CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 gennaio 2019, n. 1505
Gestione commercianti – Socio ed amministratore unico – Cartella esattoriale – Differenze contributive – Redditi di impresa
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Cagliari con sentenza n. 251/2012, depositata il 29 giugno 2012, ha rigettato l’appello proposto da M.A. contro la sentenza che aveva respinto la sua opposizione alla cartella esattoriale con la quale gli era stato richiesto il pagamento delle differenze contributive da egli dovute alla gestione commercianti in quanto socio ed amministratore unico della V.M. srl e rinvenienti dagli utili percepiti in quanto socio della S. s.a.s., società in accomandita che svolgeva attività nel diverso settore industria.
A fondamento della decisione la Corte rilevava che per i soggetti iscritti alle attività commerciali l’articolo 3-bis del decreto-legge 384/1992, convertito con modificazioni nella legge 14 novembre 1992 n. 438, prevede che l’ammontare del contributo annuo è “rapportato alla totalità dei redditi di impresa denunciati ai fini Irpef per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono”; e che tra i redditi di impresa vanno inclusi, come riconosciuto dalla sentenza 354/2001 della Corte Cost., i redditi delle s.a.s. qualunque ne sia l’oggetto; a nulla rilevavano invece le istruzioni per la compilazione del modello unico dettate con riferimento alle società di capitali.
Contro la sentenza ha proposto ricorso M.A. con due motivi di censura al quale ha resistito l’Inps con controricorso.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza in relazione alla carenza di motivazione della cartella di pagamento e dell’iscrizione a ruolo in quanto la Corte d’appello non aveva fatto alcun cenno al motivo di impugnazione dedotto in relazione alla medesima carenza di motivazione della cartella di pagamento.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza perché non riporta il contenuto dell’eccezione che sarebbe stata sollevata in proposito nel giudizio di primo e secondo grado. Esso è in ogni caso infondato nel merito atteso che, al contrario di quanto affermato dal ricorrente, la Corte d’Appello ha risposto anche al motivo d’appello riguardante la motivazione della cartella affermando che tale aspetto formale dovesse essere tralasciato perché “intempestivamente dedotto sin dal primo grado”.
2. Il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 3 bis del d.l. 384/1992 convertito con modificazioni nella legge n. 438/1992. Errata determinazione del reddito ai fini del calcolo del contributo previdenziale richiesto, in quanto la tesi accolta nella sentenza impugnata, secondo cui i contributi previdenziali sarebbero dovuti su tutto il reddito d’impresa conseguito dal contribuente nel periodo di riferimento da qualsiasi fonte provengono, contrastava con le istruzioni di compilazione della dichiarazione dei redditi (Mod. Unico) predisposte e compilate dal Ministero delle Finanze secondo le quali gli utili prodotti dalla società ed attribuite ai soci non concorrono alla determinazione del reddito su cui calcolare e versare i contributi previdenziali relativi ad un settore diverso; pertanto il reddito del ricorrente in riferimento al quale doveva essere calcolato il contributo previdenziale era soltanto quello derivante dal settore commercio; mentre non poteva acquistare alcun rilievo l’utile eventualmente percepito da altre società che svolgevano attività in un settore diverso.
3.- Il motivo è infondato per le ragioni diffusamente indicate nella sentenza n. 29779/2017 che questo collegio condivide ed intende far propria.
Si tratta di stabilire se la base contributiva previdenziale per un soggetto iscritto alla gestione commercianti possa comprendere anche redditi provenienti da altra fonte ed in particolare dalla partecipazione ad una società in accomandita semplice che svolge attività nel settore industria regolarmente indicato nella dichiarazione dei redditi .
Un problema quindi di quantum e di determinazione della base imponibile del contributo annuo dovuto dagli iscritti alle gestioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali. La tesi positiva censurata in ricorso, trova aggancio nella lettera della norma (l’art. 3-bis del decreto-legge 384/1992 convertito con modificazioni nella legge 14 novembre 1992 n. 438) la quale regola la base imponibile in oggetto prevedendo che “a decorrere dall’anno 1993 l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all’articolo 1 della legge 2 agosto 1990 n. 233 è rapportato alla totalità dei redditi di impresa denunciati ai fini Irpef per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono”. E tra i medesimi redditi d’impresa denunciati a fini Irpef rientrano i redditi delle società in accomandita semplice, posto che secondo l’art. 6 comma 3 del DPR 917/1986 “I redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale, sono considerati redditi di impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi.”
