CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 febbraio 2022, n. 5649

Licenziamento collettivo – Completezza della comunicazione di avvio della procedura – Discrezionalità del criterio delle esigenze aziendali – Corretta informazione delle organizzazioni sindacali

Fatti di causa

F.B. e V.L. hanno interposto reclamo avverso la sentenza n. 579/2016, emessa dal Tribunale di Roma, Sezione lavoro, il 29.5.2018, in sede di opposizione ad ordinanza di accoglimento del ricorso proposto dalle stesse con il rito c.d. Fornero, diretto all’accertamento della illegittimità del licenziamento alle stesse irrogato il 30.1.2016 dalla A.80 S.p.A., nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo avviato con lettera di apertura del 19.10.2015, ed altresì alla reintegrazione ex art. 18 della l. n. 300 del 1970.

La Corte territoriale di Roma, con la sentenza n. 3861/2018, pubblicata il 23.10.2018, ha rigettato il reclamo, sottolineando, tra l’altro, quanto alla lamentata genericità ed indeterminatezza del criterio di scelta legato alle <<esigenze aziendali delle quali non era stata fornita una puntuale indicazione>>, che, ai sensi dell’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte (per tutte, Cass. n. 7837/2018), <<In tema di licenziamento collettivo, la sufficienza e l’adeguatezza della comunicazione di avvio della procedura vanno valutate in relazione alla finalità della corretta informazione delle organizzazioni sindacali, che può ritenersi in concreto raggiunta nel caso venga successivamente stipulato l’accordo di cui all’art. 4, comma 5, della l. n. 223 del 1991; quest’ultimo, tuttavia, non costituisce una sanatoria dei vizi della procedura, restando per il giudice l’obbligo della verifica in sede di merito circa l’effettiva completezza della comunicazione>>; che <<tale principio evidenzia un rapporto di stretta e reciproca interdipendenza tra il contenuto della comunicazione di apertura del licenziamento collettivo e la formazione dell’accordo sindacale, alla luce del quale va scrutinata la stessa “tenuta” dell’accordo ai fini della verifica della specifica indicazione dei criteri di scelta ivi concordati: devono infatti valutarsi la qualità ed il grado di informazioni che l’azienda fornisce alle organizzazioni sindacali perché queste possano esercitare un controllo consapevole sulla procedura ed esprimere il loro consenso in sede negoziale>>; e che <<nel caso di specie la comunicazione di avvio della procedura preannunciava l’esubero, tra gli altri profili, di 12 impiegati amministrativi, con l’aggiunta che sarebbe stato esternalizzato il servizio CUP>>.

Per la cassazione della sentenza F.B. e V.L. hanno proposto ricorso affidato a sei motivi ulteriormente illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 del codice di rito, cui la società ha resistito con controricorso.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, comma 57, della l. n. 92 del 1992; 429, primo e secondo comma c.p.c., ed in particolare, la <<nullità della sentenza resa dal Tribunale nel giudizio di opposizione>> e si chiede la <<rimessione al primo giudice (quello dell’opposizione in primo grado)>>, assumendosi che il predetto giudice sarebbe incorso in una nullità insanabile perché avrebbe redatto <<il 29 maggio 2018 un dispositivo che non ha neanche letto in udienza, concedendosi addirittura un termine di 60 giorni per motivare>>.

2. Con il secondo motivo si denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 429, primo e secondo comma, c.p.c.; 161, secondo comma, c.p.c., <<e, quanto agli effetti della nullità della sentenza per omessa lettura del dispositivo, degli artt. 353 e 354 c.p.c.>>, trattandosi <<di un’ipotesi di nullità insanabile e/o di inesistenza della sentenza che discende proprio dall’omessa lettura del dispositivo, non sanabile col deposito della motivazione successiva>>.

3. Con il terzo motivo si censura, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4, co. 9 e 12, della l. n. 223 del 1991; 5 della l. n. 223 del 1991, per omessa, puntuale, indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori licenziati e delle modalità applicative dei criteri stessi, avendo i giudici di merito erroneamente interpretato le norme citate con riguardo alla idoneità del criterio delle esigenze tecniche, organizzative e produttive a soddisfare l’esigenza di specificità della comunicazione di avvio della procedura ex art. 4 della l. n. 223 del 1991 e con riguardo alle modalità applicative di tale criterio nel caso di specie.

4. Con il quarto mezzo di impugnazione si deduce, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4, comma 9, della l. n. 223 del 1991; 5, comma 1, della l. n. 223 del 1991, per l’arbitraria ed illegittima restrizione dell’ambito di selezione della platea dei destinatari del licenziamento operata dalla società datrice nell’ambito solo di alcuni reparti della stessa e, cioè, solo tra i dipendenti che prestano attività in via A.80 e non anche tra quelli che lavorano presso l’Hotel P.B.

