CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 luglio 2022, n. 22909
Licenziamento per giusta causa – Coinvolgimento del lavoratore in procedimenti penali – Sospensioni dal servizio – Sentenze penali dichiarative della prescrizione – Inidoneità probatoria – Illegittimità del recesso
Fatti di causa
1. Il dott. V. I. – già dirigente dell’amministrazione finanziaria in servizio presso la Direzione Generale delle Entrate della Campania – proponeva ricorso dinanzi al Tribunale di Napoli per sentir dichiarare l’illegittimità del recesso per giusta causa, adottato dall’Agenzia delle Entrate in data 20.06.2007, con tutte le conseguenze risarcitorie e reintegratorie.
Il suddetto provvedimento era stato adottato dell’Agenzia – a seguito di numerose sospensioni – in relazione al coinvolgimento dello I. in tre procedimenti penali riguardanti presunte irregolarità nelle pratiche di rimborso IVA.
2. Il Tribunale di Napoli dichiarava l’illegittimità del licenziamento per giusta causa e condannava l’Amministrazione alla corresponsione a titolo risarcitorio della retribuzione globale di fatto dal 20/6/2007 al 31/7/2007, data di cessazione del rapporto per raggiunti limiti di età e respingeva la domanda di pagamento delle retribuzioni per i periodi di sospensione rilevando la genericità del ricorso sul punto e comunque dando atto della circostanza che in uno dei procedimenti penali che avevano interessato lo I. era intervenuta sentenza penale di condanna alla pena della reclusione di quattro anni ed alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
3. Tale decisione era confermata dalla Corte d’appello di Napoli che respingeva sia l’impugnazione principale dello I. sia quella incidentale dell’Agenzia delle entrate.
In particolare, la Corte di merito, rilevato che le sospensioni dal servizio non erano collegabili funzionalmente al licenziamento, rigettava la domanda di restituio in integrum sul presupposto che il lavoratore non solo non aveva impugnato le singole sospensioni ma non aveva nemmeno precisato il tipo di sospensione ed i relativi fatti storici. Aggiungeva che il rapporto di lavoro tra il dott. I. e l’Amministrazione era cessato automaticamente in data 31.07.2007 a norma del contratto collettivo per il raggiungimento dei limiti di età e che, comunque, vi era stata la relativa comunicazione da parte dell’Amministrazione.
Confermava la statuizione di illegittimità del licenziamento poiché le contestazioni che lo avevano preceduto erano del tutto generiche, sostanziandosi nel richiamo a procedimenti penali senza alcuna specificazione degli addebiti.
4. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli il dott. I. proponeva ricorso per cassazione cui resisteva con controricorso e contestuale ricorso incidentale l’Agenzia della Entrate.
Questa Corte, con sent. n. 18589 del 2016, cassava con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione la decisione impugnata, accogliendo il primo motivo del ricorso incidentale inerente alla legittimità della contestazione per relationem, con assorbimento degli altri motivi proposti in via subordinata e riguardanti l’omessa pronuncia in ordine ai motivi di appello incidentale concernenti la ritenuta non conformità tra i fatti contestati e quelli posti alla base del provvedimento disciplinare, oltre alla mancata prova dei fatti addebitati; rigettava i primi otto motivi del ricorso principale, assorbiti gli altri inerenti allo scioglimento del rapporto per sopraggiunti limiti di età successivamente al licenziamento per motivi disciplinari.
In particolare, riteneva errata la decisione del giudice territoriale là dove si poneva in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte in base alla quale è legittima la contestazione per relationem degli addebiti disciplinari mediante il richiamo ad atti del procedimento penale instaurato a carico del lavoratore per fatti e comportamenti rilevanti anche ai fini disciplinari nel caso in cui il lavoratore abbia avuto conoscenza del procedimento penale a suo carico, non essendo necessario un addebito secondo uno schema formale e rigido.
5. Decidendo in sede di rinvio, la Corte d’appello di Napoli rigettava sia l’appello principale in riassunzione proposto dal dott. I. sia l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate.
La Corte territoriale, rilevato il thema decidedum residuale, e precisata la possibilità di riproporre in sede di rinvio i motivi dichiarati assorbiti dalla Corte di legittimità, riteneva che l’Agenzia non avesse adempiuto l’onere probatorio a suo carico tramite il deposito di proprie produzioni e dei fascicoli di primo e secondo grado, nonostante le numerose sollecitazioni della stessa Corte. Riteneva che, sulla base dei documenti a disposizione della Corte, non fosse raggiunta la prova dei fatti addebitati e/o il profilo di responsabilità del dott. I., anche perché le sentenze che avevano definito i procedimenti penali erano state tutte dichiarative della prescrizione, e così anche quella della Corte d’appello di Napoli n. 438/2015 che aveva riformato la pronuncia di condanna a quattro anni di reclusione (senza che risultasse proposto ricorso per cassazione) non avevano alcuna idoneità probatoria “essendosi il giudice penale limitato al solo aspetto processuale della vicenda senza compiere indagini di merito”.
