CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 maggio 2018, n. 12439
Licenziamento – Esaurimento di una fase di lavoro – Impossibilità di reimpiegare il lavoratore in un altro cantiere – Prova
Fatti di causa
La Corte di appello di Caltanissetta, con sentenza n. 76/2016, aveva riformato la decisione del Tribunale di Enna di declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato dalla C. spa nei confronti di D.S.S. con conseguente reintegrazione e risarcimento dei danni pari alle retribuzioni maturate e non percepite, rigettando la originaria domanda del lavoratore e ritenendo legittimo il recesso datoriale. La Corte nissena aveva preliminarmente valutato infondata la eccezione di inammissibilità del ricorso in appello sollevata dal lavoratore con riguardo alla carenza di specificità dei motivi e ritenuto operativa la previsione di esclusione dell’obbligo di osservare le procedure dettate per i licenziamenti collettivi, di cui all’art. 24, comma 4, I. n. 223/1991, anche nelle ipotesi di esaurimento di una singola fase di lavoro nel settore edile, e non soltanto nel caso di definitiva cessazione del lavoro di cantiere. In particolare il Giudice del gravame aveva ritenuto provato che il licenziamento fosse intervenuto per l’esaurimento di una fase di lavoro cui era preposto il D.S. e altresì provata la impossibilità del reimpiego del lavoratore in altro cantiere della società.
Il D.S. aveva proposto ricorso affidandolo a 2 motivi.
La C. spa aveva resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di legge dell’art. 434 c.p.c., con riguardo all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c., in relazione a quanto statuito dalla Corte di appello sulla eccezione di inammissibilità del ricorso. L’atto di appello era stato ritenuto sufficientemente chiaro nella indicazione dei capi oggetto di censura , nella ricostruzione dei fatti operata dal tribunale e nelle argomentazioni poste a sostegno dei motivi del gravame.
Premesso che la violazione denunciata ha riguardo all’errata valutazione da parte del Giudice di un atto di causa ed attiene quindi ad un error in procedendo valutabile secondo i canoni di cui all’art. 360, 1 co,n. 4 cpc, deve richiamarsi quanto già enunciato da questa Corte secondo cui “L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’ atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità” (Cass. n. 22880/2017). Nel caso in esame alcuna indicazione specifica è contenuta nel ricorso, ove non risultano inseriti e riportati i motivi del gravame censurati dal ricorrente e non risulta quindi possibile la valutazione concreta delle doglianze avanzate.
Peraltro come già si è avuto modo di chiarire “gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. (Cass. n. 27199/2017).
Non può dunque ritenersi viziato l’atto di appello se, come nel caso di specie è avvenuto, sia possibile evincere le questioni assoggettate a critica, i punti della decisione censurati e gli argomenti posti a sostegno delle proprie domande di revisione. Il motivo deve quindi essere dichiarato inammissibile.
2) Il secondo motivo del ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 24, comma 4, della legge n. 223/91, sotto il profilo dell’art. 360, 1 co. n. 3 cpc, per aver, la Corte d’appello, erroneamente ritenuto che il D.S. fosse stato assunto per una specifica commessa e che dunque fosse legittimo il licenziamento intimato al termine della cessazione della attività lavorativa del cantiere, senza alcuna valutazione sulla possibilità di reimpiego in altro cantiere della società.
La norma in esame prevede che le procedure e le disposizioni in materia di licenziamenti collettivi non si applichino, tra le altre ipotesi, nei casi di “fine lavoro nelle costruzioni edili”. Con tale inciso il legislatore ha inteso fare riferimento, con riguardo alla particolare organizzazione e tempistica dei lavori edili, non alla cessazione dell’attività dell’impresa o nel compimento dell’opera, ma all’esaurimento della fase dei lavori per i quali i lavoratori erano stati assunti, si da determinare il venir meno dell’utilità del loro apporto all’attività dell’impresa edile. (Cass. n. 4349/2015). Questa Corte ha anche specificato che l’esclusione dell’obbligo di osservare le procedure dettate per i licenziamenti collettivi opera anche nel caso di esaurimento di una singola fase di lavoro, che abbia richiesto specifiche professionalità, non utilizzabili successivamente; ciò integra gli estremi di un giustificato motivo di licenziamento individuale, anche se plurimo, ai sensi dell’art. 3 della legge 15 luglio 1996, n. 604, fermo restando che, al fine di poter ritenere giustificato il recesso, è necessario che il datore di lavoro dimostri l’impossibilità di utilizzare il lavoratore medesimo in altre mansioni compatibili nell’ambito dell’organizzazione aziendale, salvo in ogni caso, l’onere in capo al lavoratore di allegare l’esistenza di una tale possibilità di reimpiego (Cass. n. 25349/2014). Dall’orientamento richiamato,a cui si intende dare prosecuzione, emerge con chiarezza che anche in caso di esaurimento di una fase del lavoro è legittimo licenziare il lavoratore nei limiti di operatività dell’obbligo di repechage, ovvero nei limiti della presenza di elementi di prova che attestino la impossibilità di utilizzare lo stesso lavoratore in altre attività dell’impresa. In tale ambito la distribuzione degli oneri di fornire la prova sono quelli già sopra evidenziati: onere di dimostrare l’impossibilità del reimpiego da parte del datore di lavoro e correlativo onere di allegare l’esistenza concreta di siffatta possibilità a carico del lavoratore.
La Corte territoriale ha fatto corretto utilizzo dei principi enunciati allorché ha valutato l’esistenza di sufficiente prova, anche attraverso il ricorso a presunzioni (quali la piena occupazione negli altri cantieri e la assenza di altre assunzioni per mansioni simili a quelle svolte dal dipendente licenziato), della impossibilità del reimpiego. Alcuna violazione di legge si è dunque consumata con conseguente infondatezza del motivo di ricorso. Peraltro alcuna differente valutazione degli elementi probatori è possibile in questa sede, trattandosi di questioni attinenti al merito del giudizio.
Il ricorso deve essere rigettato.Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E.4.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per II ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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