CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 gennaio 2022, n. 1861

Lavoro – Contratto di affitto di ramo d’azienda – Insolvenza del datore di lavoro – Corresponsione del TFR a carico del Fondo di garanzia

Fatto

1. Con sentenza del 29 luglio (notificata il 24 settembre) 2019, la Corte d’appello di Milano condannava l’Inps al pagamento di € 16.601,25 per T.f.r. oltre accessori, previo accertamento del diritto di S.B. all’accesso al Fondo di Garanzia: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato la sua domanda, sul presupposto della natura solidale e meramente sussidiaria dell’obbligazione del Fondo rispetto a quella delle parti contraenti dell’affitto d’azienda.

2. Essa rilevava che il predetto aveva lavorato dall’l ottobre 2004 al 27 luglio 2014 alle dipendenze di E.3 s.r.l. in liquidazione, prestando quindi la propria attività in favore di E.3 s.r.l., a seguito di contratto di affitto di ramo d’azienda del 7 luglio 2014 (con contestuale accordo sindacale di rinuncia dei lavoratori alla solidarietà di questa per i diritti maturati presso la cedente fino al 27 luglio 2014), con ripristino, per effetto di retrocessione dall’affittuaria del ramo il 31 marzo 2015, del rapporto di lavoro alle dipendenze della cedente, dichiarata fallita il 22 aprile 2015, con successiva risoluzione del contratto di affitto d’azienda dal curatore fallimentare.

3. Con atto notificato il 25 (28) novembre 2019, l’Inps ricorreva per cassazione con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., cui il lavoratore resisteva con controricorso.

4. La causa era quindi rimessa, per la ravvisata necessità di un chiarimento nomofilattico della questione posta, all’odierna pubblica udienza dì discussione.

5. Il P.G. rassegnava conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da I. conv. 176/20, nel senso dell’accoglimento del ricorso.

6. Il ricorrente comunicava memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’applicazione dell’art. 2, primo, secondo, quarto, settimo e ottavo comma I. 297/82, in riferimento agli artt. 2112 e 2697 c.c., per il riconoscimento del diritto del lavoratore alla percezione dal Fondo di garanzia della quota di T.f.r. maturata in favore del datore di lavoro affittante fallito, nonostante l’attività prestata in favore di altro datore in bonis affittuario, responsabile ai sensi dell’art. 2112 c.c., nell’irrilevanza dell’avvenuta retrocessione, in difetto di allegazione né prova della prosecuzione dell’attività di impresa, originaria cedente e retrocessionaria, con l’azienda oggetto di affitto.

2. Con il secondo, esso deduce violazione dell’applicazione dell’art. 2, primo, secondo, quarto, settimo e ottavo comma I. 297/82, in riferimento all’art. 2112 c.c., per il riconoscimento del diritto del lavoratore alla percezione dal Fondo di garanzia della quota di T.f.r. maturata in favore del datore di lavoro affittante fallito, in base alla sua ammissione allo stato passivo nonostante la solidarietà del datore di lavoro affittuario in bonis.

3. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.

4. E’ nota l’istituzione presso l’Inps, in attuazione della Direttiva 987/80/CEE (concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), del Fondo di Garanzia per il trattamento di fine rapporto, con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento previsto dall’art. 2120 c.c., spettante ai lavoratori o loro aventi diritto (art. 2, primo comma l. 297/1982). Sicché, due sono i presupposti di questo intervento del Fondo di Garanzia: a) la sostituzione del “datore di lavoro” in caso di “insolvenza”) il pagamento del “trattamento di fine rapporto”.

E la sua ratio è il fine sociale che ne sorregge l’intervento e circoscrive l’ambito della tutela mediante il riferimento “a crediti non pagati retativi ad un periodo determinato”: con ciò fissando la nozione di “bisogno socialmente rilevante”, che è tale perché collocato all’interno di un ambito temporale definito (Cass. 19 luglio 2018, n. 19277, p.to 29 in motivazione, con richiamo di giurisprudenza della Corte di Giustizia; Cass. 26 settembre 2018, n. 23047, p.to 38 in motivazione).

