CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 maggio 2018, n. 12451
Fallimento – Opposizione allo stato passivo – Inammissibilità del ricorso – Deposito del decreto comunicato ai ricorrenti tramite PEC – Mancata comunicazione
Svolgimento del processo
Gli odierni ricorrenti propongono ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, avverso il decreto n. 1092\16 con cui il Tribunale di Varese respinse, per estinzione completa ed irreversibile dell’intero apparato produttivo aziendale, la loro opposizione allo stato passivo del Fallimento C. s.r.l., segnatamente laddove escluse il loro diritto al risarcimento del danno da illegittimo licenziamento.
Resiste il Fallimento con controricorso.
Motivi della decisione
Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza.
1.- Deve pregiudizialmente rilevarsi che l’eccezione di inammissibilità del presente ricorso, sollevata dal Fallimento in questa sede, è fondata. Quest’ultimo in particolare ha dedotto e documentato (doc. 2 allegato al controricorso) che il deposito del decreto oggi impugnato del Tribunale di Varese venne comunicato agli attuali ricorrenti il 19.8.16 tramite p.e.c. in quanto, pur essendo pervenuto alla Cancelleria del Tribunale un messaggio di mancata comunicazione in quanto la casella p.e.c. del difensore dei ricorrenti risultava ‘piena’, tale comunicazione doveva ritenersi comunque valida con conseguente inammissibilità dell’odierno ricorso, notificato solo in data 20 settembre 2016. L’eccezione è fondata.
Premesso infatti che il termine per impugnare il detto decreto è di giorni 30 ai sensi dell’art. 99 L.F., deve valutarsi se la comunicazione dell’avvenuto deposito del decreto, avvenuto tramite p.e.c., all’indirizzo indicato nello stesso attuale ricorso (xxxxxxxx@busto.pecavvocati.it), e conclusosi con messaggio di mancata comunicazione per risultare piena la predetta casella di posta elettronica, sia da considerare parimenti effettuata ed efficace.
Al quesito il Collegio intende dare risposta affermativa in base al tenore dell’art. 16, comma 6, del d.l. n. 172/12, convertito in L. n. 221/12, e della giurisprudenza di questa Corte in argomento.
L’art. 16, comma 6, del d.l. n. 179/12, convertito in L. n. 221/12, stabilisce: “Le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria.
Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario”, sicché la comunicazione deve aversi per notificata allorquando la mancata consegna dipenda da cause imputabili al destinatario, come nel caso in cui, per mancata diligenza di questi, la casella risulti piena per prolungata (e dunque colpevole) assenza di lettura della posta elettronica.
In materia questa Corte si è già pronunciata, affermando che il titolare dell’account” di posta elettronica certificata ha il dovere di assicurarsi il corretto funzionamento della propria casella postale e di utilizzare dispositivi di vigilanza e di controllo, dotati di misure anti intrusione, oltre che di controllare prudentemente la posta in arrivo, ivi compresa quella considerata dal programma gestionale utilizzato come “posta indesiderata” (Cass. n. 13917/16, Cass. n. 31/2017).
Con particolare riferimento a fattispecie analoga a quella in esame questa Corte ha affermato che: “l’avviso di fissazione della udienza di discussione è stato comunicato dalla cancelleria alla casella di posta elettronica…. ed è stato rifiutato dal sistema con il messaggio “5.2.2 – A.P. s.p.a. – casella piena”. La comunicazione deve ritenersi regolarmente avvenuta giacché, una volta ottenuta dall’ufficio giudiziario l’abilitazione all’utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l’avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di PEC, diventa responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l’onere, non solo di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli dalla cancelleria a tale indirizzo ma anche di attivarsi affinché i messaggi possano essere regolarmente recapitati” (Cass. n. 23650/16).
1.2- Ne consegue l’inammissibilità del ricorso, nulla peraltro avendo dedotto i ricorrenti in ordine all’eccezione sollevata.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi, €.6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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