Confermava, pertanto, l’illegittimità del provvedimento di recesso.
Respingeva, altresì, il motivo dell’appello principale, in quanto il rapporto di lavoro era cessato automaticamente per raggiunti limiti di età ai sensi dell’art. 39 CCNL 2002-2005.
Aggiungeva che, nel caso di specie, la “comunicazione” di cui all’art. 39 cit. poteva dirsi intervenuta già il 27.05.2005, come risultava dal provvedimento di trattenimento in servizio per i successivi due anni (confermato dallo stesso ricorrente) e che, in ogni caso, poteva ritenersi avvenuta la “comunicazione” per la manifestata volontà – da parte dell’Amministrazione – di porre fine al rapporto, avvenuta in data 20.06.2007.
6. Ricorre per la Cassazione della sentenza l’Agenzia delle Entrate sulla base di sei motivi di ricorso cui V. I. resiste con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale e ricorso incidentale condizionato.
7. Il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto fissarsi la discussione orale per la trattazione del ricorso.
8. Successivamente il medesimo ufficio della Procura Generale ha fatto pervenire requisitoria scritta concludendo affinché la Corte accolga il ricorso principale e dichiari inammissibili il ricorso incidentale e il ricorso incidentale condizionato.
9. Il dott. I. ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia denuncia la violazione degli artt. 384, 392 e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. Censura la sentenza impugnata per aver fatto malgoverno del principio di diritto indicato da Cass. n. 18589 del 2016, la quale aveva statuito circa la legittimità della contestazione per relationem.
A parere dell’Agenzia la Corte di rinvio non poteva effettuare una nuova valutazione della sussistenza dei fatti ma solo una valutazione sulla natura degli stessi quale giusta causa di recesso, in quanto la Corte di legittimità si era già pronunciata sulla validità dell’atto di recesso con contestazione per relationem a procedimenti penali pendenti, peraltro conclusi con sentenze di mero proscioglimento.
Così facendo la Corte di rinvio sarebbe incorsa nella violazione del principio di diritto indicatole dalla Corte di legittimità.
2. Con il secondo motivo di ricorso (violazione degli artt. 112, 115, 346, 436 e 437 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) la ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver rispettato il thema decidendum, ossia per aver pronunciato circa la sussistenza e la prova dei fatti oggetto di imputazione (e richiamati nel provvedimento di recesso) in quanto il dott. I. non aveva assolto l’onere di proposizione delle eccezioni nonostante l’appello incidentale dell’Agenzia circa le questioni di insufficienza probatoria delle ordinanze di rinvio e di irrilevanza delle sentenze di proscioglimento per prescrizione; tali questioni, pertanto, devono ritenersi – secondo il ricorrente odierno – rinunciate già dal grado di appello con preclusione di alcuna pronuncia.
3. Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia lamenta la violazione degli artt. 653 e 654 cod. proc. pen., degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., degli artt. 2697, 2729 e 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ..
Sostiene che la Corte ha errato nel non considerare che la sentenza penale del “non doversi procedere” per intervenuta prescrizione presuppone una necessaria valutazione ex art. 129 cod. proc. pen. circa la possibilità di dichiarare una sentenza di assoluzione.
Assume che il Giudice del rinvio non poteva in modo “apodittico” desumere l’insussistenza dei fatti sottesi alle pronunce penali di prescrizione dalle sentenze di non doversi procedere ma avrebbe dovuto valutare, secondo il principio acquisitivo della prova, la diretta attinenza dei fatti di reato con il rapporto di lavoro, in quanto le sentenze penali di proscioglimento – pur non producendo effetto di giudicato per il giudice civile – permettono al giudice di trarre elementi di convincimento dalla risultanze del procedimento penale.
4. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione sotto altro profilo degli artt. 384, 392, 115 e 132 cod. proc. civ. e 2697, 2727 e 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.
Sostiene l’Agenzia che la Corte abbia violato il principio di diritto indicato da Cass. 18589/2016 in quanto aveva a disposizione tutte le produzioni necessarie ai fini della decisione, indipendentemente dal fatto che le stesse fossero state prodotte dal dott. I. o dall’Agenzia; espone la ricorrente che, ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ., opera il principio di acquisizione della prova in forza del quale il giudice deve utilizzare le prove raccolte in giudizio indipendentemente dalla provenienza delle stesse dalla parte gravata dell’onere probatorio.