5. In tale prospettiva, occorre allora individuare il “datore di lavoro attuale insolvente” del lavoratore, ossia che sia tale, e versi in una condizione d’insolvenza, al momento di “cessazione del rapporto di lavoro”.

5.1. La condizione di insolvenza può essere pubblicamente sancita dall’apertura di una procedura concorsuale (come si evince in particolare dall’art. 2, secondo e quarto comma I. 297/1982, in attuazione dell’art. 2 della Direttiva 987/80/CEE), se il datore di lavoro sia assoggettabile al fallimento ovvero, qualora non lo sia, risultare dalla completa o parziale insufficienza delle sue garanzie patrimoniali all’adempimento del trattamento dovuto al lavoratore, constatata a seguito di un’esecuzione forzata individuale (art. 2, quinto comma I. cit.), esperita dal predetto in modo serio e adeguato, ancorché infruttuoso, salvo che emerga l’esistenza di altri beni aggredirli con l’azione esecutiva (Cass. 11 luglio 2003, n. 10953; Cass. 1 luglio 2010, n. 15662; Cass. 20 novembre 2017, n. 27467).

5.2. L’attualità della qualità datoriale del soggetto alle dipendenze del quale cessi il rapporto del lavoratore rileva poi sotto il duplice profilo del soggetto tenuto, rispetto al quale il Fondo di Garanzia esercita il proprio ruolo sostitutivo e, prima ancora, perché soltanto al momento della cessazione del rapporto si realizza, come noto, l’esigibilità (id est: l’insorgenza) del trattamento di fine rapporto, secondo il chiaro e inequívoco tenore letterale dell’art. 2120, primo comma c.c. Ciò comporta rilevanti conseguenze applicative, particolarmente in materia di decorrenza della prescrizione (Cass. 23 aprile 2009, n. 9695; Cass. 18 febbraio 2010, n. 3894; Cass. 6 febbraio 2018, n. 2827; Cass. 23 novembre 2020, n. 26598) e in tema di nullità della rinuncia prima di detta cessazione, non potendo il lavoratore in servizio disporre di un diritto non ancora entrato nel suo patrimonio (Cass. 7 marzo 2005, n. 4822; Cass. 11 novembre 2015, n. 23087; Cass. 28 maggio 2019, n. 14510); ma anche in materia concorsuale: non potendo essere ammesso, neppure con riserva in via condizionata (per il principio di tipicità che ne connota la tipologia), allo stato passivo dell’amministrazione straordinaria alle cui dipendenze abbia continuato a prestare la propria attività un lavoratore, il terzo che si sia reso cessionario del suo credito per T.f.r., in quanto allo stato futuro per detta ragione (Cass. 20 febbraio 2020, n. 4336); e analogamente il lavoratore, che abbia continuato a rendere la prestazione alle dipendenze del cessionario dell’azienda trasferita, non può essere ammesso allo stato passivo del fallimento del suo precedente datore cedente, per il credito da T.f.r., poiché esso matura progressivamente in ragione dell’accantonamento annuale divenendo esigibile solo al momento della cessazione definitiva del rapporto di lavoro (Cass. 27 febbraio 2020, n. 5376).

