una adeguata analisi e valutazione economica (quantitativa e qualitativa) della vicenda, che deve essere esposta dal giudice con chiarezza (cfr. Cass. sez. V, 18.6.2020, n. 11837), anche perché occorre rispettare (pure) le normative sovranazionali vigenti in materia. Valutazioni analoghe devono esprimersi anche in ordine alla contestazione relativa alle quote di avviamento Dupont, cui la parte assume di aver legittimamente proceduto, ai fini fiscali (per i quali sono previste normative proprie, diverse da quella civilistica ordinaria), in un termine più lungo rispetto a quello ritenuto legittimo dall’Amministrazione finanziaria, ma compete allora al giudice chiarire nella violazione di quale normativa sia incorsa la parte. Anche in relazione al fondo svalutazione crediti conseguente alla cessione del ramo d’azienda Graphics, occorre indicare le ragioni che inducono a ritenere che non si trattasse di un fondo “tassato”.
I limiti della motivazione della sentenza d’appello lamentati dalla contribuente, pertanto, deve ritenersi che effettivamente sussistano, ed il primo motivo di ricorso proposto dalla società deve quindi essere accolto.
7. Mediante il suo secondo mezzo di impugnazione la ricorrente contesta il vizio di legittimazione del firmatario dell’atto impositivo per conto dell’Amministrazione finanziaria.
Deve in primo luogo rilevarsi che la ricorrente ha avuto cura di indicare in qual modo abbia proposto le sue censure sin dal ricorso introduttivo, e come le abbia diligentemente coltivate, anche a seguito della produzione dell’atto di delega da parte dell’Agenzia delle Entrate, avvenuta nel corso del giudizio di primo grado. Il motivo di ricorso risulta pertanto ammissibile.
7.1. La CTR ha esaminato la questione, ed ha concluso che l’avviso di accertamento risultava legittimamente redatto e sottoscritto, perché deve affermarsi, sul fondamento dell’orientamento espresso dalla stessa Corte di legittimità, che non è essenziale il “requisito della sottoscrizione degli atti amministrativi ai fini della loro esistenza e validità … la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che al di là di questi elementi formali, esso sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo” (sent. CTR, p. III s.).
7.2. La decisione adottata dalla CTR deve valutarsi corretta, ma appare necessario integrare la sua motivazione. L’avviso di accertamento per cui è causa, risulta incontestato, è stato sottoscritto dal dott. L.N., e l’Agenzia ha prodotto atto avente ad oggetto l’attribuzione dell’incarico dirigenziale di Capo Sezione Controlli Fiscali in suo favore, nonché atto di attribuzione del potere di firma ai Dirigenti della Direzione Generale della Lombardia (sent. CTP, riportata in ric., p. 26). Anche in sede di ricorso per cassazione, però, la ricorrente insiste nell’affermare che l’appartenenza alla carriera direttiva del firmatario dell’atto, richiesta quale requisito indispensabile dall’art. 42 del Dpr n. 600 del 1973, non è stata provata dall’Amministrazione finanziaria, poiché la documentazione prodotta permette solo di affermare che egli fosse un “incaricato di funzioni dirigenziali” (ric., pp. 57, 59).
In proposito questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire che “in tema di accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena dì nullità dal Capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito dalla l. n. 44 del 2012“, Cass. sez. V, 26.2.2020, n. 5177 (conf. Cass. sez. V, 9.11.2015, n. 22810), non avendo la Corte di legittimità mancato di evidenziare che “la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni: ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto“, Cass. sez. V, 29.3.2019, n. 8814.
Il secondo motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve essere perciò respinto.
8. Con il terzo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta la violazione di legge in cui sostiene essere incorsa la CTR per aver ritenuto infondata la contestazione relativa all’indicazione nel testo dell’atto impositivo del solo responsabile del procedimento di accertamento, e non anche del responsabile del procedimento di formazione del titolo esecutivo, del precetto e della notificazione. Appare quindi opportuno ricordare che al contribuente è stato notificato un unico e peculiare avviso di accertamento, un c.d. atto impoesattivo. La funzione di questo documento è di contestare al contribuente l’obbligo di pagamento di oneri tributari, ed ha pertanto natura di atto impositivo, ma il documento assolve anche alla funzione di costituire un titolo esecutivo, il primo atto della procedura esattiva.