4.- Pertanto, in base al combinato disposto delle norme citate i redditi di società in accomandita semplice sono redditi di impresa, anche se relativi al socio come accomandante e vanno computate ai fini in discorso nella base imponibile contributiva.
5. Il dubbio relativo a “quali” redditi di impresa la norma intenda fare riferimento, è fugato non solo dalla latitudine dell’espressione impiegata dal legislatore (“la totalità”); ma anche dal raffronto con la formulazione della legge precedente (art. 1 della legge n. 233 del 1990) la quale restringeva invece la base imponibile del contributo annuo in questione al “12 per cento del reddito annuo derivante dalla attività di impresa che dà titolo all’iscrizione alla gestione, dichiarato ai fini Irpef, relativo all’anno precedente”. Con la nuova disposizione rileva invece “la totalità” dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef e non si parla più della sola attività che dà titolo all’iscrizione alla gestione ex articolo 1 legge 233 del 90.
6. La differente formulazione della norma realizza chiaramente un ampliamento della base imponibile contributiva, secondo un mutamento normativo che deve ritenersi il legislatore abbia inteso perseguire scientemente, in connessione con il processo di armonizzazione della base imponibile contributiva a quella valevole in ambito tributario.
7. La stessa interpretazione letterale trova poi un autorevole avallo nella sentenza n.354/2001 con la quale la Corte Costituzionale ha affermato la legittimità costituzionale dell’articolo 3 bis comma 1 d.l. 384/92, non solo escludendo l’esistenza di una irragionevole disparità di trattamento tra i redditi di capitale del socio di società dotate di personalità giuridica (esenti da contribuzione) e i redditi c.d. di impresa di cui fruisce il socio delle società in accomandita semplice (così come, del resto, il socio delle società in nome collettivo); ma soprattutto escludendo profili di irragionevolezza della medesima normativa ed attribuendo fondamento sostanziale al prodotto della discrezionalità riconosciuta in materia dal legislatore. Ciò in primo luogo affermando che “all’ampliamento della base contributiva corrisponde l’ampliamento della base pensionabile, con evidente riflesso positivo sulla misura della prestazione”. Ed inoltre sostenendo che la Costituzione “non impone un’intima ed indefettibile correlazione tra obbligazione contributiva e reddito di lavoro” in virtù dei principi solidaristici cui si ispira. Nella stessa direzione, della mancanza di un nesso di corrispettività tra contribuzione ed attività lavorativa che da titolo all’assicurazione, muove- per i giudici costituzionali – la rilevanza attribuita all’apporto finanziario al sistema previdenziale da parte della stessa collettività in generale; la commisurazione della contribuzione su basi di riferimento non costituite, solo ed esclusivamente, dal reddito che trova causa nel rapporto di lavoro (rileva in tal senso il passaggio ad una più ampia accezione di base contributiva imponibile, tale da ricomprendere non solo il corrispettivo dell’attività di lavoro, ma anche altre attribuzioni economiche che nell’attività stessa rinvengono soltanto mera occasione). La convergenza nella definizione della base imponibile tra settore previdenziale e settore fiscale “convergenza ascrivibile, in primo luogo, proprio alla disposizione censurata, la quale, nel rapportare la contribuzione previdenziale alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai tini IRPEF, e non più soltanto al reddito annuo derivante dall’attività d’impresa che dà titolo all’iscrizione (art. 1 della legge n. 233 del 1990), assume una base imponibile corrispondente a quella dell’ambito tributario; e, successivamente, al decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314, recante “Armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi di lavoro dipendente e dei relativi adempimenti da parte dei datori di lavoro”, che ha accolto una nozione di reddito da lavoro utilizzabile, in linea di massima, sia a fini contributivi che a fini tributari”.
8. Sulla scorta delle premesse la sentenza si sottrae alle censure formulate col ricorso il quale va rigettato. Le spese possono essere compensate posto che l’articolata questione di diritto su cui si fonda la decisione è stata definita da questa Corte solo dopo la proposizione del ricorso in oggetto. Dato l’esito del giudizio deve darsi atto che sussistono le condizioni richieste dall’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente principale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese processuali. Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del Dpr 115 del 2002 da atto della non sussistenza dei presupposti per versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma ibis dello stesso art. 13.
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