6. Alla luce degli illustrati requisiti, questa Corte ha così qualificato la natura del “diritto del lavoratore di ottenere dall’Inps, in caso di insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione del T.f.r. a carico dello speciale fondo di cui all’art. 2 l. 297/1982” quale “diritto di credito ad una prestazione previdenziale … distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro, … ” che “si perfeziona non con la cessazione del rapporto di lavoro ma al verificarsi dei presupposti previsti da detta legge“) sicché, “il Fondo di garanzia costituisce attuazione di una forma di assicurazione sociale obbligatoria, con relativa obbligazione contributiva posta ad esclusivo carico del datore di lavoro, con la sola particolarità che l’interesse del lavoratore alla tutela è conseguito mediante l’assunzione da parte dell’ente previdenziale, in caso d’insolvenza del datore di lavoro, di un’obbligazione pecuniaria il cui quantum è determinato con riferimento al credito di lavoro nel suo ammontare complessivo e pertanto, “il diritto alla prestazione del Fondo nasce … non in forza del rapporto di lavoro, ma del distinto rapporto assicurativo – previdenziale, in presenza dei già ricordati presupposti previsti dalla legge … ” (Cass. 19 luglio 2018, n. 19277, p.ti da 5 a 7 in motivazione con richiamo di precedenti).

6.1. Nell’evoluzione del delineato percorso giurisprudenziale, si è così affermata, sulla base della sempre più nitida distinzione dei due ambiti retributivo e previdenziale e per le illustrate finalità, una progressiva emancipazione dell’Inps (Cass. 19 luglio 2018, n. 19277, p.to 18 in motivazione; Cass. 26 settembre 2018, n. 23047, p.to 17 in motivazione; Cass. 14 novembre 2018, n. 29363, p.to 11 in motivazione; Cass. 28 novembre 2018, n. 30804, p.to 9 in motivazione) dalle risultanze dello stato passivo del fallimento datoriale (Cass. 17 aprile 2015, n. 7877; Cass. 13 novembre 2015, n. 23258; Cass. 28 gennaio 2020, n. 1886).

7. In quest’alveo interpretativo, si pone dunque il tema dell’agibilità della copertura assicurativa del Fondo di Garanzia nell’ambito della vicenda circolatoria dell’azienda, nell’acquisita consapevolezza che “l’intervento del Fondo … non si giustifica laddove sia inesistente la relazione causale e temporale tra inadempimento datoriale ed insolvenza dichiarata con procedura concorsuale, posto che le tutele dei lavoratori, in ipotesi di trasferimento d’azienda, formano oggetto di altre specifiche previsioni di derivazione comunitaria come la direttiva 2001/23” (Cass. 23 febbraio 2021, n. 4897, p.to 13 in motivazione).

8. Nel caso di specie, il lavoratore aveva prestato la propria attività dall’ 1 ottobre 2004 al 27 luglio 2014 alle dipendenze di E.3 s.r.l. in liquidazione e quindi della società E.3 a r.l., in virtù di contratto di affitto di ramo d’azienda del 7 luglio 2014; essendo poi, per effetto di retrocessione dall’affittuaria del ramo il 31 marzo 2015, il rapporto di lavoro ripristinato alle dipendenze della cedente, dichiarata fallita il 22 aprile 2015, con successiva risoluzione del contratto di affitto d’azienda dal curatore fallimentare.

9. Orbene, se è vero che questa Corte ha affermato, in materia di trasferimento d’azienda, l’applicabilità della disciplina dell’art. 2112 c.c. anche nell’ipotesi di cessazione del contratto di affitto d’azienda e conseguente retrocessione della stessa all’originario cedente, purché quest’ultimo prosegua l’attività già esercitata in precedenza, mediante l’immutata organizzazione aziendale, ciò è avvenuto nell’ipotesi tutt’affatto peculiare (oggetto del precedente invocato dal ricorrente: Cass. 26 luglio 2011, n. 16255), in cui la mancata prosecuzione dell’attività presso il retrocessionario si accompagni alla sua continuazione presso il retrocedente, sicché, in tali casi, la retrocessione dell’azienda assume il carattere di mero atto formale ed il rapporto deve ritenersi proseguito (o cessato, in caso di licenziamento) presso il presunto retrocedente; ovvero nel caso di richiesta di tutela diretta al mantenimento dell’occupazione per i lavoratori trasferiti ed al trattamento già percepito dagli stessi, con onere della prova a carico di chi invochi gli effetti dell’avvenuto trasferimento, quale presupposto che anche in tali situazioni sia presente un fenomeno traslativo dell’azienda o di parte di essa (Cass. 1 ottobre 2018, n. 23765).