5. Con il quinto motivo di ricorso censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.
Sostiene che la Corte sia caduta in errore per aver completamento ignorato i fatti descritti nelle sentenze penali di non doversi procedere, sull’erroneo convincimento che le stesse non assumono valore ai fini del raggiungimento della prova in ordine alla sussistenza dei fatti contestati; la Corte avrebbe dovuto considerare il contenuto delle imputazioni, la pacifica notorietà della vicenda in ambito locale nonché l’esigenza di tutela dell’immagine della P.A. per valutare l’inidoneità a mantenere il rapporto fiduciario tra l’Agenzia e il dott. I. e, dunque, per dichiarare la legittimità del licenziamento.
6. Con il sesto motivo di ricorso lamenta la “violazione e falsa applicazione degli artt. 7 L. 300/1970, come richiamato dall’art. 51 d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, nonché degli artt. 2119 c.c. e dell’art. 41 e 45 c.c.n.l. relativo al personale dirigente dell’Area VI – 2002-2005 del 1° agosto 2006” in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. Sostiene che la Corte di rinvio, erroneamente, abbia statuito sull’impossibilità di individuare la giusta causa di recesso dai fatti individuati in procedimenti penali, peraltro conclusi con sentenza di proscioglimento per prescrizione.
In particolare, la sentenza impugnata sarebbe in contrasto con la disposizione di cui all’art. 41 del c.c.n.l., che individua quale giusta causa di recesso fatti e comportamenti di gravità tale da essere ostativi alla prosecuzione del rapporto, anche se estranei all’attività lavorativa.
Nel caso di specie, al dott. I. non solo venivano imputati fatti gravissimi ma allo stesso era attribuita una posizione di altissima responsabilità di dirigenza nell’attività di prelievo fiscale, di indubbia rilevanza istituzionale; sarebbe evidente che i comportamenti del dott. I. si pongono in estrema contrapposizione con gli interessi – patrimoniali e non – dell’Amministrazione.
7. Il dott. I. ha proposto controricorso con ricorso incidentale, censurando il capo di sentenza del Giudice del rinvio che ha statuito sull’automatismo della cessazione del rapporto per sopraggiunti limiti di età.
Contesta la decisione impugnata in quanto in contrasto con l’art. 39 c.c.n.l. 2002- 2005 che richiede la comunicazione per iscritto della cessazione del rapporto.
Sostiene che tale comunicazione non vi era stata e che ha errato la Corte di rinvio nel ritenere che tale comunicazione possa ricavarsi dal provvedimento di autorizzazione alla permanenza in servizio o dal provvedimento di licenziamento, in quanto diversi per funzione ed effetti dalla comunicazione di cui all’art. 39 cit.
In subordine, propone ricorso incidentale condizionato sul rilievo che, in caso di accoglimento del ricorso dell’Agenzia, la stessa non potrebbe più ottenere il “bene della vita” preteso in quanto non ha censurato il capo di sentenza inerente alla mancata corrispondenza tra la motivazione della contestazione e del provvedimento disciplinare, da considerarsi passato il giudicato.
Inoltre, espone il ricorrente in via incidentale, che ove si ritenesse che la sentenza gravata abbia confermato solo l’illegittimità del licenziamento per mancata prova dei fatti allora si avrebbe nullità della sentenza per violazione del principio di immutabilità della contestazione.
8. Il ricorso principale deve essere rigettato.
8.1. L’agenzia, con i vari motivi di ricorso, insiste principalmente sulla rilevanza delle sentenze di proscioglimento per prescrizione nel giudizio civile circa l’accertamento dei fatti contestati perché tali sentenze presuppongono l’impossibilità di pronunciare circa l’assoluzione, deduce la violazione del principio di diritto di cui alla pronuncia rescindente e la mancata valutazione dei fatti inseriti nelle sentenze penali di proscioglimento per prescrizione.
8.2. Orbene, è principio indiscusso che le sentenze penali di proscioglimento non determinano giudicato per il giudice civile.
È stato da questa Corte affermato che il giudice civile, può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale, già definito, ancorché con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, ponendo a base delle proprie conclusioni gli elementi di fatto già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede e sottoponendoli al proprio vaglio critico, mediante il confronto con gli elementi probatori emersi nel giudizio civile; a tal fine, egli non è tenuto a disporre la previa acquisizione degli atti del procedimento penale e ad esaminarne il contenuto, qualora, per la formazione di un razionale convincimento, ritenga sufficiente le risultanze della sola sentenza (Cass. 29 ottobre 2010, n. 22200) ed ancora che in materia di rapporti tra processo penale e civile, il giudice civile, in presenza di una sentenza penale di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, pur priva di effetti vincolanti nel giudizio di accertamento della responsabilità del datore di lavoro per il decesso del dipendente a seguito di infortunio sul lavoro, può trarre elementi di convincimento dalle risultanze del procedimento penale ponendo a base delle proprie conclusioni gli elementi di fatto già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, sottoponendoli al proprio vaglio critico e valutandoli autonomamente (v. Cass. 12 giugno 2017, n. 14570).