Nel testo dell’atto è indicato il responsabile del procedimento di accertamento, evidentemente da intendersi quale responsabile dell’intero e specifico procedimento di accertamento, e pertanto anche in riferimento a tutte le diverse possibili funzioni dell’atto. La novità della questione esaminata induce a ritenere opportuno indicare il seguente principio di diritto: “ai fini della regolarità dell’avviso di accertamento notificato dall’Amministrazione finanziaria, qualora esso – in conformità alle previsioni normative vigenti per il caso di specie – consista in un atto c.d. impoesattivo, documento che assolve alla funzione di contestare al contribuente l’obbligo di pagamento di oneri tributari, avendo pertanto natura di atto impositivo, ed assolve anche alla funzione di costituire il primo atto della procedura esecutiva, l’indicazione del responsabile del procedimento di accertamento vale ad indicare il soggetto responsabile della complessiva procedura, non essendo necessaria l’indicazione che egli sia il responsabile sia della procedura di accertamento sia della procedura esecutiva“.
Il terzo motivo di ricorso deve pertanto essere rigettato.
9. Mediante il quarto strumento di impugnazione la società contesta la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la CTR, per non avere ritenuto illegittima l’elevata misura dell’aggio, applicato dall’Agente della riscossione per un valore pari al 9°/o delle somme intimate, senza minimamente tener conto del servizio in concreto reso, che ha richiesto un’attività di natura esclusivamente esecutiva. Invero, come segnalato dalla controricorrente, non appare chiaramente intellegibile la natura della contestazione proposta dalla ricorrente, e pertanto quale sia la violazione di legge concretamente contestata. Sembra corretto ritenere, poiché non risulta criticata l’erronea applicazione della normativa vigente, che la società intenda contestare la incostituzionalità della disciplina che regola l’ammontare dell’aggio, applicabile “ratione temporis”, perché prevede l’applicazione di un importo elevato e non proporzionato al servizio reso dall’Incaricato per la riscossione. Inoltre, la ricorrente censura pure la ritenuta violazione della disciplina europea sugli aiuti di Stato che deriverebbe dalle criticate disposizioni normative.
Invero, questa Suprema Corte ha chiarito che l’aggio imposto non ha natura sanzionatoria, spiegando che “attesa la natura retributiva dell’aggio di riscossione, derivante dalla sua funzione di compenso per l’attività esattoriale del soggetto incaricato, è manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 17 d. Lgs. n. 112 del 1999 come modificato dall’art 2 del d.l. n. 262 del 2006, convertito con modificazioni dalla legge n. 286 del 2006, fondata sull’asserita violazione della capacità contributiva prevista dall’art. 53 Cost.”, Cass. sez. V, 14.2.2018, n. 3524; e la Corte di legittimità ha statuito pure che “in tema di riscossione, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1999, come modificato dall’art. 2, comma 3, lett. a), del d.l. n. 262 del 2006, convertito dalla l. n. 286 del 2006, per violazione degli artt. 3, 25, 53 e 97 Cost., nella misura in cui detta disposizione, onerando il contribuente di corrispondere l’aggio esattoriale, nell’ipotesi sia di pagamento tempestivo che tardivo, in quest’ultimo caso in misura integrale, introdurrebbe una misura sostanzialmente sanzionatoria o, comunque, una vera e propria nuova tassa con effetti retroattivi, in violazione dell’art. 25 Cost., nonché dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza ex art. 3 Cost., di capacità contributiva ex art. 53 Cost. e di buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., atteso che l’aggio ha natura retributiva e non tributaria”; Cass. sez. V, 19.1.2018, n. 1311; non avendo mancato recentemente di specificare, in relazione ad analoga problematica, che “in tema di riscossione, a seguito della sostituzione della concessione esattoriale con l’attribuzione ex lege del servizio di riscossione dei tributi a società a prevalente partecipazione pubblica strumentale all’Agenzia delle entrate, permane la giustificazione alla imposizione normativa di un corrispettivo per lo svolgimento dell’attività esattoriale, e la percentuale fissata dall’art. 5, comma 1, d.l. n. 95 del 2012, conv. in l. n. 135 del 2012 non costituisce un limite quantitativo massimo, non avendo l’aggio natura di compenso modulabile proporzionalmente all’entità dell’attività di volta in volta espletata dall’esattore“, Cass. sez. V, 3.12.2020, n. 27650. A tanto deve aggiungersi, conclusivamente, come lo stesso Giudice delle leggi abbia di recente confermato che “sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale – sollevate … in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 53, 76 e 97 Cost. – dell’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999, come sostituito dall’art. 32, comma 1, lett. a), del d.l. n. 185 del 2008, conv., con modif., nella legge n. 2 del 2009 che, con riguardo alla remunerazione del servizio di riscossione, impone a carico del debitore un aggio in percentuale fissa, integrale o ridotta, anziché riferito all’effettivo costo del servizio. Le esigenze prospettate dal rimettente, pur meritevoli di considerazione, implicano una modifica rientrante nell’ambito delle scelte riservate alla discrezionalità del legislatore”, Corte cost. 10.6.2021, n. 120, pur invitando la Consulta il legislatore a procedere al riesame della disciplina vigente.