9.1. Diverso è invece il caso, ricorrente nel caso di specie e già affrontato da questa Corte, in cui la cessazione del rapporto sia avvenuta dopo la retrocessione al datore concedente fallito: essendo stata qui ritenuta dirimente la circostanza della retrocessione al soggetto, il quale “comunque abbia fatto fino a quel momento, attraverso l’affitto, utilizzazione di mercato dell’azienda” decidendo, “per ragioni sue proprie, una volta riottenuta l’azienda, l’immediato scioglimento di essa” (Cass. 18 ottobre 2018, n. 26021, al p.to 4 in motivazione); anche se invero, non sul presupposto della “miglior tutela del lavoratore che deriva dalla corresponsabilità del retrocessionario, in sé riconnessa al ritrasferimento del compendio organizzato aziendale, dovendosi fare quindi piana applicazione dell’art. 2112 c.c.” (sempre ivi).

10. La ragione deve piuttosto essere individuata nella coerente applicazione di principi di autonomia della prestazione assicurativa del Fondo, anche nella vicenda circolatoria dell’azienda, che in esito al fenomeno regressivo illustrato, ha comportato l’individuazione, in capo (nuovamente) al soggetto affittante retrocessionario poi fallito (appunto, nel caso di specie, E.3 s.r.l. in liquidazione), del “datore di lavoro attuale insolvente” del lavoratore, ossia tale, e versante in una condizione d’insolvenza, al momento di “cessazione del rapporto di lavoro”: così da realizzare i due presupposti di intervento del Fondo di Garanzia: a) la sostituzione del “datore di lavoro” in caso di “insolvenza”; b) il pagamento del “trattamento di fine rapporto” (come illustrato ai superiori punti 4., 5., 5.1. e 5.2.).

11. Ed infatti, non si configura una responsabilità solidale radicata sul regime dell’art. 2112 c.c. con il Fondo, per la distinta ed autonoma natura del diritto di credito del lavoratore ad una prestazione previdenziale nei confronti del secondo, rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro, con insussistenza di un’ipotesi di obbligazione solidale (Cass. 28 luglio 2011, n. 16617; Cass. 9 giugno 2014, n. 12971; Cass. 13 ottobre 2015, n. 20547; Cass. 25 agosto 2020, n. 17643, in specifico riferimento alle ultime tre mensilità).

11.1. In proposito, questa Corte ha già affermato che “le tutele dei lavoratori, in ipotesi di trasferimento d’azienda, formano oggetto di altre specifiche previsioni di derivazione comunitaria e che la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (Sez. VI, 28/01/2015, n. 688), interpretando i contenuti della direttiva 2001/23, ha affermato che essa < […] stabilisce la regola generale secondo cui il cessionario è vincolato ai diritti e agli obblighi che risultano da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente tra il lavoratore e il cedente alla data del trasferimento dell’impresa. Come risulta dalla lettera e dalla struttura dell’articolo 3 di tale direttiva, la trasmissione al cessionario degli oneri a carico del cedente al momento del trasferimento dell’impresa, in presenza di lavoratori alle dipendenze del cedente, comprende tutti i diritti di questi ultimi laddove essi non ricadano in una delle eccezioni espressamente previste dalla stessa direttiva (v., per analogia, sentenza Beckmann, C-164/00, EU:C:2002:330, punti 36 e 37)” (Cass. 19 luglio 2018, n. 19277, p.ti da 31 a 36 in motivazione; Cass. 26 settembre 2018, n. 23047, p.ti da 41 a 45 in motivazione).