5. Con il quinto mezzo di impugnazione si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e segg. del D.lgs. n. 148 del 2015 che disciplinano l’istituto del contratto di solidarietà difensivo, per avere la Corte di merito erroneamente affermato che, con l’entrata in vigore del D.lgs. n, 148 del 2015, in data 24.9.2015, è stato disegnato un nuovo contratto di solidarietà difensivo istituito con D.l. n. 726 del 1984, con abrogazione del divieto di licenziamento, senza considerare che quest’ultimo D.I., convertito, con modificazioni, in l. n. 863 del 1984, non menziona un divieto di licenziamento, e che il divieto di licenziamento collettivo in costanza di contratto di solidarietà difensivo è connaturato alla struttura stessa dell’istituto giuridico.

6. Con il sesto motivo si assume, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 44 del D.lgs. n. 148 del 2015, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie la citata normativa.

1.1. ; 2.2. Il primo motivo ed il secondo motivo – da trattare congiuntamente per ragioni di interferenza – non sono meritevoli di accoglimento. Ed invero – posto che sul fatto che l’udienza di discussione si sia tenuta il 29.5.2018 e che la sentenza del Tribunale in sede di opposizione sia stata pubblicata il 6.6.2018, cioè otto giorni dopo l’udienza di discussione (e, quindi, nei termini di legge), non vi è questione -, va condiviso quanto affermato dalla Corte di merito sul punto e, cioè, che <<La pronuncia del dispositivo nel rito Fornero, in assenza di norme sanzionatone, può tutt’al più comportare un’anticipazione del decisum rispetto ai motivi che ne costituiscono il fondamento; se inoltre la motivazione interviene, come in questo caso, nei dieci giorni dalla data dell’udienza, unico termine dettato dal rito (art. 1 comma 57), rimane salva la ratio acceleratoria del rito speciale di contenere dispositivo e motivazione in un’unica pronuncia, da depositarsi entro un termine congruo (appunto dieci giorni)>>. Peraltro, neppure ai fini della impugnazione si configura alcun w pregiudizio, poiché i termini per la stessa decorrono dal deposito I della motivazione, anche se quest’ultima viene anticipata dal dispositivo, ai sensi dell’art. 1, commi 57 e 58, della l. n. 92 del 2012.

Inoltre, poiché nel rito c.d. Fornero non è prevista la lettura del dispositivo in udienza (e, comunque, laddove tale pronunzia vi sia stata, la stessa altro non è che una mera anticipazione della pubblicazione del dispositivo rispetto alla motivazione, che, per quanto innanzi osservato, non comporta nullità), si osserva che, in ogni caso, una eventuale nullità della sentenza rientrerebbe comunque tra le ipotesi di nullità processuale, che, non può mai essere pronunziata qualora l’atto (come in questo caso) raggiunga il suo scopo, secondo quanto disposto dagli artt. 156 e segg. del codice di rito; e, nella fattispecie, per le considerazioni innanzi svolte, non si configura alcuna incisione del diritto di difesa, tenuto anche <<conto della completezza delle argomentazioni difensive spiegate, anche nel merito in sede di reclamo>>, come correttamente sottolineato dai giudici di merito (v. pag. 4 della sentenza impugnata).

Ed è, inoltre, da respingere la richiesta di rimessione della causa in primo grado, dinanzi al giudice dell’opposizione, esulando il caso di specie dalle ipotesi che comportano la detta rimessione in primo grado, tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c.

3.3.; 4.4. Neppure il terzo ed il quarto motivo possono essere accolti, poiché la sentenza oggetto del presente giudizio è del tutto in linea con gli arresti giurisprudenziali di legittimità (cfr., ex multis, Cass. nn. 28816/2020; 21306/2020; 18190/2016; 21131/2015).

Al riguardo, è da premettere che, quanto alla censura sollevata con il terzo mezzo di impugnazione relativamente alla comunicazione conclusiva del licenziamento collettivo – anche a prescindere dai profili di inammissibilità che concernono la contraddizione che si evidenzia laddove, da un lato, si assume che tale comunicazione non sia stata puntuale e, dall’altro, si ammette, nello stesso ricorso in sede di legittimità, che <<nell’allegata comunicazione conclusiva della procedura ex lege 223/91 … si legge che agli uffici ivi indicati (ossia, contabilità generale, contabilità ASL, contabilità medici, economato etc.) viene attribuito un punteggio 30 -, nella fase di avvio della procedura, la funzione della comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, della l. n. 223 del 1991 è quella di consentire alle OO.SS. una efficace partecipazione nell’ambito di una vicenda in cui la struttura dell’azienda muta fisionomia (v., tra le altre, Cass. n. 13196/2003). Per la qual cosa, perché la procedura non sia inficiata da irregolarità è necessario che la comunicazione, oltre a conformarsi ai requisiti prescritti (indicazione dei motivi che determinano la situazione di eccedenza, il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale da eliminare), consenta, altresì alle OO.SS. di verificare il nesso tra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità che, in concreto, l’azienda intende espellere, in modo che sia evidenziabile la connessione tra le enunciate esigenze aziendali e l’individuazione del personale da licenziare (cfr., tra le molte, Cass. n. 24646/2007). In tale contesto, il controllo giurisdizionale non attiene più ai motivi specifici di riduzione del personale, ma alla correttezza procedurale dell’operazione, con la conseguenza che non possono essere introdotte in sede giudiziaria le doglianze che, senza contestare violazioni precise delle prescrizioni di cui agli artt. 4 e 5 della l. n. 223 del 1991 e senza fornire la prova di elusioni maliziose dei poteri di controllo delle OO.SS. e della procedura di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, siano soltanto volte, come nel caso di cui si tratta, ad investire l’autorità giudiziaria di una indagine sulla presenza di <<effettive esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva>> (cfr., tra le altre, Cass. nn. 21231/2015, cit.; 5089/2009; 21300/2006).