9.1. La natura remuneratoria del servizio reso dall’esattore dell’aggio, così come disciplinato dalla normativa applicabile alla fattispecie, induce anche a ritenere non ricorrente neppure la violazione della disciplina degli aiuti di Stato, così come prevista in sede di legislazione europea.
Il quarto motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.
10. Con il quinto motivo di ricorso la società critica la nullità della sentenza adottata dalla CTR, per non aver pronunciato in materia di mancato riferimento nell’atto impositivo della “sospensione ex lege di 180 giorni” (ric., p. 64).
Il motivo di ricorso risulta infondato. Dalle stesse parole della ricorrente si evidenzia che la sospensione di cui trattasi è prevista dalla legge, e non vi era pertanto necessità della sua indicazione nel testo dell’atto impoesattivo.
10.1. Nel testo del motivo, peraltro, la contribuente propone lamentele anche in relazione alla mancata indicazione delle modalità di calcolo degli interessi nell’avviso di accertamento, peraltro non riprese nella memoria depositata in vista dell’udienza. La questione, invero, di per sé assume rilievo in materia di completezza della motivazione degli atti tributari, come è dimostrato pure dalla ord. Sez. V, 5.11.2021, n. 31960, con la quale si è rivolto al Primo Presidente l’invito a consentire l’esame delle Sezioni Unite della Suprema Corte in argomento. Nel presente giudizio, però, il rilievo proposto dalla parte in proposito appare generico, perché la società si limita ad osservare che, in considerazione del testo dell’atto impoesattivo, “fuori dei casi di riscossione frazionata, il contribuente non è posto in condizione di quantificare con esattezza le somme dovute a titolo di interesse” (ric., p. 66). Non indica la ricorrente se intenda contestare le modalità con le quali l’Ente impositore ha calcolato gli interessi legali, o interessi di diversa natura. Non indica in qual modo avrebbero dovuto invece calcolarsi gli interessi dovuti. Non segnala, soprattutto, quando abbia proposto la specifica questione nei gradi di merito, e mediante quali formule, non riportate neppure in sintesi, impedendo a questa Corte di provvedere al controllo che le compete in materia di tempestività e congruità, oltre che di diligente coltivazione, delle censure proposte, prima ancora di provvedere a valutarne la decisività. Le doglianze proposte dalla società in materia risultano pertanto inammissibili.
Il quinto motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.
12. In definitiva, il primo motivo di ricorso introdotto dalla contribuente deve essere accolto, respinti gli ulteriori, e la sentenza impugnata deve essere pertanto cassata con rinvio alla Commissione Tributaria di Milano che, in diversa composizione, procederà a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi esposti, e provvederà anche a regolare le spese di lite del giudizio di legittimità tra le parti.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso proposto dalla A.G. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, nei limiti di cui in motivazione, rigetta gli ulteriori, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale di Milano che, in diversa composizione, procederà a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi esposti, e provvederà anche a regolare le spese di lite del giudizio di legittimità tra le parti.