Quindi le risultanze del processo penale definito con pronuncia di prescrizione “possono” essere “utilizzate” dal giudice civile che ha, in questo senso, una facoltà. È stato, altresì affermato che il giudicato penale è vincolante nel giudizio civile in ordine all’accertamento dei fatti materiali solo ove si tratti di sentenza irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento, ma non nel caso di sentenza meramente dichiarativa della intervenuta prescrizione, dovendosi escludere in tale ultimo caso la possibilità di estensione analogica dell’art. 654 cod. proc. pen., vuoi per il carattere eccezionale della norma (che deroga al principio generale – proprio del vigente cod. proc. pen. – dell’autonomia della giurisdizione del giudice civile rispetto a quella del giudice penale: cfr., ex aliis, Cass. 17 giugno 2013, n. 15112; Cass. 18 gennaio 2007, n. 1095), vuoi perché non sempre la prescrizione importa accertamento della sussistenza del fatto materiale costituente reato, accertamento assorbito dall’obbligo di immediata declaratoria di una causa di estinzione del reato previsto dall’art. 129 c.p.p., comma 1, che innanzi al giudice penale impedisce di proseguire oltre nella delibazione del materiale di causa (v. anche Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2011, n. 1768; Cass. 9 ottobre 2014, n. 21299).
8.3. Nel caso di specie la Corte di rinvio ha svolto un autonomo apprezzamento di tutti i fatti acquisiti in corso di causa e così: – ha rilevato che l’Agenzia aveva posto a fondamento della responsabilità (anche disciplinare) dello I. la sentenza penale di condanna (poi riformata dalla Corte d’appello di Napoli); – ha valutato le produzioni delle parti; – ha concluso per il mancato raggiungimento della prova dei fatti contestati.
8.4. La Corte territoriale, mantenendosi nel perimetro indicatole da questa Corte di legittimità (che, come ricordato nello storico di lite, sul presupposto che è da considerarsi legittima la contestazione per relationem, ha rimesso alla Corte di rinvio la valutazione circa l’accertamento dei fatti contestati come giusta causa di recesso), ha valutato tutto ciò che era in atti (e così le sentenze ed altri atti contenuti nel fascicolo del dirigente licenziato) e, dopo aver dato atto che l’Agenzia, benché più volte richiesta non aveva provveduto a depositare i propri fascicoli di parte, ha ritenuto, con argomentazione tutt’altro che apodittica, non provato l’addebito.
La Corte, dunque, non ha affatto pretermesso la valutazione delle sentenze perché non prodotte dall’Agenzia ma, dopo aver considerato la mera rilevanza processuale delle stesse, ha statuito circa il mancato onere probatorio (su ulteriori produzioni) da parte della predetta.
8.5. Ed allora l’Agenzia pretende una diversa valutazione rispetto a quella del Giudice del rinvio, inammissibile in sede di legittimità.
La Corte territoriale, lungi dall’aver ignorato le circostanze fattuali addotte dall’appellata-appellante incidentale, ha considerato tutte le risultanze istruttorie disponibili e le ha ritenute non sufficienti per una pronuncia di segno contrario rispetto a quella del Tribunale (che aveva escluso che fosse stata dimostrata la giusta causa di recesso).
8.6. Né sussisteva un onere di eccezione dello I. rispetto alle deduzioni di cui all’appello incidentale in quanto, sul punto, il Tribunale aveva statuito a suo favore.
9. È del pari infondato il ricorso incidentale (autonomo).
Con tale ricorso si chiede, nella sostanza, una diversa interpretazione dell’atto nel quale è stata individuata la comunicazione ex art. 39 c.c.n.l.. Ed infatti, nella sentenza impugnata, sulla base di un accertamento in fatto non rivedibile in questa sede di legittimità, è evidenziato che tale comunicazione era comunque intervenuta sin dal 25/7/2005 allorché “come affermato dallo stesso I. nel ricorso di primo grado e come comprovato dal relativo provvedimento di trattenimento in servizio per due anni (v. all. n. 7, in prod. ric. 1° grado)” l’Agenzia delle Entrate in cui espressamente si legge “l’interessato pertanto sarà collocato a riposo a decorrere dal 1° agosto 2007”.
10. Da tanto consegue che vanno rigettati sia il ricorso principale (statuizione, questa, che esonera dall’esame del ricorso incidentale condizionato) sia il ricorso incidentale autonomo.
11. L’esito dei ricorsi consente di compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
12. Sussistono solo quanto al ricorrente incidentale le condizioni richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non applicandosi la norma nei confronti delle amministrazioni dello Stato, che mediante il meccanismo della prenotazione a debito sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr., ex aliis, Cass. 17361/2017).
P.Q.M.
rigetta entrambi i ricorsi; compensa le spese.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il suo ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
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