11.2. Ed infatti, la Direttiva 2001/23 CE (riguardante il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, stabilimenti o loro parti) prevede la necessità di “adottare le disposizioni necessarie per proteggere i lavoratori in caso di cambiamento di imprenditore, in particolare per assicurare il mantenimento dei loro diritti” (terzo Considerando), sicché, in particolare “I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario. Gli Stati membri possono prevedere che il cedente, anche dopo la data del trasferimento, sia responsabile, accanto al cessionario, degli obblighi risultanti prima della data del trasferimento da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento” (art. 3, primo comma).

11.3. E’ allora in quest’ambito che opera un regime di solidarietà passiva, in presenza di una pluralità di soggetti tenuti (non già per un medesimo rapporto, ma) per una “medesima prestazione” (art. 1292 c.c.), anche in forza di fonti diverse (tra loro anche disomogenee, ma) nel caso di specie omogenee, siccome entrambe di fonte contrattuale (il debitore principale sulla base di un contratto di lavoro subordinato, il coobbligato solidale per il vincolo, contrattuale nell’accezione lata di obbligo giuridico preesistente): derivante dal regime di tutela del lavoratore nella circolazione dell’azienda o di un suo ramo (art. 2112, primo, secondo e quinto comma c.c.).

Ed essa è prevista dal legislatore, come noto, nell’interesse del creditore e serve a rafforzare il diritto di quest’ultimo, consentendogli di ottenere l’adempimento dell’intera obbligazione da uno qualsiasi dei condebitori (Cass. 27 ottobre 2015, n. 21774; Cass. 15 gennaio 2020, n. 542, che pure ne ribadiscono l’ininfluenza nei rapporti interni tra condebitori solidali, fra i quali l’obbligazione si divide secondo quanto risulta dal titolo o, in mancanza, in parti uguali).

12. Giova sottolineare, infine, ad esplicitazione di quanto già affermato da questa Corte, come gli ambiti delle tutele previste dalla Direttiva 987/80/CEE (e sue successive modifiche), all’origine del Fondo di Garanzia e dalla Direttiva 2001/23 CE (e sue successive modifiche) si pongano tra loro in netta alternativa: la prima, a protezione dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro; la seconda, a protezione del mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, stabilimenti o loro parti.

Tale affermazione trova riscontro normativo nella previsione, contenuta nella Direttiva 2001/23 CE – dopo quella (art. 5, primo comma) di inapplicabilità degli articoli 3 e 4 (contenenti le tutele dell’art. 2112) ad alcun trasferimento di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di un’autorità pubblica competente (nel nostro diritto interno: art. 47, quinto comma I. 428/1990) – di possibilità per uno Stato membro di disporre “Quando gli articoli 3 e 4 si applicano ad un trasferimento nel corso di una procedura di insolvenza aperta nei confronti del cedente (indipendentemente dal fatto che la procedura sia stata aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso) e a condizione che tali procedure siano sotto il controllo di un’autorità pubblica competente … che: a) nonostante l’articolo 3, paragrafo 1, gli obblighi del cedente risultanti da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro e pagabili prima del trasferimento o prima dell’apertura della procedura di insolvenza non siano trasferiti al cessionario, a condizione che tali procedure diano adito, in virtù della legislazione dello Stato membro, ad una protezione almeno equivalente a quella prevista nelle situazioni contemplate dalla direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 1980 …” (art. 5, secondo comma).

Il che sta appunto a significare che, laddove non si applichi ai lavoratori la tutela stabilita nelle ipotesi di trasferimento d’azienda, in caso di insolvenza del datore di lavoro operi a tutela dei lavoratori, nella ricorrenza dei presupposti illustrati, la copertura del Fondo di Garanzia: senza alcuna indebita contaminazione tra le due.

13. Dalle argomentazioni sopra svolte discende allora il rigetto del ricorso, con la compensazione delle spese dell’intero giudizio tra le parti, per la controversa soluzione della questione e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e dichiara compensate interamente tra le parti le spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.