Nella fattispecie, infatti, viene, in sostanza, lamentata la discrezionalità del criterio delle esigenze aziendali, senza considerare che quel criterio è, appunto, discrezionale, poiché le predette esigenze sono necessariamente dettate da scelte imprenditoriali che, se non illogiche, discriminatorie o arbitrarie, non sono sindacabili, proprio perché le disposizioni di cui agli artt. 4 e 5 della l. n. 223 del 1991 <<hanno segnato il passaggio dal controllo giurisdizionale ex post ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali a cui sono stati assegnati poteri di informazione e consultazione>> (v. Cass. nn. 22219/2012; 4150/2011). E, come condivisibilmente sottolineato dalla Corte distrettuale, <<Nel caso di specie la comunicazione di avvio della procedura preannunciava l’esubero, tra gli altri profili, di 12 impiegati amministrativi, con l’aggiunta che sarebbe stato esternalizzato il servizio CUP. Queste due dichiarazioni, unitamente lette, rendono palese che l’esigenza tecnico produttiva organizzativa posta a base dell’accordo sindacale riguardava in particolare la ristrutturazione del servizio amministrativo sanitario, dal momento che amministrativo era il profilo dei 12 lavoratori in esubero, e che la prevista gestione in outsourcing del servizio prenotazioni mediche evidenziava proprio la criticità del ramo sanitario dell’amministrazione, che l’azienda avrebbe riorganizzato accentrando nel CUP le relative attività (prenotazione, accettazione, pagamenti e fatturazioni) per poi esternalizzare l’intero settore dell’accessibilità ai servizi sanitari>>. Peraltro, come ancora correttamente osservato dai giudici di seconda istanza, i lavoratori licenziati e, quindi, anche la B. e la D., ben potevano comprendere che, data la loro appartenenza ad uffici ritenuti non strategici, non avrebbero avuto il punteggio di 30 punti per le esigenze aziendali, ma solo quello per anzianità aziendale e per i carichi di famiglia, che, in questa sede, non sono stati censurati.

Infine, è da rilevare, con particolare riguardo al quarto motivo (che involge, peraltro, valutazioni di fatto), che il profilo della fungibilità delle mansioni delle ricorrenti – il cui onere di deduzione e della prova spettava, comunque, a queste ultime (Cass. nn. 21306/2020; 18190/2016, citt.) – con quelle dei dipendenti dell’Hotel P.B., esclusi dalla comparazione, è carente del requisito di decisività delle questioni, dato che, secondo quanto è rimasto delibato nelle fasi di merito, anche includendo i quattro dipendenti dell’Hotel, la B. e la D. sarebbero state licenziate, perché destinatarie di punteggi inferiori, come risulta dalla graduatoria degli esuberi dell’A.80, integrata dai dipendenti dell’Hotel P.B., neppure contestata dalle stesse.

5.1. ; 6.1. Sono, infine, da respingere il quinto ed il sesto motivo, poiché è corretto quanto affermato dai giudici di appello circa il fatto che l’art. 1 del D.L. n. 726 del 1984 è stato abrogato espressamente dall’art. 46, lett. i), del D.lgs. n. 185 del 2015, in vigore dal 24.9.2015. E, pertanto, l’effetto abrogativo dell’art. 46 cit. travolge l’operatività del divieto di licenziamento, <<dovendosi avere riguardo, ai fini dell’individuazione dell’efficacia temporale di tale abrogazione , alla data di apertura del licenziamento collettivo (19.10.2015) e non, come sostenuto in reclamo, a quella di conclusione del contratto di solidarietà>>, in quanto <d’abrogazione di cui all’art. 46 è riferita ad una norma che stabiliva un divieto e pertanto l’effetto abrogativo riverbera la sua diretta incidenza sull’atto vietato (l’apertura del licenziamento collettivo), del quale viene rimosso l’impedimento legale>>. E, dunque, la nuova disciplina trova applicazione <<con riferimento alla data in cui è avviato il licenziamento, ossia l’atto legalizzato dall’art. 46, senza che il ricorso al contratto di solidarietà in epoca precedente all’entrata in vigore della norma abrogatrice determini alcuna resistenza del contratto stesso al successivo intervento normativo>>.

7. Pertanto, alla stregua di tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato.

8. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

9. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, secondo quanto specificato in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.250,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre

spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, con distrazione.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-qua